lunedì 30 giugno 2014

È un diritto delle donne la provocazione sessuale? | La ventisettesima ora

È un diritto delle donne la provocazione sessuale? | La ventisettesima ora

Ricordiamoci sempre di Pierre Bordieu

La nozione di violenza simbolica mi è parsa necessaria per designare una forma di violenza che possiamo chiamare "dolce" e quasi invisibile, una violenza che svolge un ruolo importante in molte situazioni e relazioni umane. Per esempio, nelle rappresentazioni ordinarie, la relazione pedagogica è vista come un’azione di elevazione dove il mittente si mette, in qualche modo, alla portata del ricevente per portarlo a elevarsi fino al sapere, di cui il mittente è il portatore. Una visione non falsa, ma che maschera l'aspetto di violenza.


La mia idea era che anche nelle nostre società differenziate, il sistema scolastico è uno dei luoghi dove si trasmettono le forme di classificazione, i principi classificatori, le tassonomie, e ciò accade anche per la filosofia, nella quale le tassonomie altro non sono se non i concetti che usiamo per classificare i filosofi (uno empirista, l’altro positivista e via dicendo).


Queste tassonomie diventano delle strutture mentali attraverso cui percepiamo il mondo intellettuale per il quale esse sono state formate, ma anche il mondo sociale. E’ proprio questo ciò che intendo per violenza simbolica: inculcare forme mentali, strutture mentali arbitrarie, storiche, un’operazione che plasma, in qualche modo, gli spiriti e che li rende poi disponibili a effetti d’imposizione fondati sulla riattivazione di queste categorie.

Anche se può apparire astratto, la violenza simbolica è a mio avviso una violenza cognitiva, che può funzionare solo appoggiandosi sulle strutture cognitive di chi la subisce.

La provocazione sessuale è la rivendicazione di un diritto o è la dimostrazione di una subalternità culturale? Lorenza Cervellin

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