Premessa
Il
termine 'costituzionalismo'
nel linguaggio storico-politico indica la riflessione intorno ad
alcuni principî giuridici che consentono a una Costituzione di
assicurare nelle diverse situazioni storiche il miglior ordine
politico possibile favorevole al cittadino. Questa
riflessione si traduce anche
nello
studio del percorso intrapreso e portato a termine da uomini liberi e
responsabili nella costruzione della civiltà occidentale anche
attraverso
peripezie fisiche e psicologiche culminate nella conquista della
Costituzione. La
prima Carta di cui si ha notizia è il documento MAGNA
CHARTA LIBERTATUM del
1215 in cui il re Giovanni Senza Terra, fratello di Riccardo Cuor di
Leone, riconosceva i diritti dei feudatari, della Chiesa, delle
città inglesi e di tutti gli uomini liberi, nei confronti del
sovrano d' Inghilterra. Da
quel momento l'
idea di una Carta finalizzata
a riconoscere i diritti di libertà limitando le sovranità
tiranniche attraverserà tutta la Storia d' Europa estendendo
sempre di più gli obiettivi libertari fino ad accogliere anche le
istanze delle masse ad iniziare, concettualmente, con la Rivoluzione
francese. Storicamente,
l' idea di costruire un potere favorevole ai cittadini, è sempre
stata presente seppure in forme diverse: nel
diritto romano e poi nel diritto medievale (civile e canonico),
constitutio
indicava una promulgazione, un decreto, un'ordinanza fatta dalla
suprema autorità (l'imperatore, il papa, il re) all'
interno di una forma di potere personale e visibile che concedeva ma
poi, con l' esperienza comunale, l' uomo impara a conquistare il
potere e ad agire su di esso per provare ad avere una parte per se ed
ecco che dal Medioevo
al periodo
Moderno
assistiamo al capovolgimento o al rovesciamento di significato di due
termini chiave del costituzionalismo, quello di politica e quello di
costituzione che
sono anche i due termini chiave della transizione del potere da
privato e personale a pubblico e impersonale.
Per noi la Costituzione deve limitare e imbrigliare la politica per favorire la libera azione della persona; nel Medioevo la constitutio rientra nella prerogativa del re, mentre il politicum - come afferma John Fortescue in De laudibus legum Angliae - è dato dalle leggi - le ossa e i nervi del corpo politico - che limitano l'arbitrio del caput, della testa, cioè del re ma limitare il potere del re e richiamarlo all' esercizio esclusivo delle sue prerogative non era facile ed è per questo che i feudatari si conquisteranno la Magna Charta. Nel Medioevo si ignorava la parola, ma non il concetto: la definizione più usata è quella di leggi fondamentali (fundamental laws, lois fondamentales, Grundgesetze), in base al principio che dettava: lex supra regem, quia lex facit regem. Principio che l'assolutismo capovolgerà in quello che afferma: rex facit legem. La parola Costituzione assume il suo significato profondo e moderno, quello dell'insieme delle norme in base alle quali un corpo politico deve essere governato, solo in età Moderna: la troviamo usata di sfuggita da John Locke (1632-1704) nel secondo dei suoi Two treatises of government (Due trattati sul Governo), poi -nel cap. 3- concettualmente approfondita in George Savile, primo marchese di Halifax (1633-1695), e in Henry Saint-John, primo visconte di Bolingbroke (1678-1751). Un'ultima precisazione terminologica: costituzione, costituzionale, costituzionalismo sono termini che nascono assieme ed esprimono lo stesso significato, ma poi col tempo hanno preso strade differenti e questi percorsi diversi si si esprime il progressivo allontanamento del costituzionalismo, come teoria politica normativa, dalla scienza giuridica positivista.
Per noi la Costituzione deve limitare e imbrigliare la politica per favorire la libera azione della persona; nel Medioevo la constitutio rientra nella prerogativa del re, mentre il politicum - come afferma John Fortescue in De laudibus legum Angliae - è dato dalle leggi - le ossa e i nervi del corpo politico - che limitano l'arbitrio del caput, della testa, cioè del re ma limitare il potere del re e richiamarlo all' esercizio esclusivo delle sue prerogative non era facile ed è per questo che i feudatari si conquisteranno la Magna Charta. Nel Medioevo si ignorava la parola, ma non il concetto: la definizione più usata è quella di leggi fondamentali (fundamental laws, lois fondamentales, Grundgesetze), in base al principio che dettava: lex supra regem, quia lex facit regem. Principio che l'assolutismo capovolgerà in quello che afferma: rex facit legem. La parola Costituzione assume il suo significato profondo e moderno, quello dell'insieme delle norme in base alle quali un corpo politico deve essere governato, solo in età Moderna: la troviamo usata di sfuggita da John Locke (1632-1704) nel secondo dei suoi Two treatises of government (Due trattati sul Governo), poi -nel cap. 3- concettualmente approfondita in George Savile, primo marchese di Halifax (1633-1695), e in Henry Saint-John, primo visconte di Bolingbroke (1678-1751). Un'ultima precisazione terminologica: costituzione, costituzionale, costituzionalismo sono termini che nascono assieme ed esprimono lo stesso significato, ma poi col tempo hanno preso strade differenti e questi percorsi diversi si si esprime il progressivo allontanamento del costituzionalismo, come teoria politica normativa, dalla scienza giuridica positivista.
La
scienza giuridica positivista
Il
positivismo è considerato una dottrina formale del diritto che si
contrappone alle dottrine filosofico-giuridiche
sostanziali espresse dalle teorie gius-naturalistiche. Secondo il
positivismo, oggetto di studio della scienza giuridica è il diritto
positivo, ovvero l’insieme delle norme poste da un soggetto
abilitato in conformità delle regole sulla produzione giuridica (dal
latino ius positivum che significa "posto" o "imposto".
Imposto dall'autorità).
La morale non è qualificabile come diritto, indipendentemente dal
valore che possiamo associare alle norme che ad essa appartengono. Le
prescrizioni morali diventano norme giuridiche soltanto se,
attraverso una specifica procedura formale, vengono inserite
all’interno di un complesso di norme poste da un’autorità
legittimata a creare diritto, secondo le regole che definiscono le
forme della sua produzione.
Il cosiddetto diritto naturale, oggetto di studio ed elaborazione delle dottrine gius-naturalistiche, non è affatto diritto per il positivismo, che anzi lo ritiene soltanto un’espressione degli specifici valori del particolare sistema morale cui si riferisce. Diritto e morale sono piuttosto sistemi deontici distinti: il primo è un fatto, e più propriamente quel fatto giuridico che è creato da un’autorità legittimata a produrlo; la seconda è quel particolare impianto di valori associati a certi comportamenti da un individuo o da un gruppo di individui appartenenti ad una comunità. Pertanto un certo insieme di norme è diritto in virtù esclusivamente della sua forma, in quanto linguaggio artificiale prodotto in conformità di certe regole ed indipendentemente dai suoi specifici contenuti, dai quali, al contrario, un sistema morale, perché lo si possa valutare come tale, non può certo prescindere.
Sono soprattutto questi due elementi, l’individuazione del diritto operata mediante un criterio esclusivamente formale e la tesi della separazione tra diritto e morale, ad essere oggetto di critica da parte delle riflessioni filosofico-giuridiche che più hanno posto al centro del loro studio la struttura ed il funzionamento degli ordinamenti costituzionali. Questi nuovi approcci al diritto condividono l’idea che la dottrina positivista non abbia dato adeguato rilievo alle costituzioni: che della struttura costituzionale dell’ordinamento sia stata proposta una lettura insufficiente, inidonea a rendere conto delle trasformazioni del diritto derivanti dalla costituzionalizzazione dei sistemi normativi. Le Costituzioni scritte dopo l' esperienza totalitaria hanno spazzato via ogni posizione rigida accogliendo a tutti gli effetti il giusnaturalismo e i suoi principi come ispiratori dell' attualità giuridica.
Il cosiddetto diritto naturale, oggetto di studio ed elaborazione delle dottrine gius-naturalistiche, non è affatto diritto per il positivismo, che anzi lo ritiene soltanto un’espressione degli specifici valori del particolare sistema morale cui si riferisce. Diritto e morale sono piuttosto sistemi deontici distinti: il primo è un fatto, e più propriamente quel fatto giuridico che è creato da un’autorità legittimata a produrlo; la seconda è quel particolare impianto di valori associati a certi comportamenti da un individuo o da un gruppo di individui appartenenti ad una comunità. Pertanto un certo insieme di norme è diritto in virtù esclusivamente della sua forma, in quanto linguaggio artificiale prodotto in conformità di certe regole ed indipendentemente dai suoi specifici contenuti, dai quali, al contrario, un sistema morale, perché lo si possa valutare come tale, non può certo prescindere.
Sono soprattutto questi due elementi, l’individuazione del diritto operata mediante un criterio esclusivamente formale e la tesi della separazione tra diritto e morale, ad essere oggetto di critica da parte delle riflessioni filosofico-giuridiche che più hanno posto al centro del loro studio la struttura ed il funzionamento degli ordinamenti costituzionali. Questi nuovi approcci al diritto condividono l’idea che la dottrina positivista non abbia dato adeguato rilievo alle costituzioni: che della struttura costituzionale dell’ordinamento sia stata proposta una lettura insufficiente, inidonea a rendere conto delle trasformazioni del diritto derivanti dalla costituzionalizzazione dei sistemi normativi. Le Costituzioni scritte dopo l' esperienza totalitaria hanno spazzato via ogni posizione rigida accogliendo a tutti gli effetti il giusnaturalismo e i suoi principi come ispiratori dell' attualità giuridica.
Il
Costituzionalismo Contemporaneo
Il
costituzionalismo Contemporaneo, come
riflessione,
risale alla Dichiarazione d' Indipendenza degli Stati Uniti d'
america del 4 luglio 1776 anche in presenza di reazioni conservatrici
che si manifestarono fin dall' inizio come per esempio la
Convenzione di Filadelfia del
1787
che rappresentò, invece, un momento di involuzione conservatrice. La
Carta
scritta e la dichiarazione dei diritti sono elementi caratterizzanti
il moderno costituzionalismo, ma non la judicial review (revisone
giudiziale),
che instaurerebbe, invece, il governo dei giudici. Per Alexander
Hamilton,
uno
dei padri Fondatori degli Stati Uniti,
il moderno costituzionalismo, che ha il suo battesimo in America,
raggiunge la sua maturità solo in Francia durante la Rivoluzione
nella
Dichiarazione
dei
Diritti dell'Uomo e del Cittadino del
1789.
Prime
riflessioni: la prima preoccupazione della disciplina del
Costituzionalismo Antico, Moderno e Contemporaneo non guarda tanto a
quale forma di potere affidare il governo ma come si deve governare
poiché si propone alla limitazione del potere del Governo attraverso
il Diritto:
si
può dire che esso, il
Costituzionalismo,
sia la tecnica giuridica delle libertà dell'
uomo, non solo, il Costituzionalismo va oltre e conferma che solo
all' interno e protetti dalla Costituzione il cittadino ha la
possibilità di agire le libertà mentre al di fuori è schiavo.
Il
Costituzionalismo si afferma in seguito alle libere e responsabili
azioni di libertà dei feudatari inglesi preoccupati delle azioni
limitanti di un potere monarchico cieco, violento, superbo e
tirannico ed è quindi un fatto storico e
morale.
Non sorge dal nulla ma da un pensiero di libertà già presente nelle
antiche assemblee rappresentative dei popoli europei i quali volevano
muoversi liberamente nei territori, commerciare, coltivare le terre
ed anche esercitare il diritto di conquista senza che il monarca
avesse dei monopoli indiscussi. Le
libertà economiche si affermano subito come preminenti e darà forma
al Costituzionalismo liberista dell' età Moderna mentre, in età
Contemporanea e l' avvento delle Democrazie, il Costituzionalismo
perde la sua essenza liberista in favore di una essenza liberale e
libertaria. Il conflitto fra queste due essenze è oggi a livelli di
asprezza totali fra forze reazionarie le quali usano la sovranità
popolare e progressiste le quali sono incapaci a dare forma a un
governo efficace e
governare la complessità.
Il
Costituzionalismo Contemporaneo
si articola attorno a cinque nuclei storici
e ideologici molto potenti:
- il potere costituente
- la Dichiarazione dei diritti
- la separazione dei poteri
- la Costituzione scritta
- il controllo di costituzionalità delle leggi
Non
dobbiamo mai dimenticare che il Costituzionalismo è un prodotto
culturale e intellettuale fra i più riusciti della Storia dell' uomo
frutto del suo sacrificio e della sua libera azione personale, nasce
dalla Storia e nella Storia, in azioni agonistiche nelle quali si
sono intrecciati mirabilmente pensieri e atti all' interno di un
mondo di valori condivisi ed è perciò inutile puntualizzare che
distruggere questo mondo di senso è criminale! All' interno del
Costituzionalismo c' è la possibilità della realizzazione della
giustizia sociale e delle Pari opportunità, tensione e motore della
nostalgia del futuro.
Attualmente
il cittadino è costretto a vivere all' interno di una contraddizione
pericolosissima: il Costituzionalismo è messo in discussione proprio
dai politici che dovrebbero averlo sempre come guida ma per spostare
l' attenzione dalla loro incapacità adducono sempre a supposti
limiti della Costituzione mentre è chiaro che la responsabilità del
malgoverno è loro.
In
tutto il percorso umano nella Storia d' occidente, fino ad ora
massima espressione di civiltà, solo il cosituzionalismo, può
garantire le libertà di tutti gli uomini al' interno delle regole!
Il
Costituzionalismo e la Costituzione
Il
termine Costituzionalismo
ha acquistato il suo spessore e
la sua potenza concettuale
e
morale negli
Stati Uniti d' America, nel
periodo
fra le due guerre, quando, in opposizione alla democrazia totalitaria
europea, si cominciò a riflettere sui peculiari caratteri della
democrazia costituzionale americana. Studiosi
e storici del Costituzionalismo sono:
lo storico Charles Howard McIlwain (1871-1968), il costituzionalista
Edward S. Corwin (1878-1963), il teorico della politica Carl J.
Friedrich (1901-1984). In realtà fra le due guerre mondiali questo
termine non aveva ancora uno status semantico ben definito: basti
guardare le opposte definizioni contenute nell'Enciclopedia Italiana
(1929) e nell'Encyclopaedia of the Social Sciences (1930):
- nella prima Gino Solazzi è ancora fermo alla monarchia costituzionale prevista dallo Statuto albertino: non si parla di diritti degli individui, ma - secondo la scuola tedesca - di una autolimitazione dello Stato a favore delle libertà individuali, è sempre utile ricordare che lo Statuto albertino è stato concesso in una società dalla quale le masse erano escluse.
- Nella seconda l' enciclopedista Walton H. Hamilton, risente fortemente del clima progressista della "New history" al cui centro è l' uomo.
Nel
2005, Giorgio
Bongiovanni, professore di filosofia del diritto, scrive
Costituzionalismo
e teoria del diritto (Roma-Bari,
Laterza),
libro che ha il merito
di cercare di inquadrare in maniera precisa e dettagliata le
attuali prospettive
teorico-giuridiche, proponendosi come uno studio comprensivo e
sistematico delle recenti riflessioni teoriche sulle novità
introdotte dalla costituzionalizzazione dei sistemi normativi
relativamente alla loro struttura e alla loro dinamica: quegli
elementi, in altri termini, che fanno di un ordinamento una
democrazia costituzionale e che ne definiscono le specifiche modalità
di funzionamento. Oggi
non bisogna mai dimenticare che Costituzionalismo, Democrazia e
Morale sono legati indissolubilmente.
La
Costituzione in Italia
L'Assemblea
Costituente della Repubblica italiana, composta di 556 deputati, fu
eletta il 2 giugno 1946 e si riunì in prima seduta il 25 giugno nel
palazzo Montecitorio. L'Assemblea continuò i suoi lavori fino al 31
gennaio 1948. Durante tale periodo si tennero 375 sedute pubbliche,
di cui 170 furono dedicate alla discussione e all'approvazione della
nuova Costituzione.
La
Commissione
per la Costituzione era
composta da 75 membri
(Commissione dei 75)
i
quali elaborarono la Costuzione in linea con i principi sostanziali
di libertà e giustizia dopo l' esperienza del fascismo totalitario.
La
Costituzione italiana realizza la Democrazia, la legalità e la
morale ed è quindi un capolavoro etico-giuridico presa come esempio
di Costitzione moderna e in particolare per la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomoadottata
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948
Vista
la deliberazione dell’Assemblea Costituente, che nella seduta del
22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica
Italiana. La
Costituzione italiana è rimasta congelata lasciando spazio alla
legge ordinaria ma gradualmente ne è stata incoraggiata la
realizzazione anche attraverso i pronunciamenti dell' Alta Corte la
quale è entrata nei pieni poteri dopo una lenta attuazione:
- la Costituzione ha previsto la istituzione della Corte e le sue funzioni fondamentali (articolo 134), la sua composizione (articolo 135), gli effetti delle sue decisioni sulle leggi (articolo 136); ma ha rinviato a successive leggi costituzionali e ordinarie l’ulteriore disciplina di essa e della sua attività. Era dunque necessario che venissero approvate queste leggi, perché la Corte potesse concretamente costituirsi e iniziare a funzionare. Nel febbraio del 1948 la stessa Assemblea costituente (i cui poteri erano stati prorogati per due mesi) approvò la legge costituzionale n. 1 del 1948, che stabilisce chi e come può ricorrere alla Corte. Si dovettero attendere però cinque anni perché venissero approvate la legge costituzionale n. 1 del 1953 e la legge ordinaria n. 87 dello stesso anno, che completano l’ordinamento della Corte. Dopo lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni (svoltesi sempre nel 1953), altri ritardi furono dovuti alle difficoltà del Parlamento di trovare gli accordi necessari ad eleggere, con le elevate maggioranze richieste, i cinque giudici di sua competenza. Solo nel 1955 fu completata la prima composizione della Corte costituzionale, che si insediò nel palazzo della Consulta e si diede la prima necessaria organizzazione, emanando anche le norme regolamentari per la disciplina dei suoi procedimenti: le cosiddette “Norme integrative”. Sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, finalmente la Corte era in grado di funzionare ed ha funzionato tentando di far emergere l' indirizzo progressista limitando la “reazione”.
Oggi
la Costituzione è sotto attacco e la Corte è impegnata
continuamente nel continuare la piena realizzazione del dettato
costituzionale mentre le forze reazionarie appaiono più forti che
mai incoraggiate dalla crisi finanziaria che ne garantisce l'
occultamento. Mettere in discussione la Costituzione appare
pericolosissimo per una democrazia agognata e mai realizzata e per la
tenuta dello stesso Stato.
Il
Costituzionalismo a Padova
L'
Università
degli Studi di Padova ha
una tradizione costituzionalista la quale si esprime nella
“Scuola di cultura costituzionale”
La Scuola
di cultura costituzionale è
un’iniziativa promossa dall’Università degli Studi di Padova,
d’intesa con l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, e
realizzata in collaborazione con il Comune di Padova, l’Ufficio
Scolastico Regionale per il Veneto e il Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Padova e con il contributo della Fondazione Cassa di
Risparmio di Padova e Rovigo. Direttore
e Responsabile scientifico della
Scuola è Lorenza CARLASSARE, Professore emerito di Diritto
costituzionale nell’Università di Padova e
prima donna titolare della cattedra di diritto costituzionale.
La Scuola intende promuovere la conoscenza della Costituzione italiana e la formazione di una consapevole cultura costituzionale e, in particolare, Lorenza carlassare, si impegna per far conoscere e difendere la Costituzione italiana.
La Scuola intende promuovere la conoscenza della Costituzione italiana e la formazione di una consapevole cultura costituzionale e, in particolare, Lorenza carlassare, si impegna per far conoscere e difendere la Costituzione italiana.
I
cittadini e il potere nella Costituzione italiana
E'
assolutamente utile e necessario sapere che solo all' interno della
Costituzione si può continuare a tentare la realizzazione della
democrazia poiché solo la Costituzione garantisce degli spazi di
potere al popolo come viene enunciato nella prima parte contenente i
principi fondamentali:
Art.
1.
L’Italia
è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione.
Qui
c' è l' indicazione principale. Andando a leggere le 16mila pagine
degli atti elaborati dai 75 si può vedere che invece del verbo
appartiene avevano usato il verbo emana rendendosi subito
conto che il verbo emanare poteva offrire una interpretazione
distorta delle loro intenzioni che invece erano molto chiare per cui
usarono il verbo appartiene per significare che la sovranità e la
continuità di questo potere ha carattere di continuità e risiede
sempre nei cittadini. L' appartenenza fa si che il cittadino debba
sempre esercitare il suo poterenon solo nel momento in cui esercita i
diritti politici: una cosa che ci appartiene ci rende anche
responsabili nella durata.
Quale
rapporto c' è fra i cittadini e lo Stato in Italia?
Nella
democrazia rappresentativa il popolo non può decidere direttamente
salvo in occasione dei referendum e proprio per compensare questa
impossibilità della decisione diretta ci sono lo Stato e gli
apparati pubblici che sono “strumenti” al servizio dei cittadini
(popolo) proprio per dare la possibilità di esercitare la sovranità.
Da questa realtà specificata dall' art. 1 non emerge una idea
distorta della sovranità ma chiara: la sovranità appartiene
al popolo. Questa certezza impone una necessaria e costante
conformità della politica tutta all' opinione del corpo elettorale e
la Costituzione contempla il potere di sciogliere le Camere quando le
Camere sono impossibilitate a svolgere la loro attività in seguito a
un clima conflittuale che ne impedisce il lavoro e quando esiste, di
fatto, una constatata, oggettiva e provata dissociazione fra il
popolo e i sui rappresentanti. In Italia tutto questo è successo in
occasione dei risultati contradditori fra i risultati delle elezioni
amministrative e le elezioni politiche (vedi i casi Pisapia e De
Magistris) e poi quando vengono disattesi i risultati dei referendum.
In
Italia si
sono svolti 4 referendum
non
abrogativi: il primo è stato un referendum istituzionale per
scegliere tra monarchia e repubblica, il secondo è stato un
referendum consultivo, gli ultimi due sono stati referendum
costituzionali.
In
Italia,
dal 1974, si sono svolti
66 referendum
abrogativi,
per
un totale di 16 consultazioni fra cui molti, considerati molto
importanti, disattesi:
-
Abrogazione delle norme limitative della Responsabilita’ Civile per
i Giudici: disatteso
- Abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti: disatteso
- 3 referendum per abrogare altrettanti ministeri, tipo l’Agricoltura ed il Turismo: disattesi
- Abrogazione delle norme per le nomine ai vertici delle banche pubbliche: direi che lo spirito del referendum e’ stato del tutto disatteso (di fatti molti CDA sono composti da politicanti ed amici)
- Abrogazione della norma che definisce pubblica la RAI in modo da avviarne la privatizzazione: dopo 16 anni la RAI e’ ancora Pubblica
- Abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti: disatteso
- 3 referendum per abrogare altrettanti ministeri, tipo l’Agricoltura ed il Turismo: disattesi
- Abrogazione delle norme per le nomine ai vertici delle banche pubbliche: direi che lo spirito del referendum e’ stato del tutto disatteso (di fatti molti CDA sono composti da politicanti ed amici)
- Abrogazione della norma che definisce pubblica la RAI in modo da avviarne la privatizzazione: dopo 16 anni la RAI e’ ancora Pubblica
In
presenza di contraddizioni, disattenzioni unite a una legge
elettorale inefficace nella rappresentanza e inefficiente al governo
ci fa concludere che il tramite necessario fra i cittadini e le
Istituzioni cioè i partiti non assolvono la loro funzione per
cui i cittadini sono chiamati a concorrere come
stabilito dall' art. 49 della Costituzione:
TITOLO
IV -RAPPORTI
POLITICI-
Art.
49.
Tutti
i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale.
Attenzione!
Questo articolo riguarda i partiti ma non ha come soggetto i partiti
bensì tutti i cittadini i quali hanno diritto di
associarsi. Questo articolo esprime chiaramente la funzione dei
partiti come strumenti dei cittadini e ci dice chiaramente che i
partiti non sono lo Stato e tantomeno lo rappresentano ma sono solo
delle libere associazioni di cittadini come deve essere nelle
repubbliche strutturate per dare spazio al popolo. Fra i cittadini e
il potere c' è la Costituzione la quale garantisce la democrazia e
la Repubblica ma deve essere chiaro che la Costituzione non è
transitoria come un partito ma rimane e non è neanche uno strumento
in mano ai partiti o qualcosa che deve servire a loro ma è il
documento fondamentale a garanzia dei diritti dei cittadini e non può
essere trasformata come una Carta che serve e facilita il potere dei
partiti in base a una supposta modificabilità che, in realtà, non
deve esserci pena la fine formale e sostanziale di una democrazia mai
realizzata compiutamente. Questo articolo permette a un gruppo di
cittadini di proporsi e di organizzarsi in una struttura di potere
per governare ma nel contempo non esclude gli altri cittadini che
possono organizzarsi a loro volta per sostituire classi dirigenti
incapaci e corrotte sempre perchè il potere appartiene al popolo. L'
art. 39 giustifica un potere debole? Si se i politici sono incapaci e
corrotti, no se i politici agiscono per l' interesse generale e non
personale.
E'
utile che ogni uomo che si appresi alla politica legga
Max Weber,
il quale
nella
conferenza "La politica come professione" (1919),
chiedendosi cosa possa significare la politica come professione,
fornisce alcune categorie importanti per la definizione del politico.
Il titolo della conferenza, in tedesco, è "Politik als Beruf":
Weber gioca qui (ma anche altrove) col termine Beruf, che significa
tanto "professione" quanto "vocazione", cosicchè
l'opera può intendersi tanto come "la politica come
professione" quanto come "la politica come vocazione".
- Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l'uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. Passione nel senso di Sachlichkeit: dedizione appassionata a una "causa" (Sache), al dio o al diavolo che la dirige. [...] Essa non crea l'uomo politico se non mettendolo al servizio di una "causa" e quindi facendo della responsabilità, nei confronti appunto di questa causa, la guida determinante dell'azione. Donde la necessità della lungimiranza - attitudine psichica decisiva per l'uomo politico - ossia della capacità di lasciare che la realtà operi su di noi con calma e raccoglimento interiore: come dire, cioè, la distanza tra le cose e gli uomini. La "mancanza di distacco" (Distanzlosigkeit), semplicemente come tale, è uno dei peccati mortali di qualsiasi uomo politico e una di quelle qualità che, coltivate nella giovane generazione dei nostri intellettuali, li condannerà all'inettitudine politica. E il problema è appunto questo: come possono coabitare in un medesimo animo l'ardente passione e la fredda lungimiranza? La politica si fa col cervello e non con altre parti del corpo o con altre facoltà dell'animo. E tuttavia la dedizione alla politica, se questa non dev'essere un frivolo gioco intellettuale ma azione schiettamente umana, può nascere ed essere alimentata soltanto dalla passione. Ma quel fermo controllo del proprio animo che caratterizza il politico appassionato e lo distingue dai dilettanti della politica che semplicemente "si agitano a vuoto", è solo possibile attraverso l'abitudine alla distanza in tutti i sensi della parola. La "forza" di una "personalità" politica dipende in primissimo luogo dal possesso di doti siffatte. L'uomo politico deve perciò soverchiare dentro di sé, giorno per giorno e ora per ora, un nemico assai frequente e ben troppo umano: la vanità comune a tutti, nemica mortale di ogni effettiva dedizione e di ogni "distanza", e, in questo caso, del distacco rispetto a se medesimi. La vanità è un difetto assai diffuso, e forse nessuno ne va del tutto esente. Negli ambienti accademici e universitari è una specie di malattia professionale. [...] Giacché si danno in definitiva due sole specie di peccati mortali sul terreno della politica: mancanza di una "causa" giustificatrice (Unsachlichkeit) e mancanza di responsabilità (spesso, ma non sempre, coincidente con la prima). La vanità, ossia il bisogno di porre in primo piano con la massima evidenza la propria persona, induce l'uomo politico nella fortissima tentazione di commettere uno di quei peccati o anche tutti e due. Tanto più, in quanto il demagogo è costretto a contare "sull'efficacia", ed è perciò continuamente in pericolo di divenire un istrione, come pure di prendere alla leggera la propria responsabilità per le conseguenze del suo agire e di preoccuparsi soltanto "dell'impressione" che egli riesce a fare. Egli rischia, per mancanza di una causa, di scambiare nelle sue aspirazioni la prestigiosa apparenza del potere per il potere reale e, per mancanza di responsabilità, di godere del potere semplicemente per amor della potenza, senza dargli uno scopo per contenuto. [...] Il mero "politico della potenza" (Machtpolitiker), quale cerca di glorificarlo un culto ardentemente professato anche da noi, può esercitare una forte influenza, ma opera di fatto nel vuoto e nell'assurdo. In ciò i critici della "politica di potenza" hanno pienamente ragione. Dall'improvviso intimo disfacimento di alcuni tipici rappresentanti di quell'indirizzo, abbiamo potuto apprendere per esperienza quale intrinseca debolezza e impotenza si nasconda dietro questo atteggiamento borioso ma del tutto vuoto. [...] E' perfettamente vero, ed è uno degli elementi fondamentali di tutta la storia (sul quale non possiamo qui soffermarci in dettaglio), che il risultato finale dell'azione politica è spesso, dico meglio, è di regola in un rapporto assolutamente inadeguato è sovente addirittura paradossale col suo significato originario. Ma appunto perciò non deve mancare all'azione politica questo suo significato di servire a una causa, ove essa debba avere una sua intima consistenza. Quale debba essere la causa per i cui fini l'uomo politico aspira al potere e si serve del potere, è una questione di fede. Egli può servire la nazione o l'umanità, può dar la sua opera per fini sociali, etici o culturali, mondani o religiosi, può essere sostenuto da una ferma fede nel "progresso" non importa in qual senso - oppure può freddamente respingere questa forma di fede, può inoltre pretendere di mettersi al servizio di una "idea", oppure, rifiutando in linea di principio siffatta pretesa, può voler servire i fini esteriori della vita quotidiana - sempre però deve avere una fede. Altrimenti la maledizione della nullità delle creature incombe effettivamente - ciò è assolutamente esatto - anche sui successi politici esteriormente più solidi. (Max Weber, La politica come professione)
Leggendo
queste parole risulta chiarissimo il ruolo della Costituzione perchè
il potere non può essere lasciato all' uomo politico il quale
raramente raggiunge le qualità delineate da Weber.
La
necessità di avere una Carta a garanzia dei cittadini risale al
1789: La
Dichiarazione
dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del
1789
(Déclaration
des Droits de l'Homme et du Citoyen)
è un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione francese,
contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali
dell'individuo
e del cittadino. È stata emanata il 26 agosto del 1789, basandosi
sulla Dichiarazione d' indipendenza
americana.
Questo documento ha
ispirato numerose Carte
costituzionali e
il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti
della libertà e dignità umana i
cui principi e valori hanno costituito un baluardo contro le
ideologie totalitarie con espresso riferimento all' art. 16:
- Ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti e determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione.
Le
Costituzioni francesi fra rivoluzione e reazione
(1791-1814):
periodo di Costituzioni varate e abrogate in stretta successione e in
sintonia con gli eventi tumultuosi della Rivoluzione, dell' età
Napoleonica e della Restaurazione. Ciascuna di esse costituì un
modello di assetto dello stato ispirato a concezioni
ideologico-politiche ben distinte. Nel 1791 fu varata la prima
costituzione scritta della Francia. Sanciva solennemente i principi
ispiratori dei provvedimenti legislativi emanati dal 1789 in poi,
sotto l'incalzare degli eventi rivoluzionari. Nel preambolo riportava
la Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino votata
dall'Assemblea costituente il 26 agosto 1789. In essa, oltre a
rivendicare i diritti naturali dell'individuo (diritto alla libertà
personale, di pensiero, di opinione, d'espressione; alla proprietà;
alla resistenza all'oppressione) e l'uguaglianza dei cittadini
davanti alla legge, si affermava il principio della sovranità
nazionale e si definiva la legge come espressione della volontà
generale. La costituzione conservava l'ordinamento monarchico del
paese, ma limitava le prerogative del re dei francesi e subordinava
alla legge il suo volere e attribuiva al sovrano il potere esecutivo
e il diritto di veto sospensivo nonché la facoltà di nominare e
revocare i ministri, i capi militari, gli ambasciatori e i principali
amministratori. Demandava il potere legislativo a un corpo
permanente, composto da una sola camera, eletta a suffragio
censitario a doppio grado. Stabiliva che i giudici, designati dal
popolo, esercitassero le loro funzioni sotto la sorveglianza di un
tribunale di cassazione. Fissava inoltre il nuovo assetto
territoriale del paese che sostituiva alle circoscrizioni dell'ancien
régime dipartimenti,
distretti, cantoni e municipi. Ben più avanzata sul terreno politico
e sociale fu la Costituzione
dell'anno primo (1793).
Voluta dai montagnardi al potere, fu adottata per acclamazione dalla
Convenzione e approvata, come la successiva costituzione del 1795, da
un referendum popolare. Pur non essendo mai entrata in vigore a causa
dell'emergenza imposta dalla guerra contro la prima coalizione,
divenne punto di riferimento per il pensiero democratico del secolo
successivo. Nella preliminare Dichiarazione
dei diritti si
affermavano nuovi principi quali la fraternità tra i popoli e il
diritto dei singoli al lavoro, all'istruzione, all'assistenza, alla
felicità, all'insurrezione. Sfavorevole alle prerogative del potere
esecutivo (esercitato da un Consiglio di ventiquattro membri) di cui
limitava pesantemente le competenze, privilegiava il corpo
legislativo composto da una sola Camera, i cui membri erano eletti
annualmente a suffragio universale. I cittadini potevano intervenire
direttamente nell'attività legislativa attraverso referendum
richiesti da almeno un decimo degli elettori delle assemblee primarie
in metà dei dipartimenti. Assai più “moderata” fu
laCostituzione
dell'anno terzo (1795)
che rifletteva la preoccupazione di contenere gli eccessi della
precedente e di consolidare la preminenza della borghesia escludendo
la partecipazione del popolo “passivo” cioè privo di reddito,
dalla partecipazione politica. Nella Dichiarazione
introduttiva
si rifaceva largamente al testo del 1791 ma, per reazione alla
dittatura montagnarda, specificava che nessun individuo o gruppo di
cittadini poteva ritenersi depositario della sovranità. Per la prima
volta menzionava, oltre i diritti dell'uomo, anche i doveri che
consistevano essenzialmente nell'obbligo di rispettare la legge e le
autorità costituite. Sanciva la separazione dei poteri, delegando
quello esecutivo a un Direttorio composto di cinque membri e quello
legislativo a due assemblee elette a suffragio censitario e
indiretto: il Consiglio dei cinquecento, che proponeva ed elaborava
le leggi, e quello degli anziani, che le varava o respingeva.
Conservava nelle sue grandi linee l'organizzazione amministrativa del
territorio nazionale, mantenendo la suddivisione in dipartimenti,
cantoni e comuni, ma sopprimendo i distretti. Le costituzioni del
periodo napoleonico gradualmente segnarono il riflusso delle idee
rivoluzionarie e l'approdo a un nuovo dispotismo. La Costituzione
dell'anno ottavo (1799),
la prima che non si aprisse con una dichiarazione dei diritti,
affidava il governo del paese a tre consoli, il primo dei quali
godeva di ampie prerogative e, oltre a promulgare le leggi, nominava
i ministri, gran parte dei funzionari civili e militari e i
componenti del Consiglio di stato. Quest'ultimo organo redigeva le
leggi che erano discusse dai membri del Tribunato e votate dal Corpo
legislativo. Il suffragio universale era ristabilito; perdeva
tuttavia significato, poiché i cittadini non eleggevano i propri
rappresentanti, ma alcuni notabili tra i quali il Senato designava i
componenti delle assemblee legislative. I senatori, inamovibili e
cooptati su liste presentate dal primo console, avevano il ruolo di
custodi della costituzione. Essi, però, non adottarono mai linee di
condotta autonome e tramite successivi "senatoconsulti" si
prestarono a indebolire i corpi legislativi e a rafforzare la
posizione del primo console (Napoleone), che venne proclamato console
a vita nel 1802 e imperatore nel 1804.
Con la restaurazione borbonica (1814) una nuova carta costituzionale
venne concessa ai francesi per grazia del sovrano (vedi costituzione
octroyée)
senza che fosse deliberata da un'Assemblea costituente come le
precedenti.
Pur ribadendo la teoria della sovranità per diritto divino, non
sconfessava alcune importanti conquiste politiche e sociali della
rivoluzione quali l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge,
l'abolizione dei privilegi fiscali, la libertà di pensiero, di
espressione, di religione. Riservava al re non solo il potere
esecutivo, ma anche l'esclusivo diritto dell'iniziativa legislativa
nonché la facoltà di emettere regolamenti e ordinanze per
l'esecuzione delle leggi. Introduceva, inoltre, un sistema bicamerale
composto da una Camera dei pari, di nomina regia, e da una dei
deputati, eletti a suffragio assai ristretto. Garantiva una certa
indipendenza della magistratura, poiché i giudici, pur essendo
nominati dal re, erano inamovibili. La carta costituzionale del 1814
tracciò le linee secondo cui si resse lo stato francese fino alla
rivoluzione del 1848 quando
la Francia ottenne
un'
assemblea costituente eletta a suffragio universale, e una nuova
Costituzione, nella quale si stabiliva - per merito di Alexis
de Tocqueville -
un regime semipresidenziale, ponendo come ponte fra l'esecutivo e il
legislativo un Consiglio dei ministri - scelto dal presidente - i
quali dovevano controfirmare tutti i suoi atti ed erano responsabili
di fronte all'Assemblea.
Il
Principio di separazione dei poteri
La
separazione
(o
divisione)
dei
poteri è
uno dei principi fondamentali dello Stato di
diritto
per
evitare che concentrazione di attribuzioni possano spianare la strada
alla tirannia. All' interno di questo principio cardine del
Costituzionalismo i poteri devono potersi condizionare in modo da
bilanciarsi reciprocamente secondo uno schema di pesi e contrappesi
(ceck and balance) in base all'individuazione
di tre funzioni pubbliche alla base dell' attività governativa:
funzione e potere legislativo, funzione e potere esecutivo e funzione
e potere giudiziario.
In
particolare nelle moderne democrazie:
- la funzione legislativa è attribuita al parlamento, nonché eventualmente ai parlamenti degli stati federati o agli analoghi organi di altri enti territoriali dotati di autonomia legislativa, che costituiscono il potere legislativo;
- la funzione amministrativa è attribuita agli organi che compongono il governo e, alle dipendenze di questo, la Pubblica Amministrazione, i quali costituiscono il potere esecutivo;
Storicamente
l' idea della necessità della divisione del potere ha attraversato
tutta la riflessione politica d' occidente in base al principio che
la divisione del potere sovrano tra più soggetti sia un modo
efficace per prevenire abusi a
partire dalla
riflessione filosofica sulle forme
di governo
della Grecia classica,
dove il cosiddetto governo
misto era
visto come antidoto
alla
possibile degenerazione delle forme di governo "pure",
nelle quali tutto il potere è concentrato in un unico soggetto.
Platone
ne
La
Repubblica
già
parlava
di indipendenza del giudice dal potere politico. Aristotele,
nella Politica,
delineò una forma di governo misto, da lui denominata politìa,
nella quale confluivano i caratteri delle tre forme semplici da lui
teorizzate (monarchia,
aristocrazia,
democrazia);
distinse, inoltre, tre momenti nell'attività dello Stato:
deliberativo, esecutivo e giudiziario.
Polibio,
nelle
Storie,
indicò nella costituzione di Roma
repubblicana
un
esempio di governo misto, dove il potere era diviso tra istituzioni
democratiche (i comizi),
aristocratiche (il Senato)
e monarchiche (iconsoli).
Nel
XII
secolo Henry de Bracton,
nella sua opera De
legibus et consuetudinibus Algliæ,
introdusse la distinzione tra gubernaculum
eiurisdictio:
il primo è il momento "politico" dell'attività dello
Stato, nel quale vengono fatte le scelte di governo, svincolate dal
diritto; il secondo è, invece, il momento "giuridico", nel
quale vengono prodotte e applicate le norme giuridiche, con decisioni
vincolate al diritto (che, secondo la concezione medioevale, è prima
di tutto diritto di natura e consuetudinario).
È
però con John
Locke
che
la teoria della separazione dei poteri comincia ad assumere una
fisionomia simile all'attuale: i pensatori precedenti, infatti, pur
avendo individuato, da un lato, diverse funzioni dello Stato e pur
avendo sottolineato, dall'altro lato, la necessità di dividere il
potere sovrano tra più soggetti, non erano giunti ad affermare la
necessità di affidare ciascuna funzione a soggetti diversi. Locke,
nei Due
trattati sul governo
del
1690,
articola il potere sovrano in potere legislativo, esecutivo (che
comprende anche il giudiziario) e federativo (relativo alla politica
estera e alla difesa), il primo facente capo al parlamento e gli
altri due al monarca
(al
quale attribuisce anche il potere, che denomina prerogativa,
di decidere per il bene pubblico laddove la legge nulla prevede o, se
necessario, contro la previsione della stessa)
La
moderna teoria della separazione dei poteri viene tradizionalmente
associata al nome di De
Montesquieu,
filosofo francese, che
nello
Spirito
delle leggi,
pubblicato nel 1748, fonda la sua teoria sull'idea che "Chiunque abbia potere è
portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...].
Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere
arresti il potere". De
Montesquieu individua
tre poteri (intesi come funzioni) dello Stato - legislativo,
esecutivo e giudiziario - così descritti:
"In
base al primo di questi poteri, il principe
o
il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e
corregge o abroga quelle esistenti.
In
base al secondo, fa la pace
o
la guerra,
invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le
invasioni.
In
base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati".
Veniamo
all' oggi. In
Italia il Presidente
della repubblica ha come compito principale quello di garantite gli
equilibri fra i diversi poteri mentre
le tre funzioni non appaiono più così rigide nella loro esecuzione
in seguito a una incapacità politica di governo che abusa delle
possibilità costituzionali per attuare una evoluzione che può
essere pericolosa in quanto procede modificando e
intaccando,
di fatto, il
principio della separazione dei poteri, infatti:
- la funzione legislativa: assume sempre più leggi provvedimento, ovvero regole valevoli per soggetti e situazioni determinate, e l’esecutivo trova in alcuni sistemi la possibilità di emanare degli atti con forza di legge, cosi come avviene in Italia per decreti legge e decreti legislativi;
- la funzione legislativa: assume sempre più leggi provvedimento, ovvero regole valevoli per soggetti e situazioni determinate, e l’esecutivo trova in alcuni sistemi la possibilità di emanare degli atti con forza di legge, cosi come avviene in Italia per decreti legge e decreti legislativi;
-
la funzione giurisdizionale: si è allontanata dai modelli
tradizionali, infatti i giudici assumono sempre più importanza per
la definizione dei contenuti normativi dei testi legislativi;
-
la funzione di indirizzo politico: va ad aggiungersi alle tre
tradizionali forme di potere. Si tratta della preventiva
determinazione delle linee direttrici dell’azione statale a cui
dovranno attenersi poi le attività legislative ed esecutive.
In
conclusione: il Principio
di
separazione dei poteri è un' idea liberale per tutelare i cittadini
e preservarli da derive autoritarie quando una parte dell' intero
corpo di cittadini vorrebbe decidere tutto! Ma allora la decisione
non si può prendere e lo Stato rimane immobilizzato? La decisione si
può prendere nell' interesse dei cittadini e dello Stato e non di
una sola parte politica e sociale.
Indispensabile
allo Stato democratico repubblicano è l' indipendenza dei giudici!
Oggi siamo di fronte a delle criticità che è basilare problematizzare:
Oggi siamo di fronte a delle criticità che è basilare problematizzare:
il
conflitto d' interesse
la legge
elettorale sbilanciata e non rappresentativa
la
concentrazione di ricchezza e potere in mano a gruppi finanziari
il
potere della rete
il
potere dei partiti senza potere che hanno occupato lo Stato e la
società tutta e agiscono insieme per impoverire l' Italia.
Attenzione!
Tutte queste criticità sono superabili con i Principi della
Costituzione e non bisogna credere a chi dice che la Costituzione è
un ostacolo per superare queste criticità.
Il
Costituzionalismo è indispensabile all' esigenza di sottoporre il
potere a limiti e regole e dovrebbe essere un riflesso condizionato
perchè l' esperienza italiana ha reso evidente che i politici
vorrebbero prendere delle decisioni senza che nessuno intervenisse ma
chi ha il potere, nelle democrazie, non può abusarne quindi l' abuso
è bilanciato proprio dal Costituzionalismo. Il problema italiano è
particolarmente grave poiché la corruzione e la presenza di poteri
altri incombono ormai con l' esercizio di un potere pervasivo sui
cittadini i quali si trovano vampirizzati da un potere reale,
sostanziale e invisibile che arrva da ogni dove e da un potere
formale e visibile, quello dei partiti, il quale si tiene stretto il
potere di impoverire i cittadini per proprio tornaconto. In queste
circostanze ci si chiede se la dottrina del Costituzionalismo sia
efficace e risolutiva e la risposta è si perchè non c' è un' altra
riflessione politica altrettanto valida: tutti gli argomenti che
vanno a formare i discorsi pubblici attuali non sono altro che
strategie messe in campo per distrarre e disinformare per continuare
a esercitare un monopolio del potere patologico sui cittadini.
Attualmente
i politici italiani nascondono le loro incapacità adducendo i troppi
limiti imposti dalla Costituzione e invocano poteri più ampi come
per esempio il presidenzialismo citando il caso statunitense e,
attualmente, il caso francese.
I
poteri del Presidente della Repubblica in Italia
I
poteri del Presidente della Repubblica in Italia sono
definiti essenzialmente da tre articoli della Costituzione:
Art.
87.
- Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
- Può inviare messaggi alle Camere.
- Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.
- Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
- Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.
- Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.
- Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.
- Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.
- Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
- Presiede il Consiglio superiore della magistratura.
- Può concedere grazia e commutare le pene.
- Conferisce le onorificenze della Repubblica.
Art. 88.
Il
Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti,
sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non
può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato,
salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi
della legislatura.
Art. 90.
Il
Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o
per attentato alla Costituzione.
In
tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta
comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Art. 92.
Il
Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e
dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il
Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei
ministri e, su proposta di questo, i ministri.
Leggendo
questi articoli si può chiaramente notare che i poteri del
Presidente sono tutt'altro
che formali ma
sostanziali come ha ben dimostrato il settennato del Presidente
Napolitano e, in misura ancora maggiore, la sua rielezione del 20
aprile 2013. Parliamo
anche dell' enorme potere di influenza che un Presidente ha come
hanno dimostrato i casi del Presidente Cossiga e ancora di più del
Presidente Napolitano il quale però, attualmente,
avoca
a sé poteri legittimi ma considerati straordianari
nella
prassi democratica i cui esiti non si sa se sono stati positivi per
il popolo e per la sovranità del popolo (la nomina di Monti senatore
a vita e poi a capo del Governo, il conflitto di attribuzione e gli
interventi pubblici dichiaratamente politici!). Oggi il
Presidente ha in mano l' intero sistema del potere politico italiano
in seguito all' incapacità e al discredito dei politici e
questo intacca pesantemente l' Istituto della Sovranità popolare
(art.
1, II comma: La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione).
Ci
troviamo di fronte a un paradosso: il capo di Stato italiano ha
sostanzialmente più potere di altri capi di Stato formalmente
presidenzialisti. Questo è possibile proprio grazie al
Costituzionalismo ma allora che significato ha la richiesta che
proviene dai politici di riformare la Costituzione in senso
presidenzialista o semi-presidenzialista? Un primo obbiettivo è
quello di immettere nel dibattito pubblico discorsi distraenti dalla
loro disonestà e incapacità e un secondo obiettivo è quello di
inseguire un potere arbitrario per continuare a fare i loro interessi
personali. Allora
come si inserisce questo potere inedito attuale del Presidente?
Dovrebbe essere funzionale e utile a indirizzare i politici verso il
Principio di sovranità popolare la quale deve tradursi in benessere
per il popolo ma questo non avviene e il Presidente continua a fare
“prediche” inutili ed inascoltate contribuendo a mantenere una
pericolosa situazione reazionaria. Soprattutto
questo è il momento meno propizio per modificare la Costituzione
perchè il Principio di sovranità popolare è fortemente limitato
dal n. sempre più basso di elettori, dall' evidente disarmonia
politica presente in Italia e
dalla distanza ormai abissale fra politica e società!
La
distruzione della complessità democratica, l' impoverimento
consapevole da parte dei politici dei cittadini e l' occupazione di
tutta la P.A. consiglierebbero di mantenere la Costituzione e
applicarla finalmente senza intaccarla!
Il
Presidenzialismo statunitense
Il
Congresso
degli Stati Uniti d'America
è il Parlamento
con sede a Washingtona
nel
campidoglio ed è composto da due camere: Senato e Camera dei
Rappresentanti.
Il
Congresso degli Stati Uniti rappresenta il potere legislativo,
secondo quanto stabilisce la Costituzione
degli Stati Uniti che lo
disciplina all'art. I, sezioni da 1 a 10, così come il Presidente
degli Stati Uniti rappresenta il potere esecutivo.
Gli
Stati Uniti d' Amerca sono organizzati nella forma di potere della
Federazione
creata con la Costituzione, principale entità del sistema di governo
statunitense. Ogni persona al di fuori dalla capitale federale è
soggetta ad almeno tre livelli di governo (jurisdictions):
quello federale, quello dello stato e un governo locale, di solito
una contea (in certi luoghi la contea è stata abolita e le sue
funzioni sono svolte dalle autorità municipali). In un'area
amministrata da un comune (incorporated
place),
come una città, si è in presenza di un ulteriore livello di
governo, quello del comune stesso (municipality)
e dei suoi distretti, se
esistenti. Ogni livello ha il suo sistema politico, soggetto al
bilanciamento
limitativo
posto dai livelli superiori.
L'
elezione del Presidente degli
Stati Uniti d' America avviene indirettamente tramite il Collegio
elettorale degli Stati Uniti d' America e rimane
in carica quattro anni, rinnovabili
solo per un secondo mandato (dal 1951).
La Costituzione statunitense
stabilisce che il presidente
è investito del potere esecutivo a
livello federale (art. II,
sez. 1) e che a lui fanno capo le forze armate federali e le milizie
dei singoli Stati, ove
chiamate al servizio della Federazione. Per l'adempimento delle sue
alte prerogative in tema di sicurezza e politica estera,
quotidianamente riceve dall' intelligence
un rapporto, denominato
President's Daily Brief.
Sempre
l'art. II, dedicato al potere esecutivo, enumera altri poteri
esclusivi del presidente, come quelli di raccomandare al Congresso
le misure che ritiene
necessarie ed opportune,
Non
può essere sfiduciato dal Congresso durante il suo mandato, e può
decadere dall'incarico nel solo caso di impeachment.
Il
Presidente ha il potere di:
- di nominare consiglieri
- accordare la grazia
- sospendere le pene per i reati a livello federale.
L'esercizio
di altri poteri presidenziali è invece coordinato con l'attività
del Congresso. È il caso della promulgazione delle leggi approvate
da entrambe le camere, che include la possibilità di esercitare il
diritto di veto
(art.
I, sez. 7). In molte tipologie di atto la collaborazione con il
potere
legislativo si
sostanzia nel cosiddetto "advice
and consent"
del Senato.
Il presidente può così nominare diversi alti funzionari (inclusi i
segretari di dipartimento, corrispondenti grosso modo ai ministri di
un governo parlamentare), gli ambasciatori
e i giudici federali,
ma tali nomine devono essere scrutinate ed approvate dal Senato (a
maggioranza semplice). I due terzi dei voti espressi dai senatori
sono invece necessari per approvare i trattati
firmati
dal presidente.
Come
si può facilmente vedere il Presidente degli Stati Uniti d' America
non ha molto potere, diversamente da come appare nella filmografia, e
il suo, già limitato potere, è continuamente bilanciato dal
Congresso e dal Senato. La
titolarità del potere esecutivo lo rende totalmente estraneo al
potere amministrativo e non gli consentirebbe mai di utilizzare il
decreto-legge, inoltre, il suo potere d' influenza è inesistente e,
in conclusione, non ha poteri di spesa.
Per
fare un esempio: nel 1973 termina il coinvolgimento statunitense in
Vietnam per il quale Kissinger vince il premio Nobel per la pace ma a
influire pesantemente sulla fine della guerra fu, oltre all' opinione
pubblica, il fatto che le commissioni del Senato decisero di non dare
più finanziamenti per la guerra e il Presidente dovette tenerne
conto. Altro esempio è la riforma sanitaria messa come progetto
prioritario da Clinton ma i due rami del Congresso, a maggioranza
repubblicana, non gliel' hanno votata e poi riuscita mortificata con
Obama, nonostante la chiara volontà dei due presidenti. Il
Presidente è controllato dal Congresso e dipende dal bilancio
federale le cui decisioni sono determinanti per lo stanziamento di
fondi. Il Presidente può mettere il veto sulle leggi ma questo non è
garanzia del passaggio della legge ma solo del fatto che può essere
ripresa in considerazione: per passare deve coagularsi una
maggioranza dei due terzi. In
conclusione: negli Stati Uniti si realizza il Costituzionalismo,
dottrina che supera il Contrattualismo e realizza il bilanciamento
dei poteri.
Il
potere giudiziario statunitense
Il
Presidente degli stati Uniti d' America è competamente sottoposto
alla legge in un potere giudiziario che è fortissmo proprio in
funzione dei bilanciamenti dei poteri. Per esemplificare questo
potere valga la descrizione del “caso Nixon” sottoposto a
impeachment
perchè
accusato di aver messo dei registratori nelle sedi democratiche
(scandalo
Watergate);
interrogato Nixon negò il suo coinvolgimento e il fatto di mentire a
un giudice è intollerabile. Nixon poi si rifiutava di consegnare i
nastri con le registrazioni ma poi dovette farlo quando
la
questione dei nastri alla fine arrivò alla Crte suprema.
Il 24 luglio 1974 la corte affermò all' unanimità che la richiesta
di Nixon di usare il privilegio dell'esecutivo sui nastri era
inammissibile e gli ordinarono di consegnarli a Jaworski. Il 30
luglio Nixon eseguì l'ordine e rilasciò i nastri incriminati. Un
altro esempio è costituito da processo intentato al Presidente
Clinton in occasione del “caso Lewinsky”, una
relazione che lui inizialmente negò per la quale fu accusato di
spergiuro, fatto che condizionò pesantemente il suo mandato
presidenziale.
Fin
dagli anni '90 del '900 in Italia si è introdotto il dibattito sul
federalismo e sul presidenzialismo indicando, di volta in volta, la
forma presidenziale americana o spagnola ma poi, quando i politici,
si rendevano conto di cosa parlavano, in particolare sul fatto che
avrebbero visto limitato il loro potere, spostavano il dibattito
federalita su altri modelli esistenti o vagheggiavano un modello
italiano che serviva da argomento retorico in funzione del consenso.
Questo
semplicemente perchè il nostro sistema di potere, basato sul
Costituzionalismo, sarebbe perfetto ma ha l' unica pecca di avere
bisogno di professionalità politica, etica, onestà e onore.
Art.
54
- “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”
Ora
nei
discorsi
pubblici è
stato immesso il semi-presidenzialismo francese.
Per
prima cosa è assolutamente indispensabile dire che la Costituzione
americana e quella spagnola, al pari di quella italiana originano
dalla specifica storia dei popoli che l' hanno conquistata ed
elaborata e non ci può essere un modello esportabile per tutti gli
stati.
La
Costituzione americana risale al 1787
La
Costituzione italiana risale al 1947 dopo il fascismo
La
Costituzione francese risale al 1958,
redatta
da un' apposita commissione nominata da Charles
De Gaulles, Carta
che
ha
dato origine all'attuale sistema di governo francese, noto come
Quinta
Repubblica,
caratterizzato da una forma
di governo semipresidenziale.
Questa
formula trovava giustificazione nel momento storico in cui si
concettualizza nel quale c' era bisogno di superare il
parlamentarismo ritenuto
causa di inefficienza nella gestione politica del paese e
il rafforzamento dell' esecutivo unito alla centralità del ruolo
svolto dal Presidente della Repubblica si proponeva il superamento
della crisi dello Stato francese.
Nel
1958 la Francia era alle prese con una difficile situazione causata
dall' incapacità di superare il colonialismo: il 13 maggio del 1958
ci fu un colpo di stato ad Algeri con gravi ripercussioni in Francia
il
cui governo, guidato
da Pierre Pflimlin,
preso
dal panico, timoroso
che paracadutisti provenienti da Algeri potessero arrivare a Parigi,
insieme
con
il Presidente della Repubblica René Coty ritennero che solo de
Gaulle, con la sua autorità personale avrebbe
potuto
salvare la Francia.
-La
guerra
d'Algeria,
o meglio guerra
franco-algerina o
guerra
d'indipendenza algerina (in
Algeria anche Rivoluzione),
è il conflitto che oppose tra il 1º novembre 1954 e il 19 marzo
1962 l'esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal
Fronte
Nazionale di Liberazione
(FLN,
Front
de Libération Nationale),
che aveva rapidamente imposto la propria egemonia sulle altre
formazioni politiche. Lo scontro si svolse principalmente in Algeria
ma, a partire dal 1958, il Fln decise di aprire un secondo fronte in
Francia, scatenando una serie di attentati.-
Così
la Quarta Repubblica, senza reali opposizioni, si consegnò nelle
mani dell’uomo che l’aveva sempre combattuta e
De
Gaulle accettò l'
incarico;
il
1° giugno 1958 il Generale ebbe l’investitura dall’Assemblea
nazionale”. Come
si può ben capire il semi-presidenzialismo
prese forma con lo spettro della guerra civile e con De Gaulle
autorizzato dall' Assemblea a usufruire di poteri speciali per
affrontare la situazione algerina e ridimensionare il pericolo di
un’escalation
militare sullo stesso territorio nazionale.
La transizione verso la V Repubblica e il sistema semipresidenziale
fu deciso
dopo
un dibattito al quale non partecipò,
de Gaulle il
quale ricevette
l’investitura con 329 voti contro 224 contrari e 32 astensioni. Nei
due giorni successivi le Camere votano i poteri speciali.
De
Gaulle vinse
in modo democratico e per
non perdere tempo incaricò
Michel Debré
e un’ equipe di giovani amministratori di preparare in tempi
brevissimi una
bozza di Costituzione per
tradurre
le sue idee politiche, note fin dal discorso di Bayeux del 1946; poi
volerà in Algeria.
La
Costituzione francese avrà le seguenti caratteristiche:
Pur
restando nel quadro di un regime parlamentare, segnava una netta
riduzione
dei poteri delle Camere,
un ampliamento
dei poteri dell’esecutivo e
una forte iniziativa del Presidente della repubblica.
Quest’ultimo, cioè nel caso specifico de Gaulle, sarebbe stato
eletto da un ristretto corpo elettorale di notabili, circa centomila
( deputati, senatori, consiglieri generali, sindaci, consiglieri
municipali e delegati delle città). A lui sarebbe spettata la
designazione del Primo ministro (soggetto però alla perdita di
fiducia da parte della maggioranza parlamentare). Di fronte al
Parlamento i poteri del Presidente erano ampi: infatti egli poteva
scioglierlo quando lo riteneva necessario (art. 12). Il Presidente
poteva ricorre al popolo con un referendum (art. 11). Infine in base
all’articolo 16, il Presidente poteva assumere tutti i poteri in
momenti di crisi acuta dello Stato. La Francia era stata con grande
rapidità sottoposta al potere del generale de Gaulle, che assunse
apertamente il volto di “salvatore della patria” dalla
disgregazione in cui l’aveva gettata la IV Repubblica”. Il
semi-presidenzialismo francese nasce per salvare lo Stato con un vero
salvatore della patria e non per occuparlo definitivamente come
spiega molto bene la giornalista Barbara
Spinelli contro
la quale, in questi giorni, interviene l' establishment
di potere italiano attuale:
«De Gaulle in Francia concepì la Repubblica presidenziale per sormontare la guerra d’Algeria: aveva di fronte a sé un compito immane – la decolonizzazione – e alle spalle una classe politica incapace di decidere. Non aveva tuttavia uno Stato intimamente corroso come il nostro, in cui i cittadini credono sempre meno. La costituzione semi-monarchica nacque per adattarsi a lui – l’uomo che da solo era entrato in Resistenza, nel 1940 – non per servire un capopopolo stile Berlusconi, che non sopporta il laccio di leggi e costituzioni. La politica francese prima del 1958 era inservibile, ma la corruzione morale e mentale non l’aveva sgretolata sino a farla svanire. La nostra guerra d’Algeria l’abbiamo in casa: è la nostra casa, squassata, che va decolonizzata. Sono qui dentro i golpisti, non lontani nelle colonie. Piazzare all’ingresso dell’edificio un padre-padrone, con poteri più vasti ancora di quelli che già possiede, non preserva la casa dalla rovina. E poi non dimentichiamolo. Non fu facile far nascere la Quinta Repubblica. L’accentramento dei poteri all’Eliseo rese il Paese più efficiente, ma moltiplicò opache derive e non lo democratizzò. Avvenne piuttosto il contrario: un Presidente autocrate e decisamente di parte; un Parlamento in gran parte esautorato; un governo sempre sacrificabile dal Capo supremo, e non a caso chiamato fusibile: la Quinta Repubblica è anche questo, e venne confutata da politici e costituzionalisti di rilievo. [...] Più che bellissima, la nostra Carta è finalmente da realizzare. Credere di raddrizzarla con il presidenzialismo vuol dire aggiungere un potere, lasciandola storta. Dicono che il popolo tornerebbe a esser sovrano, votando il Presidente. Non è detto affatto, rammentano i detrattori della V Repubblica. Mitterrand descrive rischi che saranno anche i nostri: una volta svuotati Parlamento, politica, governi, “si installa una tecnocrazia rampante, una sfera di amministratori indifferenti al popolo” che “confiscano il potere della Rappresentanza nazionale”».
Barbara
Spinelli,
L’escamotage
presidenzialista,
La
Repubblica,
5 giugno 2013
La Costituzione spagnola è stata approvata nel 1977 dopo la dittatura franchista
Ritornando
alla situazione italiana
Da
quando sulla scena politica, l' elettorato, ha dato mandato di potere
a Berlusconi, la separazione dei poteri e è oggi l' indipendenza
dei poteri, l' equilibrio e il rapporto di reciproca limitazione
conosce una stagione inedita caratterizzata da un atttacco
sistematico al sistema giudicante che conosce, come tutti gli ambiti,
le limitazioni dovute agli errori umani ma la cui indipendenza deve
essere assolutamente garantita. Non
è perchè processano Berlusconi che si può intaccare il Principio
di separazione dei poteri! L'
indipendenza della magistratura implica anche le garanzie di libertà
per il cittadino stabilite dall' art. 13 della Costituzione in poi
(articoli
di libertà)!
Chi è che vigila affinchè i diritti trovino realizzazione? E' l'
organo indipendente e imparziale cioè il giudice. Lo spirito di
questo Principio è lo stesso del 1215 contenuto nella Magna Charta,
patto feudale fra re e baroni, lex terrae che rende sovrani la legge
e il giudizio imparziale.
L'
Italia pre-Costituzione
Il
suddito italiano, durante il fascismo, poteva essere arrestato senza
il mandato del giudice e tutti i diritti di libertà erano violati:
tutela
del domicilio;
segretezza
della corrispondenza;
libertà
di associazione;
libertà
di riunione per discutere di politica;
libertà
di manifestare;
libertà
di opinione attraverso la manifestazione del pensiero. Alla base di
tutti gli articoli di libertà c' è l' art.
21:
Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La
stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si
può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità
giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa
espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che
la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In
tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il
tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro
della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia
giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro
ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo
convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende
revocato e privo di ogni effetto.
La
legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi
noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono
vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre
manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce
provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
L'
“intelligenza politica del fascismo” aveva ben compreso l'
importanza della stampa ed infatti “eliminò” subito i giornali
“La Stampa e “Il Corriere” prestigiosi giornali
liberali emanazione dei gruppi finanziari con direttori-proprietari:
Frassati de Il Corriere e Albertini de La Stampa poi sostituiti dai
Crispi e dagli Agnelli. Gli interventi diventarono sempre più
asettici sotto le diffide del prefetto fino a sottomettersi
spontaneamente al regime e a un potere ben definito e visibile che
identificava la libertà del suddito con l' apparato statale.
Ecco
spiegata la Costituzione
rigida, una
rigidità necessaria che nasce dall' esigenza della massima tutela
dei cittadini che impedisce che le disposizioni della
stessa non possano
essere integrate, modificate o abrogate se non con procedure diverse
e più complesse (o, come si suol dire, aggravate)
rispetto a quelle previste per le leggi
ordinarie
(intese
in senso formale, come atti
del
Parlamento).
La
rigidità della Costituzione è garantita dalla Corte costituzionale
ed è una tutela indispensabile per contrastare il potere ingiusto.
Il cittadino è garantito anche contro il potere della Corte poiché
la Corte non può mai autoproporsi ma è chiamata a intervenire
attraverso pronunciamenti in seguito a quesiti proposti da altri
giudici. La Corte aspetta!
E'
assolutamente necessario che il cittadino comprenda che la
Costituzione garantisce i cittadini ma non garantisce, come è
giusto, i plitici ed è per questo che i politici se ne vogliono
appropriare!
I
cittadini oltre ad avere tutte le garanzie di libertà hanno anche
dei poteri che non sono tanti ma li hanno e sono elencati subito
all' art. 2:
- La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Oggi
molto discredito deriva dalla politica proprio perchè ha disatteso
il dovere inderogabile di solidarietà e, anzi, paradossalmente, ha
impoverito i cittadini con politiche economiche e riforme inique e
ingiuste e non solidali ai cittadini e
senza solidarietà lo Stato non cammina perchè non assolve il suo
ruolo definito fin dal Seicento dal Contrattualismo e poi dal
Costituzionalismo!
Oltre
al dovere di solidarietà lo Stato attuale difetta anche nella
imposizione fiscale e nella redistribuzione delle risorse secondo il
dettato dell' art.
53:
- Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Oggi
tutti capiscono che l' imposizione fiscale è troppo alta e questo è
un danno molto grave per i cittadini i quali avrebbero diritto di
avere dallo Stato una amministrazione efficiente, efficace e
imparziale.
Ma
allora la Costituzione è immutabilementre intorno tutto cambia?
La
Costituzione è divisa in due parti e i politici dicono chela seconda
parte si può cambiare ma attenzione percè la Costituzione così
com'è rispetta, assolve e risponde a tutti i Principi della nostra
cultura estetica, morale, etica e filosofica scaturiti dalla
riflessione politica e poi confluiti nell' ideologia democratica:
Principio
di coerenza;
Principio
di logica;
Principio
di coerenza;
Principo
di ragione;
Principio
di trasparenza;
Principio
di congruenza.
E
poi secondo l' art.
54:
- Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Questo
articolo è chiarissimo e ci dice che tutti devono vigilare sull'
osservanza della Costituzione e “i cittadini cui sono affidate
funzioni pubbliche (i politici) hanno il dovere di adempierle con
disciplina ed onore”,.....; la parola onore e onorevole deve
ritornare ad avere un peso e quando ritornerà ad avere un peso non
dovremmo più assistere a discussioni paradossali e a risposte date
dai politici, quando i cittadini li accomunano negativamente e loro
rispondono: “non siamo tutti uguali”. Allora io dico: tocca a
tutti i politici creare un clima di onore e non è sufficiente, a
quel livello, differenziarsi personalmente ma impegnarsi perchè il
clima generale di degrado cambi. Non sei uguale? Allora non è
sufficiente differenziarsi prendendo le distanze ma è obbligatorio
estendere l' onorabilità, non solo, bisogna anche vigilare perchè
solo chi ha onore arrivi al potere; io cttadina non voglio più
sentire la giustificazione del garantismo per spiegare la presenza
fra i parlamentari di persone non onorabili: finchè ritrovano l'
onore se ne stanno in disparte! Questo è lo snodo primario da
risolvere e non cambiare la Costituzione che è stata fatta in
previsione di avere persone oneste ecapaci al governo!
Allora
cambiare si può ma senza intaccare l' essenza della Costituzione e
il Costituzionalismo ricordandosi anche che la versione del
“premierato assoluto”, assieme ad altre importanti misure di
revisione costituzionale, è stata rifiutata dagli elettori durante
il referendum
costituzionale del 25 e 26 giugno 2006.
La
riforma costituzionale del Titolo v
Noi
abbiamo già un termine di paragone di una modifica costituzionale.
Negli
anni '70, in occasione della crisi della politica centrale statale,
in Italia si avvia un dibattito teso a rafforzare i poteri locali,
attraverso la modifica del titolo V della Costituzione. Del
dibattito se ne appropriò la politica in funzione strategica
arrivando a conclusione, con aspettative salvifiche, con la legge
costituzionale n. 1/1999, voluta
dalla sinistra, poi
approvata
con legge
costituzionale
il 18 ottobre 2001.
Questa riforma introduce il concetto fondamentale di sussidiarietà
verticale ed orizzontale. Che cosa significa sussidiarietà?
Significa
che
nello svolgimento delle funzioni pubbliche si preferisca l’ente più
vicino ai cittadini (s. verticale) e che si lasci che siano i privati
a svolgere alcune funzioni al posto del pubblico lasciando a questo
di fissare i parametri con
cui il privato eroga le funzioni pubbliche. (s. orizzontale).
Sempre
il Titolo
V della Parte seconda della Costituzione all’articolo 119 prevede
che oltre all’autonomia amministrativa I
Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno
autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Questo
principio non trova ancora applicazione piena nel nostro ordinamento
e la legge in parlamento sul “federalismo fiscale”, ed il
dibattito intorno ad essa, vuole attuare questo principio con una
soluzione che deve tenere conto che il concetto “unitario” della
nostra repubblica significa anche che i cittadini di tutta la
repubblica hanno diritto agli stessi servizi e allo stesso standard
di prestazione di questi servizi su tutto il territorio nazionale. Il
“federalismo Fiscale” deve quindi prevedere meccanismi di
ridistribuzione delle risorse dalle regioni economicamente ricche a
quelle svantaggiate.
Gli
articoli 121,122,123 modificano la forma di governo della Regione
intervenendo
sostanzialmente nel
ripartire alcune funzioni
legislative di
emanazione regionale.
Questa riforma ha portato a numerosi ricorsi, sia da parte dello
Stato che da parte delle regioni, in merito alla ripartizione delle
competenze tra i due livelli gerarchici.
In
special modo sono stati modificati alcuni articoli:
- articolo 114, il quale afferma che: <<La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione(...)>>, ponendo quindi sullo stesso piano (equiordinazione) regione e Stato (entrambi con potere a legiferare);
- articolo 117, in cui, tra l'altro, si riparte la potestà legislativa equiparata tra Stato e regioni (potestà esclusiva, concorrente e residuale) nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
- articolo 118, che attribuisce le funzioni amministrative ai comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;
- articolo 119, che definisce per gli enti locali l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Ora
tutti noi abbiamo la possibilità di riflettere e stabilire se questa
riforma ha portato dei benefici al cittadino e se ha risolto problemi
di economicità. La risposta è no! Ha portato solo a un doppio
livello di governo e a una nuova classe dirigente molto più onerosa
e spesso dannosa per i cittadini. Questo pasticcio andrebbe rivisto!
Le
maggiori criticità riguardano:
- La savaguardia del principio di unitarietà dello Stato, il bianciamento e la sostenibilità fra potere regionale e potere statale, la realizzazione del diritto di solidarietà e delle Pari Opportunità.
- L' erogazione dei servizi sanitari sottoposti a una limitazione di spesa che, di fatto, annullano i principi di gratuità ed assistenza su cui si basa il S.S.N.
- L' attuazione del federalismo fiscale
Possiamo
trarre delle conclusioni?
La
riforma del Titolo della Costituzione era una buona cosa ma andava
realizzata senza demagogia e senza strategie politiche. Io ho visto
una intera classe dirigente appropriarsi definitivamente di una
Istituzione e di un territorio, perlopiù devastandolo, aprendo al
privato permettendogli di agire e garantendogli il monopolio (nell'
edilizia pubblica, nella sanità, nel sociale e nella scuola)
intaccando definitivamente i diritti dei cittadini, il Principio di
solidarietà e annullando, di fatto, l' art. 3:
- Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
E
questo perchè al di là
dei livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, tutte
le differenziazioni di trattamento tra i cittadini residenti in
regioni diverse dovranno essere ritenute costituzionalmente
legittime in quanto naturale conseguenza dell'autonomia
regionale riconosciuta nella materia in questione.
Ora,
di fronte alla definitiva disfatta, tocca al cittadino intervenire
per ripristinare la realizzazione dei diritti ma tocca anche alle
Istituzioni intervenire per porre rimedio a un vero pasticcio che ha
danneggiato profondamente lo Stato e i cittadini! Ma
attenzione a non dare colpe che sono degli uomini, alla Costituzione!
La
problematizzazione del bicameralismo
Il
bicameralismo si può problematizzare?
E'
vero che il bicameralismo può diventare un problema perchè può
rallentare l' emanazione di una legge ma questo, spesso, è un bene e
inoltre risponde a un principio democratico. Andando a vedere gli
atti dell' Assemblea costituente si può comprendere che la
discussione sull' opportunità di avviare due camere è stata molto
accesa: in generale le forze di sinistra erano favorevoli a una
camera e i democratici, per la verità, erano incerti. Le maggiori
incertezze riguardavano le possibilità dell' art. 5:
- La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Il
principio che ha convinto
i costituenti sulla necessità di avere due camere è rafforzato
dall' articolo 57
che prevede l'elezione del Senato su base regionale:
- Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.
Per
rispettare la tradizione della concettualizzazione federale risalente
a Vincenzo Gioberti, di un federalismo funzionale all' unità, la
Costituzione del 1947 aveva dedicato il titolo V alle norme relative
ai governi locali le quali, nel corso degli anni, su spinte politiche
non sempre “oneste” vennero modificate in senso regionalista e
non federalista portando il modello di potere corrotto e inefficiente
a livello regionale.
La
storia della revisione del Titolo V della Costituzione
La
revisione dell’intero Titolo
V
della Costituzione dopo che
erano trascorsi trent’anni
dalla istituzione delle Regioni a statuto ordinario (1970), è un
fatto che di per se merita una approfondita riflessione, che riguarda
in primo luogo il sistema istituzionale italiano considerato nel suo
insieme.
Questa
considerazione preliminare non ha bisogno di particolari
dimostrazioni: è sufficiente, per condividerla, pensare - sul piano
giuridico - al carattere c.d. rigido della nostra costituzione, e -
sul piano storico - alla capacità di resistenza, al limite della
immodificabilità, del testo costituzionale per mezzo secolo (le
eccezioni hanno riguardato ritocchi quantitativamente modestissimi),
fino alla vigilia della revisione dell’intero Titolo V.
La
legge costituzionale n° 3 del 18.10.2001, infatti, è stata
preceduta, come è noto, dalla emanazione della legge costituzionale
n° 1 del 22 novembre 1999, generalmente conosciuta per aver
introdotto - in via transitoria e fino all’introduzione dei nuovi
statuti regionali, come invece generalmente non si ricorda - la
elezione diretta dei presidenti di regione. La legge cost. n° 1 del
1999, dunque, ha rappresentato, per così dire, il primo tempo della
revisione costituzionale sul tema "Le Regioni, le Province, i
Comuni", per stare alla rubrica del vecchio come del nuovo
Titolo V. In quest’ordine di idee, scontando le critiche di natura
metodologica che ogni schematizzazione di per se comporta, sembra
corretto affermare che la nuova disciplina costituzionale rappresenta
l’ultima e, sul piano giuridico - formale, più significativa
espressione di un’intera fase, poco più che decennale, della
nostra vita pubblica, che ha obiettivamente introdotto modificazioni
sostanziali sia al profilo ed alle funzioni delle istituzioni
regionali e locali, sia alla configurazione dello Stato nella sua
(almeno) duplice espressione, di "Stato – persona" e di
"Stato – comunità", sia - ed è questo l’aspetto
generale che qui particolarmente interessa e sul quale conviene
innanzi tutto soffermarsi - alle relazioni tra istituzioni regionali
e locali ed al rapporto tra esse e lo Stato.
La
fase che riteniamo meritevole di speciale considerazione nel senso
spiegato, è quella che inizia con la emanazione della legge 142
(giugno 1990).
Questa
legge sembrò rappresentare il punto di approdo di una discussione e
di una rielaborazione teorica e pratica che erano state aperte a metà
degli anni settanta, sulla spinta dell’istituzione dell’ordinamento
regionale, e quasi a conclusione della prima legislatura regionale:
si ricordi la legge n° 382 del 1975 e la legislazione delegata
attuativa (in particolare il d.p.r. n° 616 del 1977), senza
dimenticare la parallela riorganizzazione delle funzioni nel settore
dell’assistenza e della sanità (e la soppressione degli enti
strumentali: mutue, i.p.a.b. nazionali, ecc.).
Si
aprì, invece, di lì a poco, il decennio, che giunge fino alla legge
di revisione della quale parliamo, e che, a partire dalla riforma del
sistema elettorale di comuni e province (1993), passando poi per la
prima modificazione del sistema elettorale delle regioni (1995), e
per le c.d. leggi Bassanini (n° 59 e 127 del 1997), con i relativi
provvedimenti attuativi (in particolare il d.p.r. n° 112 del 1998),
solo per limitarci alle tappe con rilevanza generale, ha segnato una
trasformazione del sistema istituzionale che al momento della
emanazione della legge 142/90 nessuno poteva immaginare, ed è - come
si vede dal contenuto del nuovo Titolo V - ancora suscettibile di
modificazioni e sviluppi importanti, anche se non possono in astratto
escludersi battute d’arresto e perfino ritorni all’indietro.
Le
ragioni del cambiamento verso il potere locale risiedono nella Storia
recepite dalla Costituzione e incoraggiate, non sempre con esiti
rispondenti a criteri etici, dalla particolare situazione politica
italiana che ha considerato la transizione verso il potere locale
come una propria palestra motivazionale su cui costruire il consenso
invece di realizzare veramente il decentramento amministrativo con
criteri di efficacia ed efficienza e realizzare modifiche per dare
veramente potere al cittadino come prevedevano anche gli Ordinamenti
europei. Non è un caso che tutta la riflessione sulla modifica del
Titolo V avviene mentre una intera classe dirigente, processata per
corruzzione, lascia il posto a un' altra che si presenta con
obiettivi magici e salvifici. In Italia più che una riforma
federalista si è realizzato il regionalismo demagogico in seguito a:
- ribellione al centralismo
- “diritto alla ricchezza prodotta nei territori”
In
sintesi:
- la modifica del Titolo V della Costituzione accomuna in dignità lo Stato e l' ente locale prossimo al cittadino; art. 114: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato". (La Provincia oggi è in fase di scioglimento e la città metropolitana non si è realizzata)
- assegna la funzione amministrativa al Comune; art. 114: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato", costituzionalizzando il Principio di sussidiarietà. Riguardo la suissidiarietà si specifica che tutte le istituzioni, ivi compreso lo stato, hanno il compito di "favorire" "l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base, appunto, del principio di sussidiarietà "
- affida alle Regioni la facoltà di legiferare in determinate materie e secondo quanto stabilito al quarto comma dell’articolo 117: "Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
In
base a quanto detto avrebbe senso un bicameralismo che, invece del
Senato, realizzasse una Camera per le autonomie ma questa avrebbe
senso in presenza di un vero federalismo dove due camere hanno
veramente senso come
nello stato federale per
eccellenza che
è il modello statunitense.
Gli Stati Uniti infatti sono composti da cinquantuno stati ognuno con
la sua peculiare organizzazione statale (civile, penale e
amministrativa), e pur questo, ciascuno unito agli altri Stati
federati in materie fondamentali come l’economia, la finanzia, la
politica estera, la sicurezza interna e la difesa. Il
Senato americano è composto da due membri per ogni Stato per un
totale di 102 senatori i quali esprimono il loro partito e il loro
Stato mentre da noi prevale la rappresentanza dei poteri corporativi.
I costituenti stessi si interrogavano sul significato di questo
senato e poi decisero che potesse essere una camera di decantazione
utile alla democrazia! Oggi con la cessione di potere alle Regioni
questo Senato non è più necessario per cui questa è una riforma
che si potrebbe avviare.
Un
altro percorso da rivedere è quello che riguarda l' eleggibilità
dei parlamentari che attualmente è affidato a una commissione
parlamentare che non è un organo terzo ma è sempre di emanazione
politica per cui decidono sempre per l' eleggibilità all' interno di
evidenti interessi reciprochi.
Resta
sempre insoluto il gravissimo problema della rappresentanza: oggii
rappresentanti non sono responsabili verso gli elettori ma verso chi
li ha messi in lista ed è sempre utile ricordare che il Principio di
rappresentanza evoca la responsabilità e non è solo una delega di
potereper cui bisogna ristabilire il rapporto di responsabilità fra
eletto, elettore e istituzione.
In
conclusione
Oggi
viviamo all' interno di un paradosso: la richiesta da parte dei
politici di modificare una Costituzione che è servita da esempio per
tutte le Costituzione scritte dopo la sua stesura e mai realizzata! I
politici stanno facendo un gioco sporchissimo perchè vogliono far
cadere sulla Costituzione le colpe della loro incapacità e del loro
discredito. Se oggi riflettiamo sulla posizione che ha una
persona/cittadino all' interno di questo Stato possiamo vedere che è
stato completamente disatteso il progetto dei padri costotuenti i
quali intendevano assegnare un ruolo centrale al cittadino all'
interno di diritti inalienabili di libertà dopo l' esperienza di
potere del fascismo che assegnava centralità allo Stato. Attualmente
assistiamo a una manovra inedita della politica che semplicemente
annulla i principi democratici oggettivizzando e disprezzando la
persona e impoverendo il cittadino. L' attacco alla Costituzione si
colloca in questa logica distruttiva per il cittadino e per quello
che resta dello Stato! Lorenza Cervellin
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