domenica 9 giugno 2013

STORIA DELLO STATO: IL COSTITUZIONALISMO -Continuazione 26-

Premessa
Il termine 'costituzionalismo' nel linguaggio storico-politico indica la riflessione intorno ad alcuni principî giuridici che consentono a una Costituzione di assicurare nelle diverse situazioni storiche il miglior ordine politico possibile favorevole al cittadino. Questa riflessione si traduce anche nello studio del percorso intrapreso e portato a termine da uomini liberi e responsabili nella costruzione della civiltà occidentale anche attraverso peripezie fisiche e psicologiche culminate nella conquista della Costituzione. La prima Carta di cui si ha notizia è il documento MAGNA CHARTA LIBERTATUM del 1215 in cui il re Giovanni Senza Terra, fratello di Riccardo Cuor di Leone, riconosceva i diritti dei feudatari, della Chiesa, delle città inglesi e di tutti gli uomini liberi, nei confronti del sovrano d' Inghilterra. Da quel momento l' idea di una Carta finalizzata a riconoscere i diritti di libertà limitando le sovranità tiranniche attraverserà tutta la Storia d' Europa estendendo sempre di più gli obiettivi libertari fino ad accogliere anche le istanze delle masse ad iniziare, concettualmente, con la Rivoluzione francese. Storicamente, l' idea di costruire un potere favorevole ai cittadini, è sempre stata presente seppure in forme diverse: nel diritto romano e poi nel diritto medievale (civile e canonico), constitutio indicava una promulgazione, un decreto, un'ordinanza fatta dalla suprema autorità (l'imperatore, il papa, il re) all' interno di una forma di potere personale e visibile che concedeva ma poi, con l' esperienza comunale, l' uomo impara a conquistare il potere e ad agire su di esso per provare ad avere una parte per se ed ecco che dal Medioevo al periodo Moderno assistiamo al capovolgimento o al rovesciamento di significato di due termini chiave del costituzionalismo, quello di politica e quello di costituzione che sono anche i due termini chiave della transizione del potere da privato e personale a pubblico e impersonale
Per noi la Costituzione deve limitare e imbrigliare la politica per favorire la libera azione della persona; nel Medioevo la constitutio rientra nella prerogativa del re, mentre il politicum - come afferma John Fortescue in De laudibus legum Angliae - è dato dalle leggi - le ossa e i nervi del corpo politico - che limitano l'arbitrio del caput, della testa, cioè del re ma limitare il potere del re e richiamarlo all' esercizio esclusivo delle sue prerogative non era facile ed è per questo che i feudatari si conquisteranno la Magna Charta. Nel Medioevo si ignorava la parola, ma non il concetto: la definizione più usata è quella di leggi fondamentali (fundamental laws, lois fondamentales, Grundgesetze), in base al principio che dettava: lex supra regem, quia lex facit regem. Principio che l'assolutismo capovolgerà in quello che afferma: rex facit legem. La parola Costituzione assume il suo significato profondo e moderno, quello dell'insieme delle norme in base alle quali un corpo politico deve essere governato, solo in età Moderna: la troviamo usata di sfuggita da John Locke (1632-1704) nel secondo dei suoi Two treatises of government (Due trattati sul Governo), poi -nel cap. 3- concettualmente approfondita in George Savile, primo marchese di Halifax (1633-1695), e in Henry Saint-John, primo visconte di Bolingbroke (1678-1751). Un'ultima precisazione terminologica: costituzione, costituzionale, costituzionalismo sono termini che nascono assieme ed esprimono lo stesso significato, ma poi col tempo hanno preso strade differenti e questi percorsi diversi si si esprime il progressivo allontanamento del costituzionalismo, come teoria politica normativa, dalla scienza giuridica positivista.
La scienza giuridica positivista

Il positivismo è considerato una dottrina formale del diritto che si contrappone alle dottrine filosofico-giuridiche sostanziali espresse dalle teorie gius-naturalistiche. Secondo il positivismo, oggetto di studio della scienza giuridica è il diritto positivo, ovvero l’insieme delle norme poste da un soggetto abilitato in conformità delle regole sulla produzione giuridica (dal latino ius positivum che significa "posto" o "imposto". Imposto dall'autorità). La morale non è qualificabile come diritto, indipendentemente dal valore che possiamo associare alle norme che ad essa appartengono. Le prescrizioni morali diventano norme giuridiche soltanto se, attraverso una specifica procedura formale, vengono inserite all’interno di un complesso di norme poste da un’autorità legittimata a creare diritto, secondo le regole che definiscono le forme della sua produzione.
Il cosiddetto diritto naturale, oggetto di studio ed elaborazione delle dottrine gius-naturalistiche, non è affatto diritto per il positivismo, che anzi lo ritiene soltanto un’espressione degli specifici valori del particolare sistema morale cui si riferisce. Diritto e morale sono piuttosto sistemi deontici distinti: il primo è un fatto, e più propriamente quel fatto giuridico che è creato da un’autorità legittimata a produrlo; la seconda è quel particolare impianto di valori associati a certi comportamenti da un individuo o da un gruppo di individui appartenenti ad una comunità. Pertanto un certo insieme di norme è diritto in virtù esclusivamente della sua forma, in quanto linguaggio artificiale prodotto in conformità di certe regole ed indipendentemente dai suoi specifici contenuti, dai quali, al contrario, un sistema morale, perché lo si possa valutare come tale, non può certo prescindere.
Sono soprattutto questi due elementi, l’individuazione del diritto operata mediante un criterio esclusivamente formale e la tesi della separazione tra diritto e morale, ad essere oggetto di critica da parte delle riflessioni filosofico-giuridiche che più hanno posto al centro del loro studio la struttura ed il funzionamento degli ordinamenti costituzionali. Questi nuovi approcci al diritto condividono l’idea che la dottrina positivista non abbia dato adeguato rilievo alle costituzioni: che della struttura costituzionale dell’ordinamento sia stata proposta una lettura insufficiente, inidonea a rendere conto delle trasformazioni del diritto derivanti dalla costituzionalizzazione dei sistemi normativi.
Le Costituzioni scritte dopo l' esperienza totalitaria hanno spazzato via ogni posizione rigida accogliendo a tutti gli effetti il giusnaturalismo e i suoi principi come ispiratori dell' attualità giuridica.

Il Costituzionalismo Contemporaneo

Il costituzionalismo Contemporaneo, come riflessione, risale alla Dichiarazione d' Indipendenza degli Stati Uniti d' america del 4 luglio 1776 anche in presenza di reazioni conservatrici che si manifestarono fin dall' inizio come per esempio la Convenzione di Filadelfia del 1787 che rappresentò, invece, un momento di involuzione conservatrice. La Carta scritta e la dichiarazione dei diritti sono elementi caratterizzanti il moderno costituzionalismo, ma non la judicial review (revisone giudiziale), che instaurerebbe, invece, il governo dei giudici. Per Alexander Hamilton, uno dei padri Fondatori degli Stati Uniti, il moderno costituzionalismo, che ha il suo battesimo in America, raggiunge la sua maturità solo in Francia durante la Rivoluzione nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789.
Prime riflessioni: la prima preoccupazione della disciplina del Costituzionalismo Antico, Moderno e Contemporaneo non guarda tanto a quale forma di potere affidare il governo ma come si deve governare poiché si propone alla limitazione del potere del Governo attraverso il Diritto: si può dire che esso, il Costituzionalismo, sia la tecnica giuridica delle libertà dell' uomo, non solo, il Costituzionalismo va oltre e conferma che solo all' interno e protetti dalla Costituzione il cittadino ha la possibilità di agire le libertà mentre al di fuori è schiavo. Il Costituzionalismo si afferma in seguito alle libere e responsabili azioni di libertà dei feudatari inglesi preoccupati delle azioni limitanti di un potere monarchico cieco, violento, superbo e tirannico ed è quindi un fatto storico e morale. Non sorge dal nulla ma da un pensiero di libertà già presente nelle antiche assemblee rappresentative dei popoli europei i quali volevano muoversi liberamente nei territori, commerciare, coltivare le terre ed anche esercitare il diritto di conquista senza che il monarca avesse dei monopoli indiscussi. Le libertà economiche si affermano subito come preminenti e darà forma al Costituzionalismo liberista dell' età Moderna mentre, in età Contemporanea e l' avvento delle Democrazie, il Costituzionalismo perde la sua essenza liberista in favore di una essenza liberale e libertaria. Il conflitto fra queste due essenze è oggi a livelli di asprezza totali fra forze reazionarie le quali usano la sovranità popolare e progressiste le quali sono incapaci a dare forma a un governo efficace e governare la complessità.
Il Costituzionalismo Contemporaneo si articola attorno a cinque nuclei storici e ideologici molto potenti:
  1. il potere costituente
  2. la Dichiarazione dei diritti
  3. la separazione dei poteri
  4. la Costituzione scritta
  5. il controllo di costituzionalità delle leggi
Non dobbiamo mai dimenticare che il Costituzionalismo è un prodotto culturale e intellettuale fra i più riusciti della Storia dell' uomo frutto del suo sacrificio e della sua libera azione personale, nasce dalla Storia e nella Storia, in azioni agonistiche nelle quali si sono intrecciati mirabilmente pensieri e atti all' interno di un mondo di valori condivisi ed è perciò inutile puntualizzare che distruggere questo mondo di senso è criminale! All' interno del Costituzionalismo c' è la possibilità della realizzazione della giustizia sociale e delle Pari opportunità, tensione e motore della nostalgia del futuro.
Attualmente il cittadino è costretto a vivere all' interno di una contraddizione pericolosissima: il Costituzionalismo è messo in discussione proprio dai politici che dovrebbero averlo sempre come guida ma per spostare l' attenzione dalla loro incapacità adducono sempre a supposti limiti della Costituzione mentre è chiaro che la responsabilità del malgoverno è loro.
In tutto il percorso umano nella Storia d' occidente, fino ad ora massima espressione di civiltà, solo il cosituzionalismo, può garantire le libertà di tutti gli uomini al' interno delle regole!

Il Costituzionalismo e la Costituzione

Il termine Costituzionalismo ha acquistato il suo spessore e la sua potenza concettuale e morale negli Stati Uniti d' America, nel periodo fra le due guerre, quando, in opposizione alla democrazia totalitaria europea, si cominciò a riflettere sui peculiari caratteri della democrazia costituzionale americana. Studiosi e storici del Costituzionalismo sono: lo storico Charles Howard McIlwain (1871-1968), il costituzionalista Edward S. Corwin (1878-1963), il teorico della politica Carl J. Friedrich (1901-1984). In realtà fra le due guerre mondiali questo termine non aveva ancora uno status semantico ben definito: basti guardare le opposte definizioni contenute nell'Enciclopedia Italiana (1929) e nell'Encyclopaedia of the Social Sciences (1930):
  • nella prima Gino Solazzi è ancora fermo alla monarchia costituzionale prevista dallo Statuto albertino: non si parla di diritti degli individui, ma - secondo la scuola tedesca - di una autolimitazione dello Stato a favore delle libertà individuali, è sempre utile ricordare che lo Statuto albertino è stato concesso in una società dalla quale le masse erano escluse.
  • Nella seconda l' enciclopedista Walton H. Hamilton, risente fortemente del clima progressista della "New history" al cui centro è l' uomo.
Nel 2005, Giorgio Bongiovanni, professore di filosofia del diritto, scrive Costituzionalismo e teoria del diritto (Roma-Bari, Laterza), libro che ha il merito di cercare di inquadrare in maniera precisa e dettagliata le attuali prospettive teorico-giuridiche, proponendosi come uno studio comprensivo e sistematico delle recenti riflessioni teoriche sulle novità introdotte dalla costituzionalizzazione dei sistemi normativi relativamente alla loro struttura e alla loro dinamica: quegli elementi, in altri termini, che fanno di un ordinamento una democrazia costituzionale e che ne definiscono le specifiche modalità di funzionamento. Oggi non bisogna mai dimenticare che Costituzionalismo, Democrazia e Morale sono legati indissolubilmente.

La Costituzione in Italia

L'Assemblea Costituente della Repubblica italiana, composta di 556 deputati, fu eletta il 2 giugno 1946 e si riunì in prima seduta il 25 giugno nel palazzo Montecitorio. L'Assemblea continuò i suoi lavori fino al 31 gennaio 1948. Durante tale periodo si tennero 375 sedute pubbliche, di cui 170 furono dedicate alla discussione e all'approvazione della nuova Costituzione.
La Commissione per la Costituzione era composta da 75 membri (Commissione dei 75) i quali elaborarono la Costuzione in linea con i principi sostanziali di libertà e giustizia dopo l' esperienza del fascismo totalitario. La Costituzione italiana realizza la Democrazia, la legalità e la morale ed è quindi un capolavoro etico-giuridico presa come esempio di Costitzione moderna e in particolare per la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomoadottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 Vista la deliberazione dell’Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana. La Costituzione italiana è rimasta congelata lasciando spazio alla legge ordinaria ma gradualmente ne è stata incoraggiata la realizzazione anche attraverso i pronunciamenti dell' Alta Corte la quale è entrata nei pieni poteri dopo una lenta attuazione:
  • la Costituzione ha previsto la istituzione della Corte e le sue funzioni fondamentali (articolo 134), la sua composizione (articolo 135), gli effetti delle sue decisioni sulle leggi (articolo 136); ma ha rinviato a successive leggi costituzionali e ordinarie l’ulteriore disciplina di essa e della sua attività. Era dunque necessario che venissero approvate queste leggi, perché la Corte potesse concretamente costituirsi e iniziare a funzionare. Nel febbraio del 1948 la stessa Assemblea costituente (i cui poteri erano stati prorogati per due mesi) approvò la legge costituzionale n. 1 del 1948, che stabilisce chi e come può ricorrere alla Corte. Si dovettero attendere però cinque anni perché venissero approvate la legge costituzionale n. 1 del 1953 e la legge ordinaria n. 87 dello stesso anno, che completano l’ordinamento della Corte. Dopo lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni (svoltesi sempre nel 1953), altri ritardi furono dovuti alle difficoltà del Parlamento di trovare gli accordi necessari ad eleggere, con le elevate maggioranze richieste, i cinque giudici di sua competenza. Solo nel 1955 fu completata la prima composizione della Corte costituzionale, che si insediò nel palazzo della Consulta e si diede la prima necessaria organizzazione, emanando anche le norme regolamentari per la disciplina dei suoi procedimenti: le cosiddette “Norme integrative”. Sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, finalmente la Corte era in grado di funzionare ed ha funzionato tentando di far emergere l' indirizzo progressista limitando la “reazione”.
Oggi la Costituzione è sotto attacco e la Corte è impegnata continuamente nel continuare la piena realizzazione del dettato costituzionale mentre le forze reazionarie appaiono più forti che mai incoraggiate dalla crisi finanziaria che ne garantisce l' occultamento. Mettere in discussione la Costituzione appare pericolosissimo per una democrazia agognata e mai realizzata e per la tenuta dello stesso Stato.

Il Costituzionalismo a Padova

L' Università degli Studi di Padova ha una tradizione costituzionalista la quale si esprime nella “Scuola di cultura costituzionale”
La Scuola di cultura costituzionale è un’iniziativa promossa dall’Università degli Studi di Padova, d’intesa con l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, e realizzata in collaborazione con il Comune di Padova, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Padova e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Direttore e Responsabile scientifico della Scuola è Lorenza CARLASSARE, Professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università di Padova e prima donna titolare della cattedra di diritto costituzionale.
La Scuola intende promuovere la conoscenza della Costituzione italiana e la formazione di una consapevole cultura costituzionale
e, in particolare, Lorenza carlassare, si impegna per far conoscere e difendere la Costituzione italiana.
I cittadini e il potere nella Costituzione italiana
E' assolutamente utile e necessario sapere che solo all' interno della Costituzione si può continuare a tentare la realizzazione della democrazia poiché solo la Costituzione garantisce degli spazi di potere al popolo come viene enunciato nella prima parte contenente i principi fondamentali:
Art. 1.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Qui c' è l' indicazione principale. Andando a leggere le 16mila pagine degli atti elaborati dai 75 si può vedere che invece del verbo appartiene avevano usato il verbo emana rendendosi subito conto che il verbo emanare poteva offrire una interpretazione distorta delle loro intenzioni che invece erano molto chiare per cui usarono il verbo appartiene per significare che la sovranità e la continuità di questo potere ha carattere di continuità e risiede sempre nei cittadini. L' appartenenza fa si che il cittadino debba sempre esercitare il suo poterenon solo nel momento in cui esercita i diritti politici: una cosa che ci appartiene ci rende anche responsabili nella durata.
Quale rapporto c' è fra i cittadini e lo Stato in Italia?
Nella democrazia rappresentativa il popolo non può decidere direttamente salvo in occasione dei referendum e proprio per compensare questa impossibilità della decisione diretta ci sono lo Stato e gli apparati pubblici che sono “strumenti” al servizio dei cittadini (popolo) proprio per dare la possibilità di esercitare la sovranità. Da questa realtà specificata dall' art. 1 non emerge una idea distorta della sovranità ma chiara: la sovranità appartiene al popolo. Questa certezza impone una necessaria e costante conformità della politica tutta all' opinione del corpo elettorale e la Costituzione contempla il potere di sciogliere le Camere quando le Camere sono impossibilitate a svolgere la loro attività in seguito a un clima conflittuale che ne impedisce il lavoro e quando esiste, di fatto, una constatata, oggettiva e provata dissociazione fra il popolo e i sui rappresentanti. In Italia tutto questo è successo in occasione dei risultati contradditori fra i risultati delle elezioni amministrative e le elezioni politiche (vedi i casi Pisapia e De Magistris) e poi quando vengono disattesi i risultati dei referendum.
In Italia si sono svolti 4 referendum non abrogativi: il primo è stato un referendum istituzionale per scegliere tra monarchia e repubblica, il secondo è stato un referendum consultivo, gli ultimi due sono stati referendum costituzionali.
In Italia, dal 1974, si sono svolti 66 referendum abrogativi, per un totale di 16 consultazioni fra cui molti, considerati molto importanti, disattesi:
- Abrogazione delle norme limitative della Responsabilita’ Civile per i Giudici: disatteso
- Abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti: disatteso
- 3 referendum per abrogare altrettanti ministeri, tipo l’Agricoltura ed il Turismo: disattesi
- Abrogazione delle norme per le nomine ai vertici delle banche pubbliche: direi che lo spirito del referendum e’ stato del tutto disatteso (di fatti molti CDA sono composti da politicanti ed amici)
- Abrogazione della norma che definisce pubblica la RAI in modo da avviarne la privatizzazione: dopo 16 anni la RAI e’ ancora Pubblica
In presenza di contraddizioni, disattenzioni unite a una legge elettorale inefficace nella rappresentanza e inefficiente al governo ci fa concludere che il tramite necessario fra i cittadini e le Istituzioni cioè i partiti non assolvono la loro funzione per cui i cittadini sono chiamati a concorrere come stabilito dall' art. 49 della Costituzione:
TITOLO IV -RAPPORTI POLITICI-
Art. 49.
Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Attenzione! Questo articolo riguarda i partiti ma non ha come soggetto i partiti bensì tutti i cittadini i quali hanno diritto di associarsi. Questo articolo esprime chiaramente la funzione dei partiti come strumenti dei cittadini e ci dice chiaramente che i partiti non sono lo Stato e tantomeno lo rappresentano ma sono solo delle libere associazioni di cittadini come deve essere nelle repubbliche strutturate per dare spazio al popolo. Fra i cittadini e il potere c' è la Costituzione la quale garantisce la democrazia e la Repubblica ma deve essere chiaro che la Costituzione non è transitoria come un partito ma rimane e non è neanche uno strumento in mano ai partiti o qualcosa che deve servire a loro ma è il documento fondamentale a garanzia dei diritti dei cittadini e non può essere trasformata come una Carta che serve e facilita il potere dei partiti in base a una supposta modificabilità che, in realtà, non deve esserci pena la fine formale e sostanziale di una democrazia mai realizzata compiutamente. Questo articolo permette a un gruppo di cittadini di proporsi e di organizzarsi in una struttura di potere per governare ma nel contempo non esclude gli altri cittadini che possono organizzarsi a loro volta per sostituire classi dirigenti incapaci e corrotte sempre perchè il potere appartiene al popolo. L' art. 39 giustifica un potere debole? Si se i politici sono incapaci e corrotti, no se i politici agiscono per l' interesse generale e non personale.
E' utile che ogni uomo che si appresi alla politica legga Max Weber, il quale nella conferenza "La politica come professione" (1919), chiedendosi cosa possa significare la politica come professione, fornisce alcune categorie importanti per la definizione del politico. Il titolo della conferenza, in tedesco, è "Politik als Beruf": Weber gioca qui (ma anche altrove) col termine Beruf, che significa tanto "professione" quanto "vocazione", cosicchè l'opera può intendersi tanto come "la politica come professione" quanto come "la politica come vocazione".
  • Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l'uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. Passione nel senso di Sachlichkeit: dedizione appassionata a una "causa" (Sache), al dio o al diavolo che la dirige. [...] Essa non crea l'uomo politico se non mettendolo al servizio di una "causa" e quindi facendo della responsabilità, nei confronti appunto di questa causa, la guida determinante dell'azione. Donde la necessità della lungimiranza - attitudine psichica decisiva per l'uomo politico - ossia della capacità di lasciare che la realtà operi su di noi con calma e raccoglimento interiore: come dire, cioè, la distanza tra le cose e gli uomini. La "mancanza di distacco" (Distanzlosigkeit), semplicemente come tale, è uno dei peccati mortali di qualsiasi uomo politico e una di quelle qualità che, coltivate nella giovane generazione dei nostri intellettuali, li condannerà all'inettitudine politica. E il problema è appunto questo: come possono coabitare in un medesimo animo l'ardente passione e la fredda lungimiranza? La politica si fa col cervello e non con altre parti del corpo o con altre facoltà dell'animo. E tuttavia la dedizione alla politica, se questa non dev'essere un frivolo gioco intellettuale ma azione schiettamente umana, può nascere ed essere alimentata soltanto dalla passione. Ma quel fermo controllo del proprio animo che caratterizza il politico appassionato e lo distingue dai dilettanti della politica che semplicemente "si agitano a vuoto", è solo possibile attraverso l'abitudine alla distanza in tutti i sensi della parola. La "forza" di una "personalità" politica dipende in primissimo luogo dal possesso di doti siffatte. L'uomo politico deve perciò soverchiare dentro di sé, giorno per giorno e ora per ora, un nemico assai frequente e ben troppo umano: la vanità comune a tutti, nemica mortale di ogni effettiva dedizione e di ogni "distanza", e, in questo caso, del distacco rispetto a se medesimi. La vanità è un difetto assai diffuso, e forse nessuno ne va del tutto esente. Negli ambienti accademici e universitari è una specie di malattia professionale. [...] Giacché si danno in definitiva due sole specie di peccati mortali sul terreno della politica: mancanza di una "causa" giustificatrice (Unsachlichkeit) e mancanza di responsabilità (spesso, ma non sempre, coincidente con la prima). La vanità, ossia il bisogno di porre in primo piano con la massima evidenza la propria persona, induce l'uomo politico nella fortissima tentazione di commettere uno di quei peccati o anche tutti e due. Tanto più, in quanto il demagogo è costretto a contare "sull'efficacia", ed è perciò continuamente in pericolo di divenire un istrione, come pure di prendere alla leggera la propria responsabilità per le conseguenze del suo agire e di preoccuparsi soltanto "dell'impressione" che egli riesce a fare. Egli rischia, per mancanza di una causa, di scambiare nelle sue aspirazioni la prestigiosa apparenza del potere per il potere reale e, per mancanza di responsabilità, di godere del potere semplicemente per amor della potenza, senza dargli uno scopo per contenuto. [...] Il mero "politico della potenza" (Machtpolitiker), quale cerca di glorificarlo un culto ardentemente professato anche da noi, può esercitare una forte influenza, ma opera di fatto nel vuoto e nell'assurdo. In ciò i critici della "politica di potenza" hanno pienamente ragione. Dall'improvviso intimo disfacimento di alcuni tipici rappresentanti di quell'indirizzo, abbiamo potuto apprendere per esperienza quale intrinseca debolezza e impotenza si nasconda dietro questo atteggiamento borioso ma del tutto vuoto. [...] E' perfettamente vero, ed è uno degli elementi fondamentali di tutta la storia (sul quale non possiamo qui soffermarci in dettaglio), che il risultato finale dell'azione politica è spesso, dico meglio, è di regola in un rapporto assolutamente inadeguato è sovente addirittura paradossale col suo significato originario. Ma appunto perciò non deve mancare all'azione politica questo suo significato di servire a una causa, ove essa debba avere una sua intima consistenza. Quale debba essere la causa per i cui fini l'uomo politico aspira al potere e si serve del potere, è una questione di fede. Egli può servire la nazione o l'umanità, può dar la sua opera per fini sociali, etici o culturali, mondani o religiosi, può essere sostenuto da una ferma fede nel "progresso" non importa in qual senso - oppure può freddamente respingere questa forma di fede, può inoltre pretendere di mettersi al servizio di una "idea", oppure, rifiutando in linea di principio siffatta pretesa, può voler servire i fini esteriori della vita quotidiana - sempre però deve avere una fede. Altrimenti la maledizione della nullità delle creature incombe effettivamente - ciò è assolutamente esatto - anche sui successi politici esteriormente più solidi. (Max Weber, La politica come professione)
Leggendo queste parole risulta chiarissimo il ruolo della Costituzione perchè il potere non può essere lasciato all' uomo politico il quale raramente raggiunge le qualità delineate da Weber.
La necessità di avere una Carta a garanzia dei cittadini risale al 1789: La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 (Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen) è un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione francese, contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali dell'individuo e del cittadino. È stata emanata il 26 agosto del 1789, basandosi sulla Dichiarazione d' indipendenza americana. Questo documento ha ispirato numerose Carte costituzionali e il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti della libertà e dignità umana i cui principi e valori hanno costituito un baluardo contro le ideologie totalitarie con espresso riferimento all' art. 16:
  • Ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti e determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione.
Le Costituzioni francesi fra rivoluzione e reazione

(1791-1814): periodo di Costituzioni varate e abrogate in stretta successione e in sintonia con gli eventi tumultuosi della Rivoluzione, dell' età Napoleonica e della Restaurazione. Ciascuna di esse costituì un modello di assetto dello stato ispirato a concezioni ideologico-politiche ben distinte. Nel 1791 fu varata la prima costituzione scritta della Francia. Sanciva solennemente i principi ispiratori dei provvedimenti legislativi emanati dal 1789 in poi, sotto l'incalzare degli eventi rivoluzionari. Nel preambolo riportava la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino votata dall'Assemblea costituente il 26 agosto 1789. In essa, oltre a rivendicare i diritti naturali dell'individuo (diritto alla libertà personale, di pensiero, di opinione, d'espressione; alla proprietà; alla resistenza all'oppressione) e l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, si affermava il principio della sovranità nazionale e si definiva la legge come espressione della volontà generale. La costituzione conservava l'ordinamento monarchico del paese, ma limitava le prerogative del re dei francesi e subordinava alla legge il suo volere e attribuiva al sovrano il potere esecutivo e il diritto di veto sospensivo nonché la facoltà di nominare e revocare i ministri, i capi militari, gli ambasciatori e i principali amministratori. Demandava il potere legislativo a un corpo permanente, composto da una sola camera, eletta a suffragio censitario a doppio grado. Stabiliva che i giudici, designati dal popolo, esercitassero le loro funzioni sotto la sorveglianza di un tribunale di cassazione. Fissava inoltre il nuovo assetto territoriale del paese che sostituiva alle circoscrizioni dell'ancien régime dipartimenti, distretti, cantoni e municipi. Ben più avanzata sul terreno politico e sociale fu la Costituzione dell'anno primo (1793). Voluta dai montagnardi al potere, fu adottata per acclamazione dalla Convenzione e approvata, come la successiva costituzione del 1795, da un referendum popolare. Pur non essendo mai entrata in vigore a causa dell'emergenza imposta dalla guerra contro la prima coalizione, divenne punto di riferimento per il pensiero democratico del secolo successivo. Nella preliminare Dichiarazione dei diritti si affermavano nuovi principi quali la fraternità tra i popoli e il diritto dei singoli al lavoro, all'istruzione, all'assistenza, alla felicità, all'insurrezione. Sfavorevole alle prerogative del potere esecutivo (esercitato da un Consiglio di ventiquattro membri) di cui limitava pesantemente le competenze, privilegiava il corpo legislativo composto da una sola Camera, i cui membri erano eletti annualmente a suffragio universale. I cittadini potevano intervenire direttamente nell'attività legislativa attraverso referendum richiesti da almeno un decimo degli elettori delle assemblee primarie in metà dei dipartimenti. Assai più “moderata” fu laCostituzione dell'anno terzo (1795) che rifletteva la preoccupazione di contenere gli eccessi della precedente e di consolidare la preminenza della borghesia escludendo la partecipazione del popolo “passivo” cioè privo di reddito, dalla partecipazione politica. Nella Dichiarazione introduttiva si rifaceva largamente al testo del 1791 ma, per reazione alla dittatura montagnarda, specificava che nessun individuo o gruppo di cittadini poteva ritenersi depositario della sovranità. Per la prima volta menzionava, oltre i diritti dell'uomo, anche i doveri che consistevano essenzialmente nell'obbligo di rispettare la legge e le autorità costituite. Sanciva la separazione dei poteri, delegando quello esecutivo a un Direttorio composto di cinque membri e quello legislativo a due assemblee elette a suffragio censitario e indiretto: il Consiglio dei cinquecento, che proponeva ed elaborava le leggi, e quello degli anziani, che le varava o respingeva. Conservava nelle sue grandi linee l'organizzazione amministrativa del territorio nazionale, mantenendo la suddivisione in dipartimenti, cantoni e comuni, ma sopprimendo i distretti. Le costituzioni del periodo napoleonico gradualmente segnarono il riflusso delle idee rivoluzionarie e l'approdo a un nuovo dispotismo. La Costituzione dell'anno ottavo (1799), la prima che non si aprisse con una dichiarazione dei diritti, affidava il governo del paese a tre consoli, il primo dei quali godeva di ampie prerogative e, oltre a promulgare le leggi, nominava i ministri, gran parte dei funzionari civili e militari e i componenti del Consiglio di stato. Quest'ultimo organo redigeva le leggi che erano discusse dai membri del Tribunato e votate dal Corpo legislativo. Il suffragio universale era ristabilito; perdeva tuttavia significato, poiché i cittadini non eleggevano i propri rappresentanti, ma alcuni notabili tra i quali il Senato designava i componenti delle assemblee legislative. I senatori, inamovibili e cooptati su liste presentate dal primo console, avevano il ruolo di custodi della costituzione. Essi, però, non adottarono mai linee di condotta autonome e tramite successivi "senatoconsulti" si prestarono a indebolire i corpi legislativi e a rafforzare la posizione del primo console (Napoleone), che venne proclamato console a vita nel 1802 e imperatore nel 1804. Con la restaurazione borbonica (1814) una nuova carta costituzionale venne concessa ai francesi per grazia del sovrano (vedi costituzione octroyée) senza che fosse deliberata da un'Assemblea costituente come le precedenti. Pur ribadendo la teoria della sovranità per diritto divino, non sconfessava alcune importanti conquiste politiche e sociali della rivoluzione quali l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'abolizione dei privilegi fiscali, la libertà di pensiero, di espressione, di religione. Riservava al re non solo il potere esecutivo, ma anche l'esclusivo diritto dell'iniziativa legislativa nonché la facoltà di emettere regolamenti e ordinanze per l'esecuzione delle leggi. Introduceva, inoltre, un sistema bicamerale composto da una Camera dei pari, di nomina regia, e da una dei deputati, eletti a suffragio assai ristretto. Garantiva una certa indipendenza della magistratura, poiché i giudici, pur essendo nominati dal re, erano inamovibili. La carta costituzionale del 1814 tracciò le linee secondo cui si resse lo stato francese fino alla rivoluzione del 1848 quando la Francia ottenne un' assemblea costituente eletta a suffragio universale, e una nuova Costituzione, nella quale si stabiliva - per merito di Alexis de Tocqueville - un regime semipresidenziale, ponendo come ponte fra l'esecutivo e il legislativo un Consiglio dei ministri - scelto dal presidente - i quali dovevano controfirmare tutti i suoi atti ed erano responsabili di fronte all'Assemblea.
Il Principio di separazione dei poteri
La separazione (o divisione) dei poteri è uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto per evitare che concentrazione di attribuzioni possano spianare la strada alla tirannia. All' interno di questo principio cardine del Costituzionalismo i poteri devono potersi condizionare in modo da bilanciarsi reciprocamente secondo uno schema di pesi e contrappesi (ceck and balance) in base all'individuazione di tre funzioni pubbliche alla base dell' attività governativa: funzione e potere legislativo, funzione e potere esecutivo e funzione e potere giudiziario.
In particolare nelle moderne democrazie:
  • la funzione legislativa è attribuita al parlamento, nonché eventualmente ai parlamenti degli stati federati o agli analoghi organi di altri enti territoriali dotati di autonomia legislativa, che costituiscono il potere legislativo;
  • la funzione amministrativa è attribuita agli organi che compongono il governo e, alle dipendenze di questo, la Pubblica Amministrazione, i quali costituiscono il potere esecutivo;
  • la funzione giurisdizionale è attribuita ai giudici, che costituiscono il potere giudiziario.
Storicamente l' idea della necessità della divisione del potere ha attraversato tutta la riflessione politica d' occidente in base al principio che la divisione del potere sovrano tra più soggetti sia un modo efficace per prevenire abusi a partire dalla riflessione filosofica sulle forme di governo della Grecia classica, dove il cosiddetto governo misto era visto come antidoto alla possibile degenerazione delle forme di governo "pure", nelle quali tutto il potere è concentrato in un unico soggetto. Platone ne La Repubblica già parlava di indipendenza del giudice dal potere politico. Aristotele, nella Politica, delineò una forma di governo misto, da lui denominata politìa, nella quale confluivano i caratteri delle tre forme semplici da lui teorizzate (monarchia, aristocrazia, democrazia); distinse, inoltre, tre momenti nell'attività dello Stato: deliberativo, esecutivo e giudiziario. Polibio, nelle Storie, indicò nella costituzione di Roma repubblicana un esempio di governo misto, dove il potere era diviso tra istituzioni democratiche (i comizi), aristocratiche (il Senato) e monarchiche (iconsoli).
Nel XII secolo Henry de Bracton, nella sua opera De legibus et consuetudinibus Algliæ, introdusse la distinzione tra gubernaculum eiurisdictio: il primo è il momento "politico" dell'attività dello Stato, nel quale vengono fatte le scelte di governo, svincolate dal diritto; il secondo è, invece, il momento "giuridico", nel quale vengono prodotte e applicate le norme giuridiche, con decisioni vincolate al diritto (che, secondo la concezione medioevale, è prima di tutto diritto di natura e consuetudinario).
È però con John Locke che la teoria della separazione dei poteri comincia ad assumere una fisionomia simile all'attuale: i pensatori precedenti, infatti, pur avendo individuato, da un lato, diverse funzioni dello Stato e pur avendo sottolineato, dall'altro lato, la necessità di dividere il potere sovrano tra più soggetti, non erano giunti ad affermare la necessità di affidare ciascuna funzione a soggetti diversi. Locke, nei Due trattati sul governo del 1690, articola il potere sovrano in potere legislativo, esecutivo (che comprende anche il giudiziario) e federativo (relativo alla politica estera e alla difesa), il primo facente capo al parlamento e gli altri due al monarca (al quale attribuisce anche il potere, che denomina prerogativa, di decidere per il bene pubblico laddove la legge nulla prevede o, se necessario, contro la previsione della stessa)
La moderna teoria della separazione dei poteri viene tradizionalmente associata al nome di De Montesquieu, filosofo francese, che nello Spirito delle leggi, pubblicato nel 1748, fonda la sua teoria sull'idea che "Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere". De Montesquieu individua tre poteri (intesi come funzioni) dello Stato - legislativo, esecutivo e giudiziario - così descritti:
"In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti.
In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni.
In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati".
Veniamo all' oggi. In Italia il Presidente della repubblica ha come compito principale quello di garantite gli equilibri fra i diversi poteri mentre le tre funzioni non appaiono più così rigide nella loro esecuzione in seguito a una incapacità politica di governo che abusa delle possibilità costituzionali per attuare una evoluzione che può essere pericolosa in quanto procede modificando e intaccando, di fatto, il principio della separazione dei poteri, infatti:
- la funzione legislativa: assume sempre più leggi provvedimento, ovvero regole valevoli per soggetti e situazioni determinate, e l’esecutivo trova in alcuni sistemi la possibilità di emanare degli atti con forza di legge, cosi come avviene in Italia per decreti legge e decreti legislativi;
- la funzione giurisdizionale: si è allontanata dai modelli tradizionali, infatti i giudici assumono sempre più importanza per la definizione dei contenuti normativi dei testi legislativi;
- la funzione di indirizzo politico: va ad aggiungersi alle tre tradizionali forme di potere. Si tratta della preventiva determinazione delle linee direttrici dell’azione statale a cui dovranno attenersi poi le attività legislative ed esecutive.
In conclusione: il Principio di separazione dei poteri è un' idea liberale per tutelare i cittadini e preservarli da derive autoritarie quando una parte dell' intero corpo di cittadini vorrebbe decidere tutto! Ma allora la decisione non si può prendere e lo Stato rimane immobilizzato? La decisione si può prendere nell' interesse dei cittadini e dello Stato e non di una sola parte politica e sociale.
Indispensabile allo Stato democratico repubblicano è l' indipendenza dei giudici!
Oggi siamo di fronte a delle criticità che è basilare problematizzare:
il conflitto d' interesse
la legge elettorale sbilanciata e non rappresentativa
la concentrazione di ricchezza e potere in mano a gruppi finanziari
il potere della rete
il potere dei partiti senza potere che hanno occupato lo Stato e la società tutta e agiscono insieme per impoverire l' Italia.
Attenzione! Tutte queste criticità sono superabili con i Principi della Costituzione e non bisogna credere a chi dice che la Costituzione è un ostacolo per superare queste criticità.
Il Costituzionalismo è indispensabile all' esigenza di sottoporre il potere a limiti e regole e dovrebbe essere un riflesso condizionato perchè l' esperienza italiana ha reso evidente che i politici vorrebbero prendere delle decisioni senza che nessuno intervenisse ma chi ha il potere, nelle democrazie, non può abusarne quindi l' abuso è bilanciato proprio dal Costituzionalismo. Il problema italiano è particolarmente grave poiché la corruzione e la presenza di poteri altri incombono ormai con l' esercizio di un potere pervasivo sui cittadini i quali si trovano vampirizzati da un potere reale, sostanziale e invisibile che arrva da ogni dove e da un potere formale e visibile, quello dei partiti, il quale si tiene stretto il potere di impoverire i cittadini per proprio tornaconto. In queste circostanze ci si chiede se la dottrina del Costituzionalismo sia efficace e risolutiva e la risposta è si perchè non c' è un' altra riflessione politica altrettanto valida: tutti gli argomenti che vanno a formare i discorsi pubblici attuali non sono altro che strategie messe in campo per distrarre e disinformare per continuare a esercitare un monopolio del potere patologico sui cittadini.
Attualmente i politici italiani nascondono le loro incapacità adducendo i troppi limiti imposti dalla Costituzione e invocano poteri più ampi come per esempio il presidenzialismo citando il caso statunitense e, attualmente, il caso francese.
I poteri del Presidente della Repubblica in Italia
I poteri del Presidente della Repubblica in Italia sono definiti essenzialmente da tre articoli della Costituzione:
Art. 87.
  1. Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
  2. Può inviare messaggi alle Camere.
  3. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.
  4. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
  5. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.
  6. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.
  7. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.
  8. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.
  9. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
  10. Presiede il Consiglio superiore della magistratura.
  11. Può concedere grazia e commutare le pene.
  12. Conferisce le onorificenze della Repubblica.
Art. 88.
Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Art. 90.
Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
TITOLO III, IL GOVERNO Sezione I, Il Consiglio dei ministri.
Art. 92.
Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.
Leggendo questi articoli si può chiaramente notare che i poteri del Presidente sono tutt'altro che formali ma sostanziali come ha ben dimostrato il settennato del Presidente Napolitano e, in misura ancora maggiore, la sua rielezione del 20 aprile 2013. Parliamo anche dell' enorme potere di influenza che un Presidente ha come hanno dimostrato i casi del Presidente Cossiga e ancora di più del Presidente Napolitano il quale però, attualmente, avoca a sé poteri legittimi ma considerati straordianari nella prassi democratica i cui esiti non si sa se sono stati positivi per il popolo e per la sovranità del popolo (la nomina di Monti senatore a vita e poi a capo del Governo, il conflitto di attribuzione e gli interventi pubblici dichiaratamente politici!). Oggi il Presidente ha in mano l' intero sistema del potere politico italiano in seguito all' incapacità e al discredito dei politici e questo intacca pesantemente l' Istituto della Sovranità popolare (art. 1, II comma: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione).
Ci troviamo di fronte a un paradosso: il capo di Stato italiano ha sostanzialmente più potere di altri capi di Stato formalmente presidenzialisti. Questo è possibile proprio grazie al Costituzionalismo ma allora che significato ha la richiesta che proviene dai politici di riformare la Costituzione in senso presidenzialista o semi-presidenzialista? Un primo obbiettivo è quello di immettere nel dibattito pubblico discorsi distraenti dalla loro disonestà e incapacità e un secondo obiettivo è quello di inseguire un potere arbitrario per continuare a fare i loro interessi personali. Allora come si inserisce questo potere inedito attuale del Presidente? Dovrebbe essere funzionale e utile a indirizzare i politici verso il Principio di sovranità popolare la quale deve tradursi in benessere per il popolo ma questo non avviene e il Presidente continua a fare “prediche” inutili ed inascoltate contribuendo a mantenere una pericolosa situazione reazionaria. Soprattutto questo è il momento meno propizio per modificare la Costituzione perchè il Principio di sovranità popolare è fortemente limitato dal n. sempre più basso di elettori, dall' evidente disarmonia politica presente in Italia e dalla distanza ormai abissale fra politica e società! La distruzione della complessità democratica, l' impoverimento consapevole da parte dei politici dei cittadini e l' occupazione di tutta la P.A. consiglierebbero di mantenere la Costituzione e applicarla finalmente senza intaccarla!
Il Presidenzialismo statunitense
Il Congresso degli Stati Uniti d'America è il Parlamento con sede a Washingtona nel campidoglio ed è composto da due camere: Senato e Camera dei Rappresentanti.
Il Congresso degli Stati Uniti rappresenta il potere legislativo, secondo quanto stabilisce la Costituzione degli Stati Uniti che lo disciplina all'art. I, sezioni da 1 a 10, così come il Presidente degli Stati Uniti rappresenta il potere esecutivo.
Gli Stati Uniti d' Amerca sono organizzati nella forma di potere della Federazione creata con la Costituzione, principale entità del sistema di governo statunitense. Ogni persona al di fuori dalla capitale federale è soggetta ad almeno tre livelli di governo (jurisdictions): quello federale, quello dello stato e un governo locale, di solito una contea (in certi luoghi la contea è stata abolita e le sue funzioni sono svolte dalle autorità municipali). In un'area amministrata da un comune (incorporated place), come una città, si è in presenza di un ulteriore livello di governo, quello del comune stesso (municipality) e dei suoi distretti, se esistenti. Ogni livello ha il suo sistema politico, soggetto al bilanciamento limitativo posto dai livelli superiori.
L' elezione del Presidente degli Stati Uniti d' America avviene indirettamente tramite il Collegio elettorale degli Stati Uniti d' America e rimane in carica quattro anni, rinnovabili solo per un secondo mandato (dal 1951). La Costituzione statunitense stabilisce che il presidente è investito del potere esecutivo a livello federale (art. II, sez. 1) e che a lui fanno capo le forze armate federali e le milizie dei singoli Stati, ove chiamate al servizio della Federazione. Per l'adempimento delle sue alte prerogative in tema di sicurezza e politica estera, quotidianamente riceve dall' intelligence un rapporto, denominato President's Daily Brief.
Sempre l'art. II, dedicato al potere esecutivo, enumera altri poteri esclusivi del presidente, come quelli di raccomandare al Congresso le misure che ritiene necessarie ed opportune,
Non può essere sfiduciato dal Congresso durante il suo mandato, e può decadere dall'incarico nel solo caso di impeachment.
Il Presidente ha il potere di:
  1. di nominare consiglieri
  2. accordare la grazia
  3. sospendere le pene per i reati a livello federale.
L'esercizio di altri poteri presidenziali è invece coordinato con l'attività del Congresso. È il caso della promulgazione delle leggi approvate da entrambe le camere, che include la possibilità di esercitare il diritto di veto (art. I, sez. 7). In molte tipologie di atto la collaborazione con il potere legislativo si sostanzia nel cosiddetto "advice and consent" del Senato. Il presidente può così nominare diversi alti funzionari (inclusi i segretari di dipartimento, corrispondenti grosso modo ai ministri di un governo parlamentare), gli ambasciatori e i giudici federali, ma tali nomine devono essere scrutinate ed approvate dal Senato (a maggioranza semplice). I due terzi dei voti espressi dai senatori sono invece necessari per approvare i trattati firmati dal presidente.
Come si può facilmente vedere il Presidente degli Stati Uniti d' America non ha molto potere, diversamente da come appare nella filmografia, e il suo, già limitato potere, è continuamente bilanciato dal Congresso e dal Senato. La titolarità del potere esecutivo lo rende totalmente estraneo al potere amministrativo e non gli consentirebbe mai di utilizzare il decreto-legge, inoltre, il suo potere d' influenza è inesistente e, in conclusione, non ha poteri di spesa. Per fare un esempio: nel 1973 termina il coinvolgimento statunitense in Vietnam per il quale Kissinger vince il premio Nobel per la pace ma a influire pesantemente sulla fine della guerra fu, oltre all' opinione pubblica, il fatto che le commissioni del Senato decisero di non dare più finanziamenti per la guerra e il Presidente dovette tenerne conto. Altro esempio è la riforma sanitaria messa come progetto prioritario da Clinton ma i due rami del Congresso, a maggioranza repubblicana, non gliel' hanno votata e poi riuscita mortificata con Obama, nonostante la chiara volontà dei due presidenti. Il Presidente è controllato dal Congresso e dipende dal bilancio federale le cui decisioni sono determinanti per lo stanziamento di fondi. Il Presidente può mettere il veto sulle leggi ma questo non è garanzia del passaggio della legge ma solo del fatto che può essere ripresa in considerazione: per passare deve coagularsi una maggioranza dei due terzi. In conclusione: negli Stati Uniti si realizza il Costituzionalismo, dottrina che supera il Contrattualismo e realizza il bilanciamento dei poteri.
Il potere giudiziario statunitense
Il Presidente degli stati Uniti d' America è competamente sottoposto alla legge in un potere giudiziario che è fortissmo proprio in funzione dei bilanciamenti dei poteri. Per esemplificare questo potere valga la descrizione del “caso Nixon” sottoposto a impeachment perchè accusato di aver messo dei registratori nelle sedi democratiche (scandalo Watergate); interrogato Nixon negò il suo coinvolgimento e il fatto di mentire a un giudice è intollerabile. Nixon poi si rifiutava di consegnare i nastri con le registrazioni ma poi dovette farlo quando la questione dei nastri alla fine arrivò alla Crte suprema. Il 24 luglio 1974 la corte affermò all' unanimità che la richiesta di Nixon di usare il privilegio dell'esecutivo sui nastri era inammissibile e gli ordinarono di consegnarli a Jaworski. Il 30 luglio Nixon eseguì l'ordine e rilasciò i nastri incriminati. Un altro esempio è costituito da processo intentato al Presidente Clinton in occasione del “caso Lewinsky”, una relazione che lui inizialmente negò per la quale fu accusato di spergiuro, fatto che condizionò pesantemente il suo mandato presidenziale.
Fin dagli anni '90 del '900 in Italia si è introdotto il dibattito sul federalismo e sul presidenzialismo indicando, di volta in volta, la forma presidenziale americana o spagnola ma poi, quando i politici, si rendevano conto di cosa parlavano, in particolare sul fatto che avrebbero visto limitato il loro potere, spostavano il dibattito federalita su altri modelli esistenti o vagheggiavano un modello italiano che serviva da argomento retorico in funzione del consenso. Questo semplicemente perchè il nostro sistema di potere, basato sul Costituzionalismo, sarebbe perfetto ma ha l' unica pecca di avere bisogno di professionalità politica, etica, onestà e onore.
Art. 54
  • Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
    I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”
Ora nei discorsi pubblici è stato immesso il semi-presidenzialismo francese.
Per prima cosa è assolutamente indispensabile dire che la Costituzione americana e quella spagnola, al pari di quella italiana originano dalla specifica storia dei popoli che l' hanno conquistata ed elaborata e non ci può essere un modello esportabile per tutti gli stati.
La Costituzione americana risale al 1787
La Costituzione italiana risale al 1947 dopo il fascismo
La Costituzione francese risale al 1958, redatta da un' apposita commissione nominata da Charles De Gaulles, Carta che ha dato origine all'attuale sistema di governo francese, noto come Quinta Repubblica, caratterizzato da una forma di governo semipresidenziale. Questa formula trovava giustificazione nel momento storico in cui si concettualizza nel quale c' era bisogno di superare il parlamentarismo ritenuto causa di inefficienza nella gestione politica del paese e il rafforzamento dell' esecutivo unito alla centralità del ruolo svolto dal Presidente della Repubblica si proponeva il superamento della crisi dello Stato francese. Nel 1958 la Francia era alle prese con una difficile situazione causata dall' incapacità di superare il colonialismo: il 13 maggio del 1958 ci fu un colpo di stato ad Algeri con gravi ripercussioni in Francia il cui governo, guidato da Pierre Pflimlin, preso dal panico, timoroso che paracadutisti provenienti da Algeri potessero arrivare a Parigi, insieme con il Presidente della Repubblica René Coty ritennero che solo de Gaulle, con la sua autorità personale avrebbe potuto salvare la Francia.
-La guerra d'Algeria, o meglio guerra franco-algerina o guerra d'indipendenza algerina (in Algeria anche Rivoluzione), è il conflitto che oppose tra il 1º novembre 1954 e il 19 marzo 1962 l'esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte Nazionale di Liberazione (FLN, Front de Libération Nationale), che aveva rapidamente imposto la propria egemonia sulle altre formazioni politiche. Lo scontro si svolse principalmente in Algeria ma, a partire dal 1958, il Fln decise di aprire un secondo fronte in Francia, scatenando una serie di attentati.-
Così la Quarta Repubblica, senza reali opposizioni, si consegnò nelle mani dell’uomo che l’aveva sempre combattuta e De Gaulle accettò l' incarico; il 1° giugno 1958 il Generale ebbe l’investitura dall’Assemblea nazionale”. Come si può ben capire il semi-presidenzialismo prese forma con lo spettro della guerra civile e con De Gaulle autorizzato dall' Assemblea a usufruire di poteri speciali per affrontare la situazione algerina e ridimensionare il pericolo di un’escalation militare sullo stesso territorio nazionale. La transizione verso la V Repubblica e il sistema semipresidenziale fu deciso dopo un dibattito al quale non partecipò, de Gaulle il quale ricevette l’investitura con 329 voti contro 224 contrari e 32 astensioni. Nei due giorni successivi le Camere votano i poteri speciali.
De Gaulle vinse in modo democratico e per non perdere tempo incaricò Michel Debré e un’ equipe di giovani amministratori di preparare in tempi brevissimi una bozza di Costituzione per tradurre le sue idee politiche, note fin dal discorso di Bayeux del 1946; poi volerà in Algeria.
La Costituzione francese avrà le seguenti caratteristiche:
Pur restando nel quadro di un regime parlamentare, segnava una netta riduzione dei poteri delle Camere, un ampliamento dei poteri dell’esecutivo e una forte iniziativa del Presidente della repubblica. Quest’ultimo, cioè nel caso specifico de Gaulle, sarebbe stato eletto da un ristretto corpo elettorale di notabili, circa centomila ( deputati, senatori, consiglieri generali, sindaci, consiglieri municipali e delegati delle città). A lui sarebbe spettata la designazione del Primo ministro (soggetto però alla perdita di fiducia da parte della maggioranza parlamentare). Di fronte al Parlamento i poteri del Presidente erano ampi: infatti egli poteva scioglierlo quando lo riteneva necessario (art. 12). Il Presidente poteva ricorre al popolo con un referendum (art. 11). Infine in base all’articolo 16, il Presidente poteva assumere tutti i poteri in momenti di crisi acuta dello Stato. La Francia era stata con grande rapidità sottoposta al potere del generale de Gaulle, che assunse apertamente il volto di “salvatore della patria” dalla disgregazione in cui l’aveva gettata la IV Repubblica”. Il semi-presidenzialismo francese nasce per salvare lo Stato con un vero salvatore della patria e non per occuparlo definitivamente come spiega molto bene la giornalista Barbara Spinelli contro la quale, in questi giorni, interviene l' establishment di potere italiano attuale:

«De Gaulle in Francia concepì la Repubblica presidenziale per sormontare la guerra d’Algeria: aveva di fronte a sé un compito immane – la decolonizzazione – e alle spalle una classe politica incapace di decidere. Non aveva tuttavia uno Stato intimamente corroso come il nostro, in cui i cittadini credono sempre meno. La costituzione semi-monarchica nacque per adattarsi a lui – l’uomo che da solo era entrato in Resistenza, nel 1940 – non per servire un capopopolo stile Berlusconi, che non sopporta il laccio di leggi e costituzioni. La politica francese prima del 1958 era inservibile, ma la corruzione morale e mentale non l’aveva sgretolata sino a farla svanire. La nostra guerra d’Algeria l’abbiamo in casa: è la nostra casa, squassata, che va decolonizzata. Sono qui dentro i golpisti, non lontani nelle colonie. Piazzare all’ingresso dell’edificio un padre-padrone, con poteri più vasti ancora di quelli che già possiede, non preserva la casa dalla rovina. E poi non dimentichiamolo. Non fu facile far nascere la Quinta Repubblica. L’accentramento dei poteri all’Eliseo rese il Paese più efficiente, ma moltiplicò opache derive e non lo democratizzò. Avvenne piuttosto il contrario: un Presidente autocrate e decisamente di parte; un Parlamento in gran parte esautorato; un governo sempre sacrificabile dal Capo supremo, e non a caso chiamato fusibile: la Quinta Repubblica è anche questo, e venne confutata da politici e costituzionalisti di rilievo. [...] Più che bellissima, la nostra Carta è finalmente da realizzare. Credere di raddrizzarla con il presidenzialismo vuol dire aggiungere un potere, lasciandola storta. Dicono che il popolo tornerebbe a esser sovrano, votando il Presidente. Non è detto affatto, rammentano i detrattori della V Repubblica. Mitterrand descrive rischi che saranno anche i nostri: una volta svuotati Parlamento, politica, governi, “si installa una tecnocrazia rampante, una sfera di amministratori indifferenti al popolo” che “confiscano il potere della Rappresentanza nazionale”».
Barbara Spinelli, L’escamotage presidenzialista, La Repubblica, 5 giugno 2013

La Costituzione spagnola è stata approvata nel 1977 dopo la dittatura franchista
Ritornando alla situazione italiana
Da quando sulla scena politica, l' elettorato, ha dato mandato di potere a Berlusconi, la separazione dei poteri e è oggi l' indipendenza dei poteri, l' equilibrio e il rapporto di reciproca limitazione conosce una stagione inedita caratterizzata da un atttacco sistematico al sistema giudicante che conosce, come tutti gli ambiti, le limitazioni dovute agli errori umani ma la cui indipendenza deve essere assolutamente garantita. Non è perchè processano Berlusconi che si può intaccare il Principio di separazione dei poteri! L' indipendenza della magistratura implica anche le garanzie di libertà per il cittadino stabilite dall' art. 13 della Costituzione in poi (articoli di libertà)! Chi è che vigila affinchè i diritti trovino realizzazione? E' l' organo indipendente e imparziale cioè il giudice. Lo spirito di questo Principio è lo stesso del 1215 contenuto nella Magna Charta, patto feudale fra re e baroni, lex terrae che rende sovrani la legge e il giudizio imparziale.
L' Italia pre-Costituzione
Il suddito italiano, durante il fascismo, poteva essere arrestato senza il mandato del giudice e tutti i diritti di libertà erano violati:
tutela del domicilio;
segretezza della corrispondenza;
libertà di associazione;
libertà di riunione per discutere di politica;
libertà di manifestare;
libertà di opinione attraverso la manifestazione del pensiero. Alla base di tutti gli articoli di libertà c' è l' art. 21:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
L' “intelligenza politica del fascismo” aveva ben compreso l' importanza della stampa ed infatti “eliminò” subito i giornali “La Stampa e “Il Corriere” prestigiosi giornali liberali emanazione dei gruppi finanziari con direttori-proprietari: Frassati de Il Corriere e Albertini de La Stampa poi sostituiti dai Crispi e dagli Agnelli. Gli interventi diventarono sempre più asettici sotto le diffide del prefetto fino a sottomettersi spontaneamente al regime e a un potere ben definito e visibile che identificava la libertà del suddito con l' apparato statale.
Ecco spiegata la Costituzione rigida, una rigidità necessaria che nasce dall' esigenza della massima tutela dei cittadini che impedisce che le disposizioni della stessa non possano essere integrate, modificate o abrogate se non con procedure diverse e più complesse (o, come si suol dire, aggravate) rispetto a quelle previste per le leggi ordinarie (intese in senso formale, come atti del Parlamento). La rigidità della Costituzione è garantita dalla Corte costituzionale ed è una tutela indispensabile per contrastare il potere ingiusto. Il cittadino è garantito anche contro il potere della Corte poiché la Corte non può mai autoproporsi ma è chiamata a intervenire attraverso pronunciamenti in seguito a quesiti proposti da altri giudici. La Corte aspetta!
E' assolutamente necessario che il cittadino comprenda che la Costituzione garantisce i cittadini ma non garantisce, come è giusto, i plitici ed è per questo che i politici se ne vogliono appropriare!
I cittadini oltre ad avere tutte le garanzie di libertà hanno anche dei poteri che non sono tanti ma li hanno e sono elencati subito all' art. 2:
  • La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Oggi molto discredito deriva dalla politica proprio perchè ha disatteso il dovere inderogabile di solidarietà e, anzi, paradossalmente, ha impoverito i cittadini con politiche economiche e riforme inique e ingiuste e non solidali ai cittadini e senza solidarietà lo Stato non cammina perchè non assolve il suo ruolo definito fin dal Seicento dal Contrattualismo e poi dal Costituzionalismo!
Oltre al dovere di solidarietà lo Stato attuale difetta anche nella imposizione fiscale e nella redistribuzione delle risorse secondo il dettato dell' art. 53:
  • Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
    Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Oggi tutti capiscono che l' imposizione fiscale è troppo alta e questo è un danno molto grave per i cittadini i quali avrebbero diritto di avere dallo Stato una amministrazione efficiente, efficace e imparziale.
Ma allora la Costituzione è immutabilementre intorno tutto cambia?
La Costituzione è divisa in due parti e i politici dicono chela seconda parte si può cambiare ma attenzione percè la Costituzione così com'è rispetta, assolve e risponde a tutti i Principi della nostra cultura estetica, morale, etica e filosofica scaturiti dalla riflessione politica e poi confluiti nell' ideologia democratica:
Principio di coerenza;
Principio di logica;
Principio di coerenza;
Principo di ragione;
Principio di trasparenza;
Principio di congruenza.
E poi secondo l' art. 54:
  • Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
    I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Questo articolo è chiarissimo e ci dice che tutti devono vigilare sull' osservanza della Costituzione e “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche (i politici) hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”,.....; la parola onore e onorevole deve ritornare ad avere un peso e quando ritornerà ad avere un peso non dovremmo più assistere a discussioni paradossali e a risposte date dai politici, quando i cittadini li accomunano negativamente e loro rispondono: “non siamo tutti uguali”. Allora io dico: tocca a tutti i politici creare un clima di onore e non è sufficiente, a quel livello, differenziarsi personalmente ma impegnarsi perchè il clima generale di degrado cambi. Non sei uguale? Allora non è sufficiente differenziarsi prendendo le distanze ma è obbligatorio estendere l' onorabilità, non solo, bisogna anche vigilare perchè solo chi ha onore arrivi al potere; io cttadina non voglio più sentire la giustificazione del garantismo per spiegare la presenza fra i parlamentari di persone non onorabili: finchè ritrovano l' onore se ne stanno in disparte! Questo è lo snodo primario da risolvere e non cambiare la Costituzione che è stata fatta in previsione di avere persone oneste ecapaci al governo!
Allora cambiare si può ma senza intaccare l' essenza della Costituzione e il Costituzionalismo ricordandosi anche che la versione del “premierato assoluto”, assieme ad altre importanti misure di revisione costituzionale, è stata rifiutata dagli elettori durante il referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006.
La riforma costituzionale del Titolo v
Noi abbiamo già un termine di paragone di una modifica costituzionale.
Negli anni '70, in occasione della crisi della politica centrale statale, in Italia si avvia un dibattito teso a rafforzare i poteri locali, attraverso la modifica del titolo V della Costituzione. Del dibattito se ne appropriò la politica in funzione strategica arrivando a conclusione, con aspettative salvifiche, con la legge costituzionale n. 1/1999, voluta dalla sinistra, poi approvata con legge costituzionale il 18 ottobre 2001. Questa riforma introduce il concetto fondamentale di sussidiarietà verticale ed orizzontale. Che cosa significa sussidiarietà? Significa che nello svolgimento delle funzioni pubbliche si preferisca l’ente più vicino ai cittadini (s. verticale) e che si lasci che siano i privati a svolgere alcune funzioni al posto del pubblico lasciando a questo di fissare i parametri con cui il privato eroga le funzioni pubbliche. (s. orizzontale).
Sempre il Titolo V della Parte seconda della Costituzione all’articolo 119 prevede che oltre all’autonomia amministrativa I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Questo principio non trova ancora applicazione piena nel nostro ordinamento e la legge in parlamento sul “federalismo fiscale”, ed il dibattito intorno ad essa, vuole attuare questo principio con una soluzione che deve tenere conto che il concetto “unitario” della nostra repubblica significa anche che i cittadini di tutta la repubblica hanno diritto agli stessi servizi e allo stesso standard di prestazione di questi servizi su tutto il territorio nazionale. Il “federalismo Fiscale” deve quindi prevedere meccanismi di ridistribuzione delle risorse dalle regioni economicamente ricche a quelle svantaggiate.
Gli articoli 121,122,123 modificano la forma di governo della Regione intervenendo sostanzialmente nel ripartire alcune funzioni legislative di emanazione regionale. Questa riforma ha portato a numerosi ricorsi, sia da parte dello Stato che da parte delle regioni, in merito alla ripartizione delle competenze tra i due livelli gerarchici.
In special modo sono stati modificati alcuni articoli:
  • articolo 114, il quale afferma che: <<La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione(...)>>, ponendo quindi sullo stesso piano (equiordinazione) regione e Stato (entrambi con potere a legiferare);
  • articolo 117, in cui, tra l'altro, si riparte la potestà legislativa equiparata tra Stato e regioni (potestà esclusiva, concorrente e residuale) nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
  • articolo 118, che attribuisce le funzioni amministrative ai comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;
  • articolo 119, che definisce per gli enti locali l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
Ora tutti noi abbiamo la possibilità di riflettere e stabilire se questa riforma ha portato dei benefici al cittadino e se ha risolto problemi di economicità. La risposta è no! Ha portato solo a un doppio livello di governo e a una nuova classe dirigente molto più onerosa e spesso dannosa per i cittadini. Questo pasticcio andrebbe rivisto!

Le maggiori criticità riguardano:
  • La savaguardia del principio di unitarietà dello Stato, il bianciamento e la sostenibilità fra potere regionale e potere statale, la realizzazione del diritto di solidarietà e delle Pari Opportunità.
  • L' erogazione dei servizi sanitari sottoposti a una limitazione di spesa che, di fatto, annullano i principi di gratuità ed assistenza su cui si basa il S.S.N.
  • L' attuazione del federalismo fiscale
Possiamo trarre delle conclusioni?

La riforma del Titolo della Costituzione era una buona cosa ma andava realizzata senza demagogia e senza strategie politiche. Io ho visto una intera classe dirigente appropriarsi definitivamente di una Istituzione e di un territorio, perlopiù devastandolo, aprendo al privato permettendogli di agire e garantendogli il monopolio (nell' edilizia pubblica, nella sanità, nel sociale e nella scuola) intaccando definitivamente i diritti dei cittadini, il Principio di solidarietà e annullando, di fatto, l' art. 3:
  • Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
E questo perchè al di là dei livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, tutte le differen­ziazioni di trattamento tra i cittadini residenti in regio­ni diverse dovranno essere ritenute costituzionalmente legittime in quanto naturale conseguenza dell'autono­mia regionale riconosciuta nella materia in questione.
Ora, di fronte alla definitiva disfatta, tocca al cittadino intervenire per ripristinare la realizzazione dei diritti ma tocca anche alle Istituzioni intervenire per porre rimedio a un vero pasticcio che ha danneggiato profondamente lo Stato e i cittadini! Ma attenzione a non dare colpe che sono degli uomini, alla Costituzione!

La problematizzazione del bicameralismo

Il bicameralismo si può problematizzare?
E' vero che il bicameralismo può diventare un problema perchè può rallentare l' emanazione di una legge ma questo, spesso, è un bene e inoltre risponde a un principio democratico. Andando a vedere gli atti dell' Assemblea costituente si può comprendere che la discussione sull' opportunità di avviare due camere è stata molto accesa: in generale le forze di sinistra erano favorevoli a una camera e i democratici, per la verità, erano incerti. Le maggiori incertezze riguardavano le possibilità dell' art. 5:
  • La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Il principio che ha convinto i costituenti sulla necessità di avere due camere è rafforzato dall' articolo 57 che prevede l'elezione del Senato su base regionale:
  • Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.
    Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici.
    Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiori a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno.
    La ripartizione dei seggi tra le Regioni, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Per rispettare la tradizione della concettualizzazione federale risalente a Vincenzo Gioberti, di un federalismo funzionale all' unità, la Costituzione del 1947 aveva dedicato il titolo V alle norme relative ai governi locali le quali, nel corso degli anni, su spinte politiche non sempre “oneste” vennero modificate in senso regionalista e non federalista portando il modello di potere corrotto e inefficiente a livello regionale.

La storia della revisione del Titolo V della Costituzione

La revisione dell’intero Titolo V della Costituzione dopo che erano trascorsi trent’anni dalla istituzione delle Regioni a statuto ordinario (1970), è un fatto che di per se merita una approfondita riflessione, che riguarda in primo luogo il sistema istituzionale italiano considerato nel suo insieme.
Questa considerazione preliminare non ha bisogno di particolari dimostrazioni: è sufficiente, per condividerla, pensare - sul piano giuridico - al carattere c.d. rigido della nostra costituzione, e - sul piano storico - alla capacità di resistenza, al limite della immodificabilità, del testo costituzionale per mezzo secolo (le eccezioni hanno riguardato ritocchi quantitativamente modestissimi), fino alla vigilia della revisione dell’intero Titolo V.
La legge costituzionale n° 3 del 18.10.2001, infatti, è stata preceduta, come è noto, dalla emanazione della legge costituzionale n° 1 del 22 novembre 1999, generalmente conosciuta per aver introdotto - in via transitoria e fino all’introduzione dei nuovi statuti regionali, come invece generalmente non si ricorda - la elezione diretta dei presidenti di regione. La legge cost. n° 1 del 1999, dunque, ha rappresentato, per così dire, il primo tempo della revisione costituzionale sul tema "Le Regioni, le Province, i Comuni", per stare alla rubrica del vecchio come del nuovo Titolo V. In quest’ordine di idee, scontando le critiche di natura metodologica che ogni schematizzazione di per se comporta, sembra corretto affermare che la nuova disciplina costituzionale rappresenta l’ultima e, sul piano giuridico - formale, più significativa espressione di un’intera fase, poco più che decennale, della nostra vita pubblica, che ha obiettivamente introdotto modificazioni sostanziali sia al profilo ed alle funzioni delle istituzioni regionali e locali, sia alla configurazione dello Stato nella sua (almeno) duplice espressione, di "Stato – persona" e di "Stato – comunità", sia - ed è questo l’aspetto generale che qui particolarmente interessa e sul quale conviene innanzi tutto soffermarsi - alle relazioni tra istituzioni regionali e locali ed al rapporto tra esse e lo Stato.
La fase che riteniamo meritevole di speciale considerazione nel senso spiegato, è quella che inizia con la emanazione della legge 142 (giugno 1990).
Questa legge sembrò rappresentare il punto di approdo di una discussione e di una rielaborazione teorica e pratica che erano state aperte a metà degli anni settanta, sulla spinta dell’istituzione dell’ordinamento regionale, e quasi a conclusione della prima legislatura regionale: si ricordi la legge n° 382 del 1975 e la legislazione delegata attuativa (in particolare il d.p.r. n° 616 del 1977), senza dimenticare la parallela riorganizzazione delle funzioni nel settore dell’assistenza e della sanità (e la soppressione degli enti strumentali: mutue, i.p.a.b. nazionali, ecc.).
Si aprì, invece, di lì a poco, il decennio, che giunge fino alla legge di revisione della quale parliamo, e che, a partire dalla riforma del sistema elettorale di comuni e province (1993), passando poi per la prima modificazione del sistema elettorale delle regioni (1995), e per le c.d. leggi Bassanini (n° 59 e 127 del 1997), con i relativi provvedimenti attuativi (in particolare il d.p.r. n° 112 del 1998), solo per limitarci alle tappe con rilevanza generale, ha segnato una trasformazione del sistema istituzionale che al momento della emanazione della legge 142/90 nessuno poteva immaginare, ed è - come si vede dal contenuto del nuovo Titolo V - ancora suscettibile di modificazioni e sviluppi importanti, anche se non possono in astratto escludersi battute d’arresto e perfino ritorni all’indietro.
Le ragioni del cambiamento verso il potere locale risiedono nella Storia recepite dalla Costituzione e incoraggiate, non sempre con esiti rispondenti a criteri etici, dalla particolare situazione politica italiana che ha considerato la transizione verso il potere locale come una propria palestra motivazionale su cui costruire il consenso invece di realizzare veramente il decentramento amministrativo con criteri di efficacia ed efficienza e realizzare modifiche per dare veramente potere al cittadino come prevedevano anche gli Ordinamenti europei. Non è un caso che tutta la riflessione sulla modifica del Titolo V avviene mentre una intera classe dirigente, processata per corruzzione, lascia il posto a un' altra che si presenta con obiettivi magici e salvifici. In Italia più che una riforma federalista si è realizzato il regionalismo demagogico in seguito a:
  • ribellione al centralismo
  • diritto alla ricchezza prodotta nei territori”
In sintesi:
  • la modifica del Titolo V della Costituzione accomuna in dignità lo Stato e l' ente locale prossimo al cittadino; art. 114: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato". (La Provincia oggi è in fase di scioglimento e la città metropolitana non si è realizzata)
  • assegna la funzione amministrativa al Comune; art. 114: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato", costituzionalizzando il Principio di sussidiarietà. Riguardo la suissidiarietà si specifica che tutte le istituzioni, ivi compreso lo stato, hanno il compito di "favorire" "l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base, appunto, del principio di sussidiarietà "
  • affida alle Regioni la facoltà di legiferare in determinate materie e secondo quanto stabilito al quarto comma dell’articolo 117: "Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
In base a quanto detto avrebbe senso un bicameralismo che, invece del Senato, realizzasse una Camera per le autonomie ma questa avrebbe senso in presenza di un vero federalismo dove due camere hanno veramente senso come nello stato federale per eccellenza che è il modello statunitense. Gli Stati Uniti infatti sono composti da cinquantuno stati ognuno con la sua peculiare organizzazione statale (civile, penale e amministrativa), e pur questo, ciascuno unito agli altri Stati federati in materie fondamentali come l’economia, la finanzia, la politica estera, la sicurezza interna e la difesa. Il Senato americano è composto da due membri per ogni Stato per un totale di 102 senatori i quali esprimono il loro partito e il loro Stato mentre da noi prevale la rappresentanza dei poteri corporativi. I costituenti stessi si interrogavano sul significato di questo senato e poi decisero che potesse essere una camera di decantazione utile alla democrazia! Oggi con la cessione di potere alle Regioni questo Senato non è più necessario per cui questa è una riforma che si potrebbe avviare.
Un altro percorso da rivedere è quello che riguarda l' eleggibilità dei parlamentari che attualmente è affidato a una commissione parlamentare che non è un organo terzo ma è sempre di emanazione politica per cui decidono sempre per l' eleggibilità all' interno di evidenti interessi reciprochi.
Resta sempre insoluto il gravissimo problema della rappresentanza: oggii rappresentanti non sono responsabili verso gli elettori ma verso chi li ha messi in lista ed è sempre utile ricordare che il Principio di rappresentanza evoca la responsabilità e non è solo una delega di potereper cui bisogna ristabilire il rapporto di responsabilità fra eletto, elettore e istituzione.
In conclusione
Oggi viviamo all' interno di un paradosso: la richiesta da parte dei politici di modificare una Costituzione che è servita da esempio per tutte le Costituzione scritte dopo la sua stesura e mai realizzata! I politici stanno facendo un gioco sporchissimo perchè vogliono far cadere sulla Costituzione le colpe della loro incapacità e del loro discredito. Se oggi riflettiamo sulla posizione che ha una persona/cittadino all' interno di questo Stato possiamo vedere che è stato completamente disatteso il progetto dei padri costotuenti i quali intendevano assegnare un ruolo centrale al cittadino all' interno di diritti inalienabili di libertà dopo l' esperienza di potere del fascismo che assegnava centralità allo Stato. Attualmente assistiamo a una manovra inedita della politica che semplicemente annulla i principi democratici oggettivizzando e disprezzando la persona e impoverendo il cittadino. L' attacco alla Costituzione si colloca in questa logica distruttiva per il cittadino e per quello che resta dello Stato! Lorenza Cervellin

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