mercoledì 20 marzo 2013

STORIA DELLO STATO: INFLUENZA DELLA MASSONERIA SULLA POLITICA MODERNA E CONTEMPORANEA -Continuazione 21-

Premessa
  1. Nel Medioevo inizia e si sviluppa la massoneria medievale tecnico-operativa
  2. Nel 1717 a Londra si fonda la Grande Loggia di Londra e con questa data si parla di massoneria moderna la quale passa dalla fase squisitamente tecnico-operativa simbolica alla fase  speculativa. In questo ambito si sviluppa anche il conflitto, all' interno delle logge, fra stuardisti e hannoveriani, fra cattolici romani, presbiteriani e protestanti.
  3. Nel 1937 il cavaliere scozzese André Michel de Ramsay (1686-1743) introduce, in Francia, gli “alti gradi” della massoneria (che inizialmente contava solo i due gradi di apprendista e compagno, e solo successivamente, a partire dal 1724, adotta un terzo grado, quello di maestro) e coinvolge la nobiltà rinnovando lo spiritualismo messianico dell' antica cavalleria connotata anche da una chiara matrice elitaria e dall' “obbligo” della stretta osservanza. La stretta osservanza si riferiva ai valori segreti di riferimento che potevano riferirsi alla osservanza religiosa, alla osservanza delle regole interne ed aveva sempre un carattere nobile ed elitario.
La crisi della massoneria nell' esperienza francese

A fine Settecento, nel massimo periodo di espansione delle logge massoniche, si può anche collocare l' inizio della crisi della massoneria moderna speculativa!

Quale fu la causa del declino che portò la massoneria ad essere, da associazione capace di essere motore di civiltà, rinnovamento morale, progresso e democraticità, ad associazione riconoscibile come nemica della democrazia e “congrega” di volgari affaristi?
  1. troppi contenuti ideologici interni alla massoneria 
  2. affermazione del liberalismo politico e del liberismo economico
  3. affermazione della democrazia 
  4. ascesa del ceto borghese la cui ideologia era incentrata sul materialismo economico e monetario
  5. affermazione dello Stato Moderno e poi Contemporaneo
  6. esigenza di controllo assoluto dello Stato e della Chiesa sull' uomo
  7. incapacità della massoneria di inserirsi nei percorsi evolutivi moderni e contemporanei
Il nuovo Stato contrattualistico legalitario definito di diritto si era dato degli obiettivi:
  • dare forma a un nuovo potere per definizione trasparente
  • costruire il nuovo cittadino
  • convogliare, accogliere e sublimare tutte le istanze politiche e sociali del nuovo cittadino
  • mettere in piede degli apparati e formare una nuova classe dirigente per il controllo sull' uomo e sulla società dandogli l' impressione di essere libero
  • centralizzare il potere
  • eliminare i competitors
La spiritualità soggettivistica ideale e tesa alla moralità, comune e interna alla massoneria ma anche a tutta la società esterna la quale derivava  dalla filosofia medievale e rinascimentale non riuscì ad erigere una barriera efficace al percorso di oggettivizzazione materiale dell' uomo che fu comune a tutti i corpi sociali segreti e pubblici. Mentre la società e la politica moderne si avvieranno verso il potere democratico all' interno dello Stato, la massoneria entra in crisi rivelandosi inadatta ai processi democratici inclusivi e alla cessione di potere allo Stato centrale, rivelando la vera vocazione massonica che era quella di associazione vocata alla gestione del potere e rivelando una identità in cui si realizzava un meccanismo identitario di inclusione/esclusione troppo radicale e socialmente pericoloso. La massoneria, inadeguata, chiusa, ideologicamente settaria, distruttrice di complessità sociale  ed esclusa dai luoghi  del potere inizia a specializzarsi per occuparlo comunque!

In questo periodo i culti esoterici, la magia, l'alchimia, la teosofia, trovarono un comodo rifugio negli alti gradi e nei vari sistemi cavallereschi, che in buona o mala fede davano a intendere di conservare i segreti di queste arti misteriose con la conseguenza che, in molti casi, la soddisfazione dei desideri del credulo adepto veniva via via rimandata a successive iniziazioni, che naturalmente richiedevano il pagamento di nuove quote a beneficio dei promotori ed inventori dei vari ordini massonici. Da qui, non solo il moltiplicarsi dei gradi, ma anche dei sistemi, ognuno dei quali si arrogava il privilegio di essere il più antico e il più autentico, nonché di essere l'unico in condizione di appagare l'aspirazione dell'adepto a conoscenze nuove e misteriose: si può dire che alla massoneria si avvicinano intellettuali progressisti ma anche avventurieri in cerca di un ruolo sociale da conquistarsi anche attraverso una “associazione” che si andava sempre più configurando come una realtà economica a vocazione affaristica. Per quanto riguarda poi la massoneria francese, si aggiunga il carattere aristocratico e mondano che la libera muratoria assume in quel paese, dove alle cariche di «venerabile» e di primo e secondo sorvegliante, delle logge inglesi, si aggiungono quelle di un «maestro delle cerimonie»: un «oratore» incaricato di porgere il saluto ai nuovi adepti o di celebrare la iniziazione di un fratello a un grado superiore, di un «fratello terribile», cui spetta il compito di far subire le prove più o meno terrificanti al neofita e infine di un «elemosiniere», incaricato di raccogliere i denari e di amministrarli per le opere umanitarie promosse dalle logge. Nelle logge francesi i fratelli - data la stragrande prevalenza della nobiltà - sono tutti chevaliers ed hanno diritto di portare la spada anche quei rari elementi della ricca borghesia o del mondo intellettuale che vi vengono ammessi e che così si vedono promossi ed equiparati - almeno nelle logge - al ceto superiore dell'aristocrazia. Il mito cui si ispirarono nei rituali e nelle loro denominazioni questi alti gradi sono un miscuglio di orientalismo e di cavalleria medievale, il tutto innestato alla vicenda di Hiram, per cui ai fratelli rimane affidato il compito di ritrovare la parola perduta del maestro (e ciò si presta a coprire nella sua allegoria le ricerche degli occultisti) e di vendicare la morte del grande architetto, i cosiddetti gradi di vendetta (e questi a loro volta si prestano a simboleggiare le aspirazioni del partito stuardista, che nell'assassinio di Hiram vede il martirio di Carlo I, la cui dinastia va restaurata sul trono d'Inghilterra).
Vari saranno i sistemi di alti gradi che sorgeranno durante quegli anni in Francia inventati da avventurieri o da fanatici cultori della libera muratoria.

Ricapitolando: meno di dieci anni dopo la fondazione della Grande Loggia di Londra, la massoneria si era dunque stabilita in vari paesi europei, probabilmente introdotta da mercanti inglesi o da ufficiali irlandesi e scozzesi, assai numerosi negli eserciti delle potenze continentali passando dal modello tecnico-operativo al modello simbolico-speculativo con un importante ritorno, in termini di progresso e civilizzazione, sulla vita culturale sociale e politica europea. Da una operatività speculativa su basi misteriche ma razionali l' ideologia massonica si arricchì/impoverì con contenuti irrazionali e deisti che portarono a esiti prima utopici e po' volgarizzanti.
Nel frattempo la borghesia stava attuando cambiamenti sociali rivoluzionari e una presa del potere che mal avrebbe tollerato competitors nei territori europei. Inevitabilmente la massoneria rivelò i suoi limiti culturali non riuscendo più a intrecciarsi e identificarsi con il nuovo potere e da motore del progresso diventò un motore di regresso o comunque una associazione fra le altre con la differenza che agiva, per sua vocazione e scelta, nell' ombra. La carica di eticità e di moralità tecnica, spiritualistica e simbolica reale e razionale, capace di tradursi in progresso e senso si trasformò in magia, irrazionalità, spiritualismo e paradossalmente in gruppi di affaristi individualisti i quali oggettivano la realtà scadendo nella materialità più discutibile. Il caso italiano sarà emblematico del passaggio alla massoneria magica, materiale e oggettivizzante.
Premessa alle origini della massoneria italiana

Dal 1700 al 1740, circa, la libera muratoria europea si afferma con proprie caratteristiche, determinate dalle peculiarità nazionali, in Inghilterra, in Francia, e nel mondo germanico in base ai principi essenziali dell'aiuto reciproco in equaglianza tra fratelli anche se provenienti da ceti sociali diversi:
  1. la tolleranza in fatto d'idee religiose e politiche;
  2. lo spirito cosmopolita;
  3. concezione egualitaria dell'umanità;
  4. la democrazia vigente in seno alle logge;
  5. la periodicità ed eleggibilità delle cariche;
  6. la segretezza vincolante tutti gli associati;
  7. la capacità di produrre cultura e conoscenza in segretezza ma riuscendo a divulgare le idee di progresso al pubblico.
Questi principi essenziali più o meno permangono nella libera muratoria dell' Europa anche se con diversa accentuazione determinata dalla diversa condizione sociale e politica degli stati. Tutte le logge moderne riconoscono la propria origine dalla grande loggia di Londra e da questa ripetono la propria legittimità, pur dando al legame gerarchico e disciplinare una interpretazione personale.
  • Fra il 1730 e il 1740 la libera muratoria inglese, nel suo aspetto principale, ricalcava il carattere della monarchia hannoveriana la quale stava accompagnando l'evoluzione costituzionale e liberale nel costante affermarsi della borghesia mercantile facendo da portavoce al pensiero deista e alle aspirazioni democratiche del più avanzato ceto culturale britannico.
  • La massoneria francese, invece, nella quale sopravviveva un certo spirito stuardista, impersonava le aspirazioni libertarie della nobiltà, alle quali inevitabilmente si affiancano aspirazioni costituzionali, come lo dimostra il fatto che tra i fondatori della libera muratoria francese si trovi de Montesquieu. La stessa concezione delle origini cavalleresche - discostandosi da quella corporativa della massoneria inglese - e la conseguente creazione degli alti gradi corrisponde alle ambizioni gerarchiche della casta nobiliare e di quanti aspiravano a farne parte, offrendo nello stesso tempo un facile rifugio ai cultori dell'esoterismo.
  • La massoneria germanica, che in seguito condividerà l'interpretazione cavalleresca della libera muratoria, grazie alla diversa condizione politica e religiosa, in genere si affida - ed in questo è esemplare la Prussia - alla protezione del sovrano, inserendosi nel processo del dispotismo illuminato.
  • La massoneria italiana, in mancanza dello Stato Stato unitario, soggiogata dal predominio straniero e in presenza della Chiesa, diede vita a una massoneria ibrida attingendo alle diverse ideologie madiate da intellettuali europei e anche da veri e propri avventueri: in generale manca il marchio della originalità ideologica ma si sviluppa una ideologia che fa riferimento, alternativamente, all' ideologia massonica inglese, tedesca, francese a seconda del vario fluttuare delle vicende politiche di cui gli stati italiani furono vittime e ad un tempo spettatori.
Nella prima metà del Settecento la libera muratoria italiana è in clandestinità forzata e imposta dall'influenza che la Santa Sede esercita ancora nei vari Stati della penisola e questo implica un più accentuato carattere anticlericale e anche un carattere deteriore particolare con le logge che diventano luogo di progresso per intellettuali illuminati ma anche rifugio di avventurieri e arraffoni e un centro di raccolta per gli anticonformisti di ogni tendenza: deisti, libertini eruditi, libertini e basta e convinti assertori delle libertà politiche e della democrazia.
Per ricostruire la storia della massoneria italiana bisogna usare il probabilismo storico-scientifico e non abbandonare mai le parole dubitative!
Le notizie relative ai primi insediamenti massonici sono molto incerte visto la segretezza cui era costretta la libera muratoria: sembra che una loggia sia esistita a Roma fino dal 1724, ma il maggiore studioso della massoneria italiana, Pericle Maruzzi, afferma che non si tratta di una loggia massonica, bensì di una loggia del Most Ancient and Noble order of the Gormogons, dietro cui si nascondevano i seguaci del pretendente Stuart - il cosiddetto Giacomo III, che viveva a Roma fin dal 1718 - cospiranti in Europa. A questa loggia romana dei Gormogoni aderirono alcune personalità del partito giacobita per cui è utile ricordare come questo ordine sia nato e chi ne fosse il fondatore cioè uno dei più ricchi e nobili rampolli della aristocrazia inglese: il giovane duca Philipp Wharton, considerato esemplare perfetto della corruzione, del cinismo e del gusto dell'avventura imperanti in Inghilterra nella prima metà del secolo. Wharton fondò la società dei Gormogoni dopo che la sua carriera massonica in Inghilterra finì rovinosamente e i fratelli bruciarono solennemente in loggia il suo grembiale ed i suoi guanti. La società dei Gormogoni avrebbe dovuto essere il contraltare della massoneria, sostituendo al mito biblico, un mito tolto dalla storia della Cina, allora di moda: cominciava l'epoca delle chinoiseries. Wharton lo troviamo nel 1724 anno in cui avvenne la conversione al cattolicesimo e anno in cui diede vita, appunto, alla loggia dei Gormogoni, di cui pare facessero parte anche Ramsay, Charles Radcliffe e lord Winton, futuro venerabile della loggia giacobita di Roma, tutti presenti a Roma in quel periodo. La società dei Gormogoni non sopravvisse di molto al suo fondatore il quale dopo ulteriori avventure, anche sentimentali, finì i suoi giorni in Spagna, all'età di 33 anni, logorato dalla vita intensa e dall'alcool.
A parte questo caso di Roma, prima del 1730, non si hanno notizie documentate di logge esistenti nella penisola anche se non si può escludere che nuclei latomistici sorgessero in varie città italiane dall'iniziativa di singoli massoni stranieri capitati nel nostro paese per ragioni d'affari o con incarichi politici. Nel Settecento il viaggio in Italia era un classico della nobiltà europea attratta dalle rovine e dalla Storia italiana: intorno al 1724 si trovassero in Italia il duca di Wharton, Ramsay e Radcliffe e nel 1729 venne a farvi un viaggio Thomas Howard, duca di Norfolk; egli era allora gran maestro della grande loggia di Londra, sebbene fosse cattolico e sospettato di essere un giacobita. Il duca si trattenne soprattutto a Venezia, donde inviò doni alla grande loggia di Londra, ma si fermò anche a Padova, Verona e Vicenza. Il probabilismo storico-scientifico porta a supporre che questi viaggi culturali fossero anche finalizzati all' organizzazione di logge, composte però quasi esclusivamente da stranieri, anche a Napoli, a Venezia, a Livorno, a Ferrara, a Genova e a Milano. La Storia i dice che gli intellettuali europei erano tutti in contatto fra di loro, tutti interessati al rinnovamento sociale e politico e tutti dediti alla mediazione culturale. Risulta difficile che i più significativi massoni inglesi venissero in Italia senza mediare la cultura massonica attraverso la quale si stava ideando il nuovo percorso di civilizzazione europeo: scientifico, tecnico e artistico.
Il primo documento che potrebbe comprovare la fondazione di una loggia a Napoli nel 1731 o 1732 è una patente rilasciata dalla grande loggia di Londra ai fratelli Georges Olivares e Francesco Saverio Geminiani per cui, da quel momento possiamo abbandonare il probabilismo storico-culturale sulla proto-massoneria italiana e attenendoci alla documentazione effettiva per parlare delle due prime logge di cui è documentata l'esistenza:
  1. la loggia giacobita di Roma;
  2. la loggia hannoveriana di Firenze.
La loggia giacobita di Roma fondazione, fondata nel 1735 è una loggia stuardista la quale svolse la propria attività negli anni 1735-1737 dopo essere, probabilmente, sorta sulle rovine della disciolta società dei Gormogoni ed era composta da giacobiti, sia cattolici che protestanti. I membri, ad esclusione di un certo conte Soderini, non erano italiani ma quasi esclusivamente inglesi, dato che per un articolo di statuto, dovevano conoscere quella lingua.
Questo statuto, diviso in 12 articoli, si uniforma, semplificandole, alle regole che reggevano allora la Libera Muratoria. Ma la loro redazione in latino, sembra voler accostare i riti massonici al rituale della Chiesa cattolica. Eccone il testo.

STATUTA AD ROMANAM LIBERORUM MURATORUM LODGIAM DEMISSA
  1. Ne quis sine ostracismo admittitor.
  2. Candidatus quisque a nocte, qua fuerit electus ad proximum Conventum Probationarius esto.
  3. Peregrini rejiciuntor si linguam anglicam non intellegunt.
  4. Magister magistratus creato; Lodgiae leges ferunto.
  5. In omni causa decernenda penes magistratum duo sufragia sunto.
  6. Magistro in fratres jus esto convocandi et contumaces mulctandi.
  7. Fratres sub poena forsan nimis severa laborantes a Magistro ad Lodgiam appellanto.
  8. Mulctas pauperibus largiuntor.
  9. Sacra archivia Magistri et Guardiani custodiunto.
  10. Magister post coenam, non sine debitis libationibus, scilicet propinationibus massonicis, Lodgiam claudito.
  11. Guardianus senior suffragia colligito; junior Lodgiam a secretis esto; legum tabulas facito.
  12. Quisque frater electus, binis vestimentis muratoriis (scilicet quattuor Chiro-thecis) totam fraternitatem donato.
I dirigenti ed i soci erano tutte personalità del partito stuardista. Il primo venerabile fu William Howard - il nome Howard è quello dei duchi di Norfolk, che per tradizione erano cattolici e massoni - ma poco tempo dopo la carica passa col titolo di Grand Master al protestante John Cotton. Nell'agosto 1736 venne eletto venerabile lord Winton «Earl of Seton», che nel gennaio successivo, assume il titolo di Great Master. Le riunioni si tenevano «at Joseppe, in the Corso» oppure «at three Kings, strada Paolina», oppure «chez Dion». Si trattava evidentemente di trattorie o locande, dove, secondo l'uso inglese, si stabiliva la sede provvisoria della loggia; salvo che per «Dion», che poteva anche essere il nome di qualche francese, partitante degli Stuart in quanto, se Luigi XIV era stato costretto suo malgrado dal governo inglese a togliere l'ospitalità offerta agli Stuart, nondimeno i francesi continuarono a sostenere e ad aiutare la causa giacobita. Il giorno in cui si tiene loggia «chez Dion» furono ammessi come soci due francesi e uno svedese. Facevano parte della loggia o intervenivano come ospiti alle sedute, eminenti personaggi e fieri combattenti della causa giacobita. Come ad esempio lord Kilmarnock, ben noto nel mondo della massoneria giacobita e nella storia inglese poiché, catturato durante la sanguinosa battaglia di Culloden, verrà decapitato a Londra nel 1747 e verrà considerato un martire della causa cattolica in Inghilterra. Nonostante tutte queste benemerenze acquisite dai suoi membri per la causa stuardista e cattolica, improvvisamente nell'agosto del 1737, la loggia venne soppressa per ordine del governo pontificio e come ammonimento per i nobili componenti della fratellanza, senza destare clamorose reazioni, fu arrestato il povero «fratello servente» che era poi il valletto di uno degli adepti, ma fu rilasciato dopo pochi giorni. Pochi mesi dopo, il 4 maggio del 1738, Clemente XII condannava con la bolla In eminenti la libera muratoria, giacobita o hannoveriana che fosse, sciogliendo la loggia. Quali furono i motivi che spinsero la Santa Sede a sciogliere la loggia romana, della cui esistenza era certamente informata, dato che la libera muratoria stuardista esisteva già da molto tempo, né mai finora era incorsa non solo nella scomunica, ma nemmeno nel biasimo papale? I motivi potrebbero essere stati diversi:
    1.la discutibile personalità dell'ultimo venerabile, lord Winton, conte di Seaton che, nel 1716, aveva preso parte alla prima sollevazione giacobita, rivelando un coraggio da leone, ma nello stesso tempo una certa dose di follia tanto da essere preso prigioniero e rinchiuso nella Torre di Londra assieme a James e Charles Radcliffe, e con quest'ultimo fu protagonista di una delle più brillanti evasioni che la storia registri. Da Londra Winton si rifugiò a Roma, presso il pretendente Giacomo III, che ben presto dovette avere a noia la presenza di un sostenitore così turbolento, il quale lo seccava tra l'altro anche con continue richieste di denaro. Ma non basta, gli Stuart Papers parlano di un dissidio, del quale ignoriamo la causa, dissidio piuttosto acceso, punteggiato da minacce di morte, fra il venerabile Winton e il primo sorvegliante Charles Slezer, cui non doveva essere estraneo nemmeno il secondo sorvegliante, John Stewart. Giacomo III, al quale Winton si appellò, ignorò le qualifiche massoniche dei contendenti e fu piuttosto evasivo nel suo giudizio ma certamente fu ben lontano dal dare ragione a Winton, che intanto schiumava di rabbia e che, alla fine, potrebbe essere stato eliminato dai suoi fratelli, attraverso Clemente XII, in quanto dannoso per la causa.
    2.motivi di carattere generale; le logge, secondo le intenzioni, degli stuardisti avrebbero dovuto diventare un feudo del loro partito e servire - nel nome della fratellanza e della segretezza - quale punto d'incontro con gli avversari politici per carpire le loro intenzioni recondite e per fagocitarli nel proprio ordinamento mentre in realtà stava succedendo proprio il contrario: gli hannoveriani, come sullo scacchiere della politica europea, così anche in seno alla libera muratoria, stavano prendendo il sopravvento ed alcuni loro elementi, infiltratisi nelle logge giacobite, esercitavano un proficuo lavoro di spionaggio a favore del governo di Londra. Le logge non rappresentavano più un utile strumento alla causa cattolica e a quella degli Stuart!
Questo conflitto politico fra chiese: protestante e cattolico-romana e la tendenza alla secolarizzazione si consumava anche all' interno della massoneria, soprattutto quella italiana dove confluivano tutte le istanze e le divisioni socio-politiche della società pubblica europea e italiana, con scontri ideologici molto forti, attività di spionaggio e dove iniziavano a trovare diritto di cittadinanza anche intrighi finanziari:l' Italia continuava a essere preda degli appetiti stranieri e la massoneria rifletteva questa situazione politica. La Chiesa percepiva come pericolose sia le logge stuardiste che quelle hannoveriane, portatrici di istanze incontrollabili per cui da bollare e disperdere.

In conclusione: lo scioglimento della loggia romana e la scomunica pontificia arriva in concomitanza allo scoppio dello scandalo della loggia di Firenze cui seguì il relativo processo davanti al Tribunale dell'Inquisizione. Il processo aveva rivelato come la loggia fiorentina, non solo fosse una roccaforte degli hannoveriani, ma anche un centro di raccolta di liberi pensatori, di accaniti avversari dei gesuiti e del potere clericale in genere.

La loggia inglese di Firenze

La loggia di Firenze fu fondata da un gruppo di inglesi residenti in questa città in un periodo di tempo che possiamo collocare fra il 1731 e il 1732: sicuramente prima del 4 agosto di questo ultimo anno, poiché a quella data la loggia era in piena attività e ben funzionante. Il primo venerabile fu mr. Fox, probabilmente da identificarsi con Enrico Fox, lord Holland, padre di Carlo Giacomo, che diventerà un noto esponente del partito Wigh,
emulo e rivale di William Pitt. Nell'agosto del 1732 tale carica era ricoperta da Sewallis Shirley, il primo sorvegliante era il reverendo Joseph Spence tutore del giovane Charles Sackville, conte di Middlesex, secondo duca di Dorset, il quale a sua volta ricopriva allora nella loggia la carica di secondo sorvegliante. Sackville era, come diremmo oggi, un artista e un divulgatore di arte, un “ «poeta e uomo di liberi costumi, il quale si dilettava di musica e si occupava di cantanti come impresario occupandosi anche dell' organizzazione di parecchi teatri in Inghilterra e nel 1737 anche del Teatro della Pergola a Firenze. Nel 1733 fu lui presidente della loggia fiorentina, come risulta da una medaglia coniata da Lorenzo Natter, medaglia che ha il pregio di essere la prima in senso assoluto fra quante verranno successivamente coniate in onore della libera muratoria. La loggia teneva le riunioni, prima in una locanda di via Maggio e poi presso l'albergo gestito da un inglese, il fratello Collins. Tale trasferimento, a quanto sembra, non fu dovuto a motivi di sicurezza, ma al fatto che la cucina del primo albergatore - «monsiù Pasciò» - non soddisfaceva i fratelli, abituati a concludere le riunioni con una cena gustosa e numerosi brindisi o meglio «cannonate», come si diceva nel loro gergo. Fu così che attorno ad un nucleo iniziale di inglesi e di alcuni stranieri residenti a Firenze, si raccolse un numero crescente, una sessantina circa, di intellettuali e nobili fiorentini, quelli stessi che stavano combattendo la battaglia per il rinnovamento della cultura in Toscana. Invece del ristretto gruppo di inglesi della loggia giacobita di Roma, che si proponeva un fine cospirativo limitato - la restaurazione degli Stuart sul trono d'Inghilterra con il conseguente affermarsi della Chiesa cattolica in quel paese, - i massoni di Firenze non pensano ad una definita finalità politica anche se era presente ma indirettamente poiché l' obiettivo prioritario era il rinnovamento culturale. Per spiegarsi la relativa facilità con cui la massoneria fece proseliti a Firenze è necessario ricordare la particolare condizione politica e culturale della Toscana negli ultimi anni della signoria medicea. Nel 1723, al tetro e bigotto principato di Cosimo III era succeduto quello dell'ultimo dei Medici, il granduca Gian Gastone, un uomo intelligente, dotato di buon senso e spirito innovativo ma con l'ostentato, allora considerato, vizio dell'omosessualità che lo screditò all' opinione pubblica. Da giovane era stato amico e discepolo di Leibniz e, divenuto principe, aveva fatto nominare professori all'Università di Pisa Bernardo Tanucci e Pompeo Neri, che tanto contribuiranno al moto riformatore a Napoli, a Milano e nella Toscana di Pietro Leopoldo. Bastò dunque un allentarsi della pressione poliziesca, bastò che pochi sintomi rivelassero come il nuovo granduca rifuggisse dal valersi e anche dall'assecondare le pretese del padre Inquisitore, perché in certi ambienti si incominciasse a respirare e ad alimentare la speranza di un rinnovamento culturale e sociale col fervore di nuovi studi e di nuovi interessi. Dal punto di vista politico la Toscana era sotto l' occhio attento delle varie potenze europee visto che il Granduca sarebbe morto senza lasciare eredi dopo tanti anni di matrimonio senza figli e la sua omosessualità. Gli inglesi erano interessati alla successione alle vicende del Granducato, non solo per ragioni di equilibrio politico già fino da allora perseguito, ma per immediati interessi economici che nell'emporio di Livorno avevano il pernio della espansione commerciale britannica entro l'area del bacino mediterraneo e dell'Europa meridionale. Firenze inoltre, con i suoi monumenti, con i suoi musei, con le sue biblioteche e con il suo paesaggio incantevole, fino da quel tempo era cara agli intellettuali inglesi, che la consideravano una residenza privilegiata e ricercata. Inglesi inoltre risiedevano, fino dalla seconda metà del secolo XVII, alla corte dei granduchi in veste di archeologi, di architetti e di ingegneri, di conseguenza Firenze era in quegli anni la città d' Italia dove la lingua inglese era meglio conosciuta e dove l'anglomania del secolo aveva un fondamento più serio che non nella moda dei tempi. Si spiega così il contatto fra l'ambiente intellettuale inglese e un certo ceto di intellettuali fiorentini, presso i quali la libera muratoria, come confraternita di uomini indipendenti, uniti dal vincolo del mutuo soccorso e della segretezza con i compagni di fede del resto d'Europa, doveva apparire determinante al processo di rinnovamento culturale con conseguenti ripercussioni politiche che apparvero pericolose per il potere della chiesa che intervenne pesantemente sulla loggia come dimostra il processo contro Tommaso Crudeli i cui documenti sono conservati nell'Archivio di Stato di Firenze da cui possiamo avere l' idea reale della loggia fiorentina, solo indirettamente, attraverso i verbali degli inquisiti e attraverso il diario e le lettere di Antonio Cocchi: risulta con certezza l'appartenenza alla libera muratoria di alcuni italiani, pur non figurando il loro nome nelle carte d'archivio; mentre di altri è soltanto dato supporre che appartenessero alla confraternita, senza che alcuna documentazione obbiettiva sussista in merito. Oltre agli inglesi Charles Sackville, Henry Fox, Horace Mann e lord Robert Montague, fecero certamente parte della loggia tra i fiorentini l'abate Antonio Niccolini, il già ricordato Antonio Cocchi, che fu venerabile dopo Sackville, i poeti Tommaso Crudeli e Giuseppe Cerretesi, Giuseppe Maria Buondelmonti, Ottaviano Bonaccorsi e tanti altri ancora.
Come si vede la loggia accoglieva, nel suo seno decine di fratelli, alcuni dei quali erano eminenti personalità del patriziato e del mondo culturale fiorentino, «ragguardevoli, e per nascita, e per dottrina» come si evince dagli scritti di contemporanei, non massoni.Quando iniziò la persecuzione antimassonica a Firenze e venne arrestato Tommaso Crudeli, molti non massoni presero apertamente le difese della massoneria e del poeta Crudeli, come risulta dalle lettere scritte in quella circostanza a Bottari, al cardinal Corsini, a Celestino
Galiani e a Piccolomini per perorare la causa di Crudeli.
Ma si può difendere in toto la massoneria fiorentina? Naturalmente no perchè la loggia di Firenze, come quasi tutte le logge, in quel periodo, riuniva nelle sue assemblee elementi di varia provenienza: accanto alle persone oneste, mosse da uno stimolo etico, come Antonio Cocchi o Ottaviano Bonaccorsi, c'erano avventurieri ed individui di dubbia moralità, come Philip Stosch, come un certo Reid che faceva diventare membri della loggia coloro che gli versavano una certa somma di denaro, o come Paolino Dolci. Accanto ai deisti ed agli atei, come Giuseppe Buondelmeonti e lo stesso Crudeli, figuravano i due frati agostiniani di Santo Spirito, perseguitati in Irlanda per la loro fede cattolica ma indubbiamente, nel suo complesso, la loggia aveva un carattere deistico, come del resto la maggioranza delle logge hannoveriane. La lotta di potere che si scatenò intorno alla loggia di Firenze era una lotta che esulava dall'ambito delle logge, per inserirsi in un dibattito più ampio, che verteva essenzialmente sulla strutturazione dei programmi di studio all'Università di Pisa.
Fino dal secolo precedente nello studio pisano contrastavano due correnti opposte: quella conservatrice, che voleva imporre la tradizione aristotelica sia nel campo scientifico che in quello filosofico, e la corrente innovatrice, che si fondava sul metodo sperimentale di Galileo e della sua scuola, nonché sulle dottrine più recenti di Leibniz e di Newton. È quest'ultima corrente, aperta alla cultura francese ed inglese, che, muovendo dal razionalismo cartesiano, introduceva nell'insegnamento universitario le teorie materialiste di Gassendi ed il pensiero liberale e politico di Locke.
Al di fuori dell'Università, nella più vasta repubblica delle lettere, le due correnti si fronteggiano nel contrasto fra la vecchia cultura gesuitica, impostata sulla scolastica e la grammatica latina, e la nuova cultura enciclopedica, impostata invece sul più moderno atomismo democriteo, sulla matematica, sull'archeologia e soprattutto sulla storia. Questa nuova cultura contrapponeva al latino lo studio del greco «se non altro per la necessità di creare parole nuove in servigio delle nuove scienze». Nello stesso tempo, sul piano teologico e morale, i gesuiti devono fronteggiare l'attacco del giansenismo, che si diffonde anche in Toscana, se non proprio come formulazione di un pensiero organico, certamente come aspetto polemico di una riforma rampollante dall'interno del mondo cattolico. Le forze conservatrici della Chiesa, nel combattere la nuova cultura, che si stava affermando all'Università di Pisa e fra gli intellettuali di Firenze, erano consapevoli che dietro tale rinnovamento si celava un attacco ai loro privilegi e sapevano benissimo che il rinnovamento culturale comportava nuovi diritti umani e nuovi rapporti fra Stato e Chiesa, rapporti che coinvolgevano necessariamente la riforma del Tribunale del Sant'Uffizio, del potere acquisito dal padre Inquisitore, nonché l'abolizione della mano morta come degli altri privilegi goduti dal clero. Mentre una parte del mondo cattolico si schierava con gli innovatori, auspicando una riforma all'interno della stessa Chiesa, i cattolici conservatori - capeggiati dai Gesuiti e dal partito curiale - facevano ogni sforzo possibile per fermare l'avanzare dei loro avversari. Essi credevano che il momento fosse loro propizio. L'insediarsi di una dinastia nuova, l'incertezza del momento politico favorevole al cambiamento in senso laicistico portò alla necesità di rafforzare il clericalismo e cogliere ogni motivo per chiudere la loggia fiorentina.

Considerazioni conclusive

All' interno della loggia fiorentina si consumava chiaramente il conflitto materiale inglese fra hannoveriani (protestanti e innovatori) e stuardisti (cattolici e conservatori), degli eretici sui cattolici e la mancanza di misticismo sublimante si traduceva in intrighi e prevalenza di interessi economici su tutto il resto.
Questo stato di crisi interesserà anche la massoneria francese ma poi, nell'intricarsi delle logge anglicane e stuardiste, le prime, favorite dall'avvicinamento anglo-francese, promosso dalla politica di Robert Walpole e del Cardinale Fleury, ebbero la meglio e conobbero una certa tranquillità, rispetto alle logge italiane continuando a fare proseliti e ad inserirsi nel mondo ufficiale dello Stato. Nel 1735 si era fatto libero muratore il conte di Saint Florentin, segretario di Stato di S.M. cristianissima Luigi XV e in quello stesso anno assumeva il Gran Maestrato di Francia uno dei maggiori esponenti della aristocrazia: il duca d'Antin.
Tornando all' Italia, Clemente XII, attraverso la polizia pontificia, procede alla chiusura della loggia giacobita di Roma e poi alla scomunica dei massoni. il 28 aprile del 1738 veniva pubblicata la bolla In eminenti Apostolatus specula, con la quale si scomunicava (damnamus et prohibemus): «societates, coetus, conventus, conventicula, vulgo de' liberi muratori, seu Francs Massons [sic]». I motivi addotti erano proprio quei principî che formavano i capisaldi fondamentali della libera muratoria: la tolleranza religiosa e la segretezza. Si biasimava infatti che in quelle associazioni venissero accolte persone d'ogni religione e d'ogni setta con la scusa di una comune morale naturale: «in quibus cumque Religionis et sectae homines affectati quadam contenti honestatis naturalis specie».
Si biasimava anche che i membri fossero severamente vincolati - con un giuramento e con minacce - a mantenere il segreto sui fini e sull'attività dell'associazione: «tum districto jurejurando ad sacra Biblia interposito, tum gravium poenarum exaggeratione inviolabili silentio (statuta et quae clam operantur homines) obtegere astringuntur».
Infine la bolla giustificava la scomunica con «molte altre ragioni a noi note, ma ugualmente giuste e ragionevoli» (aliisque de justis ac rationalibus causis Nobis notis). Saranno state proprio queste «molte altre ragioni» a promuovere la scomunica di Clemente XII poiché la promiscuità dei ceti sociali e la segretezza delle riunioni avevano già da tempo allarmato le autorità politiche di alcuni Stati, senza che il papa desse allora segni di turbamento. Nel 1735, per sospetti di svolgere attività politica, erano state proibite in Olanda le adunanze massoniche, che invero ripresero pochi anni dopo. Nel 1736, il governo aristocratico del cantone di Berna e l'imperatore Carlo VI per l'Austria avevano emanato analogo editto; e nell'agosto del 1737 è la polizia francese che interrompe, sia pure con tutti i riguardi dovuti ai grandi signori, un'assemblea massonica e ne proibisce la prosecuzione per ordine del re. Tutto questo lasciò del tutto indifferente la Curia romana. Cosicché è lecito supporre che non fossero i motivi evidenziati dalla bolla a turbare tanto il pontefice, che altrimenti si sarebbe mosso già da tempo a condannare la confraternita. Evidentemente le cause note soltanto al papa, le causae Nobis notae, sono - fallita la strumentalizzazione delle logge a pro' degli Stuart - le finalità politiche ed ideologiche della massoneria anglicana e la possibilità che mediante l'attività muratoria si possano facilmente propagare opinioni contrarie a quelle della Chiesa. La bolla però non ebbe conseguenze politiche immediate, poiché i vari Stati della penisola e del continente si rifiutarono di registrarla ed essa passò quasi del tutto inosservata. Un autore anonimo, ma contemporaneo agli avvenimenti citati, scriveva: «La cour de Rome, seduite par l'imposture de quelque esprit malin, lança ses foudres contre la Maçonnerie, mais cela non obstant, l'Ordre a trouvé un asyle en plusieurs villes d'Italie». Nello Stato Pontificio la bolla fu seguita da un editto del cardinale Firrao - editto che avrebbe dovuto servire da modello al braccio secolare degli altri sovrani nel quale veniva comminata la pena di morte ai trasgressori e la demolizione delle case che eventualmente avessero ospitato una loggia. Il problema era che, si sapeva, che contemporaneamente esistevano logge anche in altre città d'Italia: Napoli, Milano, a Verona, a Padova, a Vicenza ed a Venezia, ma la segretezza ne impediva il riconoscimento. In ogni caso la Chiesa, accogliendo anche la propaganda relativa ai liberi muratori, accusati di nascondere sotto il segreto massonico orge e pratiche omosessuali,
pensò bene di condannare in toto la massoneria poichè tutto confluiva nell' idea che la massoneria fosse una forza eversiva non solo per la Chiesa cattolica, ma anche per lo Stato assoluto. Insieme alla massoneria la Chiesa colpì anche l'Università di Pisa considerata come il solo ostacolo che ha impedito di ridurre la Toscana nello stato d'ignoranza.

Gli alti gradi in Italia nella prima metà del Settecento

A Firenze la massoneria aveva un carattere razionalista, con tendenze al deismo e al materialismo, non senza venature libertine, atteggiamento derivato direttamente dall'influenza degli inglesi che ne furono i fondatori e che raccolsero intorno a sé gli elementi locali più affini e più disposti ad accogliere le loro idee. Di conseguenza quella che può essere chiamata la prima loggia italiana effettivamente operante assume fino dalle origini un carattere democratico, reclutando i propri elementi in prevalenza fra quella minoranza borghese di professionisti, di intellettuali, di proprietari e di nobili imborghesiti i quali, nel primo periodo, furono tendenzialmente ed inconsapevolmente, avversi ai vecchi ordinamenti politici, aspirando a creare uno Stato moderno sul modello costituzionale inglese o su quello delle monarchie illuminate d'Europa. Tale tendenza ideologica era tipica della massoneria inglese a tre gradi (massoneria azzurra), di carattere protestante e di tendenza repubblicana.
Ma come abbiamo già visto accanto alla massoneria inglese, tecnico-operatva derivata dai liberi muratori delle origini, era operante in Francia la cosidetta massoneria scozzese, che ai tre gradi simbolici, aveva aggiunto una serie di alti gradi espressione del misticismo massonico detto anche scozzesismo che, a partire dal 1740, trasforma con le sue innovazioni il carattere dell'Ordine, facendo prevalere l' esoterismo e l'occultismo, che si era insinuato nella corporazione, probabilmente fin dai tempi medievali, con la costruzioni delle cattedrali. Nella massoneria moderna speculativa troviamo così, non soltanto i seguaci delle dottrine utilitariste e del razionalismo settecentesco, ma anche seguaci che portano avanti elementi ideologici di derivazione esoterica ed occulta trasformati in elementi fantasiosi come i seguaci di Swedenborg e di Boehme o avventurieri come Saint Germain e Cagliostro, mistici come Saint Martin, e scienziati “alternativi” come Mesmer. Con questo insieme ideologico, la massoneria andrà, ancora una volta, ad assumere le caratteristiche preromantiche di tante altre manifestazioni dello spirito di quel tempo. Ai tre gradi simbolici si aggiungono così gli altri gradi. I titolari di questi gradi e di altri ancora, si riunivano in logge appartate, chiamate capitoli o consigli e, attribuendosi titoli ambiziosi, pretendevano di rappresentare una aristocrazia massonica chiamata a dirigere i gradi blu (i tre gradi simbolici) e di possedere conoscenze ignote ai massoni ordinari. Essi avevano creato rituali complessi e le loro iniziazioni erano caratterizzate da un'atmosfera misteriosa e drammatica. In realtà il fasto delle cerimonie copriva per lo più l'indigenza intellettuale; nondimeno gli alti gradi attiravano nobili danarosi ed anche spiriti più raffinati che ambivano ad un Ordine più elevato e alla conoscenza di verità misteriose. A tale fine i manipolatori degli alti gradi avevano introdotto nei rituali suggestioni alchimistiche, teosofiche e teurgiche. Queste suggestioni non contrastano né eliminano lo spirito cristiano- cattolico introdotto dagli Stuardisti adottato dalla massoneria cavalleresca del Ramsay, anzi si fondono con esso, dando origine ad un misticismo esoterico di una tinta del tutto particolare ed irrazionalistica.
Ricordiamo che la massoneria speculativa moderna nasce nel 1917 in concomitanza con la nascita della Gran Loggia di Londra e a partire dal 1740 evolve in un costante moltiplicarsi degli alti gradi, che si raccolgono in speciali sistemi o ordini, ispirati per lo più al cristianesimo esoterico dei Rosacroce. Tutta questa fioritura di alti gradi si riduce poi in sostanza a due tipi principali: i gradi di vendetta, che sviluppano il mito di Hiram e fanno vivere all'iniziato la vendetta contro gli assassini dell'architetto di Salomone; ed i gradi cavallereschi, ispirati alla leggenda creata da Ramsay, che fa risalire la massoneria ai cavalieri crociati. La crisi irreversibile della massoneria moderna è già iniziata e si sta già concludendo ed è proprio rappresentata dagli alti gradi i quali rivelano l' incapacità di stare nel mondo in maniera costruttiva!
Dopo il 1740, con la calata nella penisola degli eserciti francesi ed austriaci, inquadrati da una ufficialità cosmopolita di mercenari; con l'insediarsi di sovrani borbonici ed asburgici, che si portano dietro i quadri dell'amministrazione, penetrano in Italia anche i nuovi Ordini massonici. Questi s'inseriscono o si affiancano alla tradizionale massoneria inglese, rendendo così difficile individuare la tradizione inglese dai vari nuclei latomistici, che nel frattempo si erano diffusi nella penisola. Come abbiamo già detto questi nuclei svolgevano un'attività saltuaria o erano circoscritti a singoli individui, residenti temporaneamente in Italia i quali - dato che bastavano sette fratelli per costituire una loggia regolare - tengono le loro adunanze, ammettendo forse anche qualche conoscente italiano.
Il probabilismo storico ci fa supporre - ma nessuna prova esiste in proposito - che questi nuclei segreti, oltre a servire agli adepti per ritrovarsi in buona, allegra e spregiudicata compagnia, si inserissero su altri gruppi praticanti culti esoterici o magici, nuclei della cui esistenza ci giunge notizia da più fonti. Sintomatico a questo proposito quanto scrive nelle sue Memorie Giacomo Casanova, quando afferma di avere conosciuto a Mantova, nel 1748 «un originale», certo Antonio de' Capitani, il quale aveva in casa una specie di museo, in cui, assieme ad «alcuni libri di magia» teneva anche «sotto chiave, tutto l'armamentario della massoneria». Questi liberi muratori, certamente non numerosi, avevano probabilmente costituite logge di breve vita e non collegate con la Gran Loggia di Londra o con altri centri massonici sorti nel frattempo in Francia. Abbiamo visto come alcune fonti anche attendibili ci dicono che questi nuclei si trovavano a Milano, a Verona, a Padova, a Vicenza, e a Venezia.

La massoneria a Napoli

Nella prima metà del Settecento, Napoli, divenne il più importante centro latomistico della penisola. Sulle origini della libera muratoria a Napoli abbiamo varie tradizioni e non sempre concordanti tra loro per cui dobbiamo fare affidamento sull' anonimo autore di una Histoire de la persécution intentée en 1775 aux Francs-Maçons de Naples, pubblicata a Londra nel 1780 i quale afferma che la massoneria fu importata a Napoli, intorno al 1730, dagli ufficiali dell'armata imperiale, che presidiò il nostro mezzogiorno per circa ventisette anni, dal 1707 al 1734. L' autore anonimo a un certo punto del suo scritto dice: Allorché le armi Cesaree presero il possesso del regno di Napoli, s'introdussero in quella vasta città le loggie dei liberi muratori, questi celebravano i loro misteri con cautela. La massoneria napoletana rifletteva la massoneria francese la quale, con il mutare del «venerabile», la loggia parigina muta anche il nome: non è più la loggia del borghese e protestante John Coustos, ma diventa ora la loggia del duca di Villeroy e questo cambiamento, da una direzione borghese ad una aristocratica, comporta quasi certamente - in conformità a quanto avvenne nelle altre logge francesi l'abbandono della massoneria hannoveriana e l'adozione degli alti gradi:sembra quindi probabile che fosse Carafa della Roccella a dare questo nuovo indirizzo anche alla massoneria napoletana. Nel 1750 a capo della libera muratoria napoletana si trovava di Sangro a dimostrazione del repentino cambiamento della massoneria la quale, nel giro di 10 anni, muta radicalmente la propria ideologia e il proprio carattere: a Firenze, dieci anni prima, avevamo una loggia formata in prevalenza da elementi borghesi, inglesi ed italiani, capeggiati da seguaci delle dottrine newtoniane, da studiosi di Epicuro, Lucrezio e Gassendi, da scrittori e poeti non conformisti e libertini, impegnati decisamente e materialmente verso il progresso razionale e laico, mentre Napoli mostra invece, la libera muratoria guidata dall'aristocrazia ed il cui Gran Maestro è uno studioso delle scienze occulte ed un alchimista. Di Sangro è sinceramente devoto al suo sovrano ed al pontefice, purché entrambi gli consentano un margine di spazio culturale in cui muoversi secondo i propri impulsi e secondo i propri interessi.
Anche in Italia, come in Francia, alla massoneria protestante e razionalista degli Hannover è subentrata quella pre-romantica e spiritualista dello scozzesismo francese. All' interno della massoneria però si può parlare di tendenze ma con elementi caratterizzanti una sostanziale continuità perchè, in definitiva, la massoneria ha l' obiettivo di perpetuare la sua esistenza finalizzata, a seconda delle epoche storiche, a entrare, con le proprie regole, all' interno del potere. C' è da dire che il vero periodo di grazia della massoneria come motore culturale capace di influire sul progresso, entra in crisi nel secondo Settecento e finisce con la Rivoluzione Francese. Gli elementi di continuità ideologica, per tutte le logge delle diverse correnti, sono riconducibili alle obbedienze, alla segretezza e all' aiuto reciproco.

L' esperienza della massoneria occultista del barone Tschudi

Agli inizi del 1751, Sotto il Gran Maestrato di Sansevero era sorta,una loggia, che aveva come «venerabile» il giovane barone Henri Theodor Tschudi, allora cadetto nel reggimento svizzero di cui era comandante suo zio, il maresciallo Leonardo Tscudi. Theodor Tschudi diventerà in seguito una personalità nel mondo massonico settecentesco, poiché fonderà un proprio sistema scozzese, dai simboli e rituali piuttosto complessi, impostato sull'ermetismo e la ricerca alchemica. I principî informatori, i catechismi e gli statuti di questo sistema chiamato L'Étoile Flamboyante, furono esposti da Tschudi in un libro dallo stesso nome, stampato a Francfort - à l'Orient, chez le Silence - nel 1766. Vediamo così che la massoneria occultista del secolo XVIII, di cui il barone Tschudi fu senza dubbio uno dei precursori, affondava le proprie radici nell'esoterismo seicentesco di Napoli e Venezia, il quale a sua volta dovette trovare una possibilità di sopravvivenza in seno ai nuclei latomistici difesi dal segreto massonico. Non sempre è chiaro nell'opera dello Tschudi - almeno al profano - il rapporto fra alchimia e libera muratoria, sembra comunque che al lavoro alchimistico egli attribuisca un significato simbolico: la pietra filosofale si identifica con la pietra pulita, adatta alla costruzione, in cui si è trasfigurata la pietra grezza, grazie al lavoro della libera muratoria. La Chiesa non poteva tollerare queste organizzazioni che si muovevano in base a un credo chiuso che veniva percepito come pericoloso anche per il diffondersi delle logge nella penisola attratte proprio dall' esperienza della massoneria del Regno di Napoli. Cosa dire poi del giuramento su Dio al quale si appellavano i massoni salvo poi agire, non pubblicamente ma nel mistero? Come potevano riconoscere Dio architetto della Natura senza riconoscere Dio portatore di Grazia?
La Chiesa di Roma aveva giustamente avvertito che il principio della tolleranza religiosa aveva - in campo politico - il suo corrispettivo nel liberalismo e nella democrazia; di conseguenza invitò il re di Napoli e con lui tutti i sovrani d'Europa, alla alleanza fra trono ed altare per contenere l'avanzata innovatrice pericolosa per entrambe le istituzioni. Carlo III, pur non dubitando della fedeltà dei suoi sudditi che avevano aderito alla libera muratoria, rimase convinto però della potenziale pericolosità per lo Stato di una simile associazione e ne proibì quindi severamente l'esistenza, in osservanza al rinnovo della scomunica di di Clemente XII ma non infierì contro i massoni napoletani, fra cui vedeva molti convinti e fedeli servitori della dinastia e si limitò a far loro abiurare i principî della setta davanti ad un rappresentante degli ordini ai quali appartenevano.
Ritornando alla loggia napoletana, nel 1751 a Napoli, si verifica nel modo più chiaro l'evolversi dello scozzesismo cattolico, nato e promosso dai seguaci della Chiesa romana, in forme magico-esoteriche che però finiscono per sfuggire di mano alla ortodossia cattolica. Di qui la condanna di Benedetto XIV il quale si pone sulla linea di Clemente XII condannando la massoneria napoletana basandosi su motivi politici e religiosi. La condanna non si tradusse in repressione per cui lo spiritualismo occultista degli «alti gradi» lasciò sempre una porta aperta verso un certo spiritualismo cattolico e la speranza di un rinnovamento vero come si configurerà nella riflessione di Joseph de Maistre. Carlo III invece, cui erano sfuggiti i principî essenziali della massoneria, vide nelle conventicole segrete dei liberi muratori soltanto l'aspetto mondano, non nascondendosi però il pericolo potenziale dell'associazione, in cui facevano capolino motivi «cromwelliani» perciò emanò l'editto che metteva al bando la setta. C' è anche da dire che l'appartenenza all'Ordine di alcuni fra i maggiori esponenti dell'aristocrazia partenopea e di molti personaggi gravitanti nell'ambiente di corte, lo rendevano meno aspro nei confronti dei liberi muratori, che dopo un certo periodo di smarrimento riprenderanno indisturbati la loro attività. L'editto reale fu applicato anche in Sicilia, dove evidentemente esistevano logge e dove al vicerè giunsero chiarimenti in merito.
A Palermo esistevano due logge: una loggia era composta da nobili e da prelati (ufficiali del S. Officio) e l'altra da commercianti stranieri, e potrebbe anche darsi che la prima fosse di origine stuardista e la seconda di origine anglicana ma dobbiamo sempre ricordarci che parliamo nell' ambito del probabilismo storico-scientifico non supportato da fonti dirette. Anche i due nomi non ci aiutano molto, salvo che un Pallavicino figura come apprendista nella loggia del principe Carafa a Napoli. In ogni caso entrambe le logge, in seguito all'editto reale, dovettero cessare ogni attività muratoria, che riprenderà a fiorire più di dieci anni dopo.

Joseph de Maistre

Joseph de Maistre, nel 1774, entrò a far parte della loggia massonica di rito inglese dei "Trois Mortiers", ma nel 1778 lo troviamo in quella martinista di rito scozzese rettificato della Parfaite Sincérité, legata al pensiero del tradizionalista francese Louis Claude de Saint-Martin. De Maistre intravvide nel ramo di questa corrente massonica un'élite con grandi potenzialità per la restaurazione cristiana del mondo, di quella "res publica cristiana d'Europa" di cui parlerà più tardi anche edmund Burke nelle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia che influenzeranno notevolmente il pensiero di de Maistre il quale tenta di recuperare il carattere progressista e cattolico della massoneria quando la crisi della massoneria speculativa aveva esaurito il suo carattere pedagogico ed era chiaramente ed esclusivamente avviata ad obiettivi di potere da realizzarsi nell' ombra infiltrandosi occultamente e segretamente all' interno del potere pubblico. Nel 1788 de Maistre entrò a far parte del Senato savoiardo e allo scoppio della Rivoluzione francese, nel 1789, vide con un certo favore le prime fasi, percependo in esse uno spiraglio a favore di riforme contro la deriva assolutistica dell' Ancien Régime. Dopo la proclamazione della Dichiarazione dei diritti dell' uomo e del cittadino e la lettura delle già citate  Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, il suo atteggiamento mutò in un completo rifiuto dei principi rivoluzionari e l' anno 1790 segnò la fine dell'esperienza massonica maistreiana. Nel 1792, in seguito all'aggressione e all'invasione francese della savoia, fu costretto a fuggire in esilio. L' esperienza di de Maistre è anche emblematica della crisi massonica europea a causa della inattitudine al nuovo potere statale.

Goldoni e Casanova

Sempre usando il condizionale varie fonti indirette parlano della esistenza di logge nel territorio della Repubblica di San Marco: a Venezia, a Verona, a Padova ed a Vicenza, intorno agli anni '30 del secolo XVIII.
Per quanto riguarda Venezia, si potrebbe far coincidere il sorgere della sua prima loggia con il soggiorno di Thomas Howard, duca di Norfolk, Gran Maestro della Gran Loggia di Londra, che da Venezia invia denaro e doni simbolici ai «fratelli» londinesi. Durante il suo soggiorno italiano, si ferma anche a Verona, a Padova e non è escluso che ivi sorgessero per iniziativa dei residenti inglesi, sollecitati dallo Howard, nuclei latomistici dalla vita incerta e discontinua, almeno nei primi anni. Una cosa è certa il potere repubblicano relega la massoneria in ambiti segreti e occulti con la presenza di intellettuali viaggiatori che ne fanno percepire l' esistenza ma con difficoltà di documentarla.
Sembrerebbe che nel 1738, dopo la pubblicazione della bolla di Clemente XII, le logge esistenti venissero chiuse per ordine della Serenissima, questa volta insolitamente concorde con la politica della Santa Sede ma sembra anche che venissero riaperte poco a poco nella massima segretezza. Questa affermazione però non è confermata da alcun documento né da una precisa testimonianza. Ben più attendibile la pur scarna notizia trasmessaci da Friedrich Münter, da lui raccolta dalla viva voce dei liberi muratori veneziani durante il suo viaggio in Italia nel 1784.
Egli dunque afferma testualmente:
  • A Venezia c'era da principio una loggia inglese, che nei primi tempi si riuniva su una nave. Da questa sorse poco a poco la seconda, finché - non molto prima del 1784 - giunse una regolare costituzione inglese (eine rechte Constitution).
Ed è con questa seconda loggia, nata intorno al 1746, che si esce dalla nebbia della preistoria massonica, per giungere ad una vicenda documentata ed imperniata su alcuni personaggi di un certo peso nella storia della cultura italiana come Giacomo Casanova, Carlo Goldoni e Francesco Griselini (scrisse la commedia I liberi muratori). A un certo punto, attraverso i viaggi, si incontrano, anche solo simbolicamente, tutti i nomi della intelligenza massonica europea ed extraeuropea, da Mozart a Beniamino Franklin e questa massoneria viaggiante illuminata ci fa domandare se gli itinerari di Casanova coincidano solo casualmente con i grandi centri massonici come Napoli, Amsterdam, Lione, Parigi, Londra, Chambéry, Torino, Pietroburgo. Purtroppo l'avventuriero veneziano, mentre abbonda nei dettagli delle sue imprese amorose, della sua elaborata ed intensa attività sessuale, è viceversa assai parco e segreto nel riferirci sulla sua attività di libero muratore, circa la quale veniamo informati solo incidentalmente e, direi quasi, contro la stessa volontà dell'autore, a cui ogni tanto sfugge qualche parola sull'argomento, peraltro mai affrontato apertamente. Egli racconta di essere stato iniziato alla libera muratoria a Lione nel 1751, in una loggia dove gli fu conferito il grado di apprendista e due mesi dopo racconta di aver ricevuto, a Parigi, il secondo grado e, alcuni mesi dopo ancora il terzo, quello di maestro, che è il massimo. Casanova racconta che tutti gli altri titoli ricevuti in seguito erano garbate invenzioni, di valore simbolico, che nulla aggiungevano alla dignità di maestro. Quando si parla dei racconti di Casanova bisogna sempre tenere presente che questo intellettuale fu qualificato come libertino, baro, empio e cultore delle arti magiche, e per questo accusato pubblicamente e regolarmente a cominciare dall'11 novembre del 1754. Queste accuse non sembrano turbare troppo gli Inquisitori i quali decidono di procedere contro Casanova dopo la lettura di un rapporto del luglio 1755 dove si parla di lui come organizzatore massonico; Manuzzi infatti così dice:
  • ... essendomi portato questa mattina alla di lui casa... mi fece vedere una pelle bianca, che aveva in detto baule, in forma di una picciola traversa da potersi cingere alla vita, le ho domandato in che se ne servisse, mi rispose che quella si usa quando si va in un certo luogo, ove si adoperano anche dei ferri, et un abito nero, le ricercai dove fossero i ferri e l'abito, mi disse che si tengono nella loggia, perché di troppo pericolo sarebbe tenerli in casa. Mi sovvenne allora che lo stesso Casanova parlato mi avea ne' giorni passati della Setta de' Muratori, raccontandomi i onori e vantaggi che si hanno a essere nel numero de' confratelli, che vi aveva dell'inclinazione il N. H. Ser Marco Donado per esser arrolato a detta setta, ma la maniera con cui sono introdotti la prima volta nella loggia sembrandogli assai rischiosa, non ha voluto azzardarsi, dicendomi che si lasciano condurre con occhi bendati.
Giacomo Casanova, arrestato ed interrogato, si comportò rispettando il segreto massonico: non rivelò alcun nome, ma fece solo quello di un aspirante, ritiratosi all'ultimo momento.
Per quanto riguarda Goldoni.....
Non meraviglia che Goldoni potesse aderire ai principî di fratellanza e di uguaglianza, praticati nelle logge inglesi, principî ai quali aspirava anche la borghesia mercantile di Venezia, mal sopportando i privilegi dell'alto patriziato. Il populismo latente e addirittura un certo spirito sovversivo di molte sue commedie, ma che esplode soprattutto nelle Baruffe chiozzotte, non era sfuggito al suo nobile antagonista, il conservatore Carlo Gozzi. Quello spirito che si può riassumere nella frase del vecchio pescatore chioggiotto: «No altri poverassi andemo a rischiar la vita in mare e sti mercanti col baretono de veludo i se fa ricchi co le nostre fadighe!». Carlo Gozzi rimproverava appunto a Goldoni lo spirito democratico e la polemica contro la corrotta e decadente aristocrazia veneta. Le prudenti ma chiare affermazioni di democrazia che si possono leggere ne Le donne curiose, sono perfettamente in chiave con i principî della libera muratoria inglese. Fanno pensare «che in
fondo all'anima goldoniana passassero visioni di rinnovamento politico e sociale ben più ampie di quelle che ci è dato di cogliere nelle sue parole».
Per ragioni di cautela, l'ambiente delle Donne curiose è posto a Bologna. Ma quale capo delle riunioni massoniche - che per la loro segretezza suscitavano la curiosità delle mogli - Goldoni scelse un tipico personaggio veneziano: Pantalone de' Bisognosi, incarnazione del borghese operoso e di buon senso. Ed è proprio a Pantalone che sfuggono le battute in cui guizza lo spirito della fratellanza, come quando afferma: «no xe la nascita che fazza el galantuomo, ma le bone azioni» (atto II, scena 13). La maggiore preoccupazione del Goldoni era quella di ridimensionare le voci che circolavano sulla massoneria. Macché alchimia, macché lapis philosophorum, come insinuava una delle «donne curiose»! macché riti iniziatici, quali se li aspettava un neo-ammesso. La commedia vuole appunto sfatare questo pregiudizio, dimostrando l'innocenza del segreto massonico. A questo proposito sono significative le parole di Brighella, che concludono infatti la commedia. In questi termini lo scanzonato servitore giustifica l'avere introdotte le donne nella loggia:
  • Signor sì, le ho introdotte nella loggia per questo. Una diseva che qua se zoga, e se rovina le case; l'altra che vien donne cattive e se maltratta la reputazion; una voleva che se fasse il lapis philosophorum; l'altra che se cavasse un tesoro. Ste cose in bocca alle done le impeniva in poco tempo el paese e per levarghele dalla testa el dir no, non bastava, el giera gnente e no rimediava. Bisognava sincerarle, bisognava che co so occhi le vedesse, le sentisse e le se cavasse dal cor sta maledetta curiosità. Le ha visto, le ha sentio, non le sospetterà più, no le starà più curiose.
Goldoni mette in bocca alla servetta Rosaura le parole della bolla di Clemente XII: «Se non vogliono che si veda, vi sarà qualche cosa di brutto» «Nisi enim male agerent, tanto nequaquam odio lucem haberent».
Proprio quando venivano presentate sulla scena Le donne curiose e venivano pubblicati I liberi muratori, di Griselin si scatenò una polemica vivacissima fra Goldoni e l'ex gesuita Pietro Chiari, appoggiato quest'ultimo dal patrizio veneziano Antonio Condulmer, che, pochi mesi dopo, sarà nominato inquisitore di stato.

La prima loggia milanese

L'esistenza di una loggia a Milano nel 1735 viene affermata da Findel; al 1737 invece la fanno risalire Lambert, Maruzzi ed altri ancora. E in quella data si riferisce anche l'estensore della voce «Italien», nell'Allgemeines Handbuch der Freymaurerei. Non esistendo alcun documento, non solo per individuare la data precisa, ma nemmeno per accertare l'esistenza di questa loggia, riesce difficile ricostruire fatti certi. È però probabile - dato anche l'accordo tra fonti così diverse- che anche in Lombardia, come nel Veneto, esistessero nuclei latomistici o singoli massoni, più o meno organizzati tra loro; nuclei che si componevano e si disfacevano a seconda delle circostanze e della presenza dei «fratelli», che per lo più dovevano essere stranieri.
Il primo documento che ci conferma l'esistenza di una organizzazione latomistica in Lombardia è costituito dalle carte di un processo intentato dalle autorità politiche contro i componenti di una loggia a Milano, nel luglio del 1756. Dai documenti rimasti risulta che in una data non precisata, ma probabilmente di poco anteriore al 1756, venne istituita una loggia da un certo Pierre Georges Madiott, il quale sottoposto, insieme agli altri «fratelli», ad un'inchiesta giudiziaria, venne considerato dal senatore Gabriele Verri, presidente del collegio giudicante, come «il principale, e quasi può dirsi unico introduttore di questa combriccola in Milano». Si trattava in realtà di un ginevrino «noto artefice d' orologgi in questa città, e più noto calvinista». Quest'ultima qualità aveva già destato lo scandalo presso le autorità ecclesiastiche e civili. Madiott, che doveva eccellere per le sue doti di artigiano, aveva la bottega e l'abitazione nel centro della città e, sia lui che la moglie ed i figli, affermavano la loro fede religiosa, professando il culto calvinista. Ma questo, anche nell'anno di grazia 1756 e sotto l' illuminato governo di Maria Teresa, costituiva agli occhi dei benpensanti e dello stesso Gabriele Verri una grave colpa, tanto che il senatore si faceva interprete presso il governo del grave rammarico accusato dal padre Inquisitore «il di cui zelo vorrebbe svelta dal suolo insubro una sì perniciosa radice». Madiott, calvinista ed abile artigiano, era venuto da Ginevra per propagare l'arte reale in Lombardia e aveva come collaboratore nell'attività massonica un concittadino, tale monsieur Moussard, negoziante a Torino, il quale ad un certo momento assunse la carica di venerabile della loggia. I due svizzeri trovarono un ambiente abbastanza favorevole, poiché in breve tempo fecero numerosi proseliti di varia estrazione sociale. È probabile che la loggia, fondata dal Madiott e da Moussard, entrambi borghesi e protestanti, fosse una loggia inglese. Ad essa aderirono elementi locali, che in parte erano già stati iniziati in patria o altrove ai segreti della libera muratoria. Tra questi va quasi certamente annoverato l'abate Pavesi, così descritto nel rapporto di polizia: «di statura piccola, piccato da' vaioli, naso piuttosto largo, capigliatura scura; fa il maestro di francese, ed è venuto avanti qualche mese da Londra». Era membro della loggia anche un altro ecclesiastico, padre Francesco Sormani, monaco celestino e lettore in San Pietro Celestino. Questi due appartenenti alla loggia, entrambi arruolati da un certo Flaminio Zanoni, facevano probabilmente parte di quegli ecclesiastici inquieti, i quali, provenendo dal terzo o dal quarto stato, trovavano nel clero una possibilità di ascesa sociale, alimentando però nel loro cuore un più o meno celato spirito di rivolta. L'elemento forse più interessante di tutto il gruppo, così descritto nel solito rapporto di polizia:
  • di statura mediocre, d'anni circa trenta, capigliatura bionda, faccia lunga, portava un vestito nero e cappello con pennacchiera bianca; tiene qualche carica appresso la città nell'offizio che si trova nella piazza de' Mercanti sopra il collegio de' Notari.
A questi si aggiungono alcuni elementi provenienti dalle file della nobiltà, come il marchese
Ottaviano Casnedi e il giovane conte Alari, che era diventato massone a Napoli nel 1751, nella loggia borghese presieduta dal principe di Calvaruso e poi dal negoziante Larnage; come il conte Giuseppe Castelbarco, membro di una famiglia legata a filo doppio con la massoneria e la cui sorella, contessa Teresa, fu protettrice del poeta fiorentino Giuseppe Cerretesi, da noi già ricordato come compagno di sventura di Tommaso Crudeli. Fanno inoltre parte della loggia milanese il conte Carlo Belgioioso, il cavaliere Melzi e il dottor Vincenzo d'Adda.
Un cenno a parte merita l'affiliazione del marchese Francesco Carpani, economista geniale e riformatore ma strenuo avversario dei giovani che si raccoglievano nell' Accademia dei Pugni. Carpani era avversario soprattutto del Beccaria e di Pietro Verri, che, nondimeno, ebbe per lui parole d'elogio e di ammirazione. A questi affiliati cittadini si aggiunse ad un certo momento, ed in misura preponderante, l'elemento militare della guarnigione austriaca. Da documentazione esistente saltano fuori i nominativi di una ventina d'ufficiali, implicati nella vicenda; ufficiali che rivestono i vari gradi dall'alfiere e dal sottotenente, al capitano al colonnello e addirittura al generale Joseph Esterhazi, proprietario del reggimento da lui comandato. Gli ufficiali, di nazionalità austriaca, ungherese e svizzera, appartenevano in maggioranza al reggimento Wettis, ma alcuni anche ai reggimenti Pallavicini, Giulay, Forgatz, Mery, Andrassy, Palfy e alla Guardia del duca di Modena che era allora governatore della Lombardia. Questa diffusione della libera muratoria fra i vari reggimenti della guarnigione austriaca ci dimostra quanto dovesse essersi affermata negli eserciti imperiali. Del resto abbiamo già notato come la massoneria avesse messo le radici a Napoli proprio con l'arrivo delle truppe di Carlo VI. Tale diffusione si realizzava nonostante i divieti dell'imperatore, ribaditi da Maria Teresa che nel 1743 aveva provveduto a sciogliere manu militari una loggia in Vienna, facendone arrestare i membri, appartenenti per lo più all'alta aristocrazia austriaca. Se furono dopo poco prosciolti da ogni accusa, è probabile che ciò avvenisse anche per intercessione del marito imperiale, il «fratello Lorena». Terminato il processo tutti gli implicati furono costretti ad abiurare la loro appartenenza alla massoneria davanti alle autorità ecclesiastiche. Gli arrestati vennero, nell'ottobre stesso, rilasciati, quando già da tempo era stato tolto l'arresto agli ufficiali. Il monaco Sormani e l'abate Pavesi furono però condannati all'esilio, dal quale vennero richiamati nel gennaio del 1757. In quel tempo, buon ultimo, uscì di prigione anche Madiott, che venne definitivamente espulso dalla Lombardia, soprattutto per insistenza delle autorità locali che non potevano tollerare «nel centro di questa stessa città un pubblico ostinato Calvinista, ….Quando Madiott, più di tre anni dopo, chiese un salvacondotto per tornare a Milano a riscuotere certi crediti, il conte Verri dette parere sfavorevole.
L'intera vicenda si concluse con un editto emanato dal governatore della Lombardia austriaca, il duca Francesco di Modena, emesso in data 6 maggio 1757, editto che vietava severamente le riunioni massoniche in tutto il territorio dello Stato. L'editto, redatto dalla stessa commissione d'inchiesta, era stato ricalcato su quello promulgato da Carlo III a Napoli nel 1751, considerato come valido precedente nella repressione antimassonica. L'organizzazione massonica di Milano, con questo processo, subì un grave colpo ma non tale da recidere tutti i legame organizzativi sopravissuti in segretezza e clandestinità i quali riaffiorarono nella mutata condizione politica e culturale di due decenni dopo con l'affermarsi, sotto l'egida di Giuseppe II, della nuova generazione dei riformatori lombardi. Illuminante a questo proposito il contrasto fra padre e figlio, fra Gabriele e Pietro Verri. Ritroveremo allora, nella rinata loggia massonica alcuni nomi incontrati nelle precedenti pagine. È degno di nota che a Milano, più che a Firenze, a Napoli ed a Venezia, la massoneria acquistasse un più deciso contenuto protestatario, laico, patriottico, con inclinazioni repubblicane e cosmopolite legate alla comunanza dei vari ceti sociali, oltre all'unione fra cattolici e calvinisti, tanto temuta dalla Chiesa romana.

I liberi muratori a Genova

Nel 1747 il vescovo di Ventimiglia pronuncia una accorata pastorale pronunciata per denunciare il costante diffondersi della libera muratoria ed accennava al fatto che «in un luogo non molto lantano da noi... nella loggia dei Francs Maçons» si era mangiato carne nel primo venerdì della quaresima. Cosa significava? All' interno delle logge non ci si curava dei precetti cristiani!
Cosa sappiamo della massoneria ligure? Dalla deposizione del capitano Beniamin Obbel, del reggimento Giulay, di religione luterana, arrestato a Milano nel 1756, perché massone, sappiamo che egli era stato iniziato all'ordine nel 1745 proprio a Novi Ligure in una loggia tenuta da alti ufficiali tedeschi ed ungheresi, e che era intervenuto all'adunanza di un'altra loggia a Bordighera.
A Genova, fino dal 1747-49 esistevano almeno due logge, sorte probabilmente anche qui per iniziativa di un colonnello delle truppe francesi, accorse in aiuto della Repubblica, durante la guerra di successione austriaca. Queste logge, per sfuggire alle accuse della Chiesa di sovversivismo politico e d'eresia, avevano ad un certo momento assunto la fisionomia di una società sorta - per dirla con Antonio Ludovico Muratori - «in una invenzione di darsi bel tempo». Perciò, data la scomunica di Clemente XII, aveva abbandonato il nome di libera muratoria per assumere quello di Compagnia della Felicità. Il nome e il cerimoniale era ricalcato su un'analoga associazione massonica, sorta in Francia, a Parigi nel 1742-43 con il nome di Ordre de la Félicité, cui erano ammesse anche le donne mentre si sa che la massoneria era fortemente misogina. Se questo aspetto mondano e il fine edonistico, simboleggiato dalla navigazione verso le isole della Felicità, coprissero anche in Francia una organizzazione segreta, non è dato di conoscere con esattezza. Dagli informatori di polizia veniamo a sapere che si trattava di due compagnie di persone civili, composte di huomini e donne, quali si radunavano... in due diverse case situate in luogo remoto, nella strada di San Giacomo di Carignano a tergo del noviziato de' Gesuiti e più in là della Pietra Sagrata, oltrepassata un'immagine della Madonna.
Gli informatori dettero in quella circostanza anche i nomi di alcuni aderenti. La Repubblica di Genova, temendo il sorgere di un'associazione politica, volle vedere chiaro in questa faccenda, e approfondì le indagini. Si venne così a conoscere che la libera muratoria era stata introdotta a Genova da un colonnello francese e che la loggia era frequentata da un altro ufficiale «certo Guidoboni al servizio del re di Napoli» e si seppe anche lo svolgimento delle varie cerimonie ed i rituali, ricalcati - almeno in parte - su quelli massonici, con l'applicazione della terminologia marinaresca, come ad esempio la sostituzione dei gradi di apprendista, compagno e maestro, con quelli di mozzo, capitano e ammiraglio. Inoltre un informatore narrava:
  • ... si radunavano uomini e donne, tutti civili, e si trattenevano in divertimenti: dopo i divertimenti si smorzavano i lumi, stando ogni huomo con la sua signora, e si trattenevano coi lumi spenti per alcun tempo. Poi, riaccesi i lumi, uno andava attorno ai congregati per raccogliere denaro.
Accanto a queste due compagnie della Felicità, esisteva anche una Compagnia della Stella, che pure ammetteva le donne ed era composta di ufficiali francesi e cittadini genovesi, i quali avevano servito nell'esercito francese. Infine esisteva una quarta compagnia, che aveva come emblema la cazzuola muratoria. Questo utensile d'argento era stato presentato al giudice inquisitore da «Domenico Repetto Andrea, praticante dell'Ospedale degli incurabili», il quale dichiarò di averlo avuto «da un anno e circa in Firenze da persona che in una osteria ne aveva da circa trenta, e crede essere di nazione tedesco». Gli Inquisitori di Stato, allarmati fino dal 1748 per il fatto che «molti ugonotti tengono frequenti secretissime adunanze fra loro con cabale perpetue», ritenendoli liberi muratori, si preoccuparono di questo dilagare della massoneria anche in Liguria non tanto per il contravvenire ai divieti pontifici, quanto per un latente pericolo rivoluzionario che un'associazione segreta poteva rappresentare per lo Stato. Pertanto nelle direttive ai Serenissimi Signori sottolineavano «che vi hanno - in questa associazione da loro individuata - nomi di persone di diverse classi, Forastieri e Cittadini, Ufficiali a servizio di V.S. Ser.me ed anche qualche Patrizio». Per questo si raccomandavano che «la cosa fosse maneggiata con efficacia bensì, ma insieme col minor strepito e con dovuta cautela». Analoga cautela raccomandò la Signoria al Magistrato di Stato, che immediatamente proibì queste riunioni, sequestrò gli emblemi reperiti, ammonì gli iscritti e qualche forestiero venne anche espulso: nessun altro provvedimento fu preso contro i liberi muratori di Genova. Il fatto più significativo di questa vicenda è una lettera che il vescovo di Sarzana, il barnabita monsignor Della Torre, scrisse in confidenza al Magnifico Agostino Gavotti, il 12 marzo del 1752, allegandovi, a quanto sembra, la copia di un documento assai interessante. Nella lettera, che fu comunicata al governo, il vescovo fra l'altro affermava:
  • ho sentito leggere un foglio contenente alcune pretese massime dei liberi muratori, che si dicono palesate da un confratello moribondo in Napoli. In sostanza contengono la mira di sottrarre il genere umano alla dipendenza dal Principe e dal Sacerdozio, come due Podestà incompatibili colla libertà nella quale Dio ha creato l'uomo. Se fosse vera l'esistenza reale di questa setta appoggiata a simili massime, crederei che fosse impegno d'ogni Principe invigilare perché non si radicasse nello stato.
È questo - le strabilianti rivelazioni in punto di morte fatte da un massone napoletano - un motivo che appare qui per la prima volta, ma che ricorrerà periodicamente nella propaganda antimassonica della Chiesa, non solo durante la seconda metà del secolo XVIII, ma anche in tutto il corso del secolo successivo. Non è stato possibile reperire, nell'Archivio di Stato di Genova, né la lettera del vescovo di Sarzana e nemmeno il documento citato da Levati; evidentemente si tratta di un documento la cui esistenza è stata trasmessa in seguito a testimonianze orali.
Certo è che, come col processo Crudeli a Firenze nel 1739, così anche a Genova nel 1762, l'Inquisizione subì una grave sconfitta da parte dell'autorità dello Stato, proprio a causa dei liberi muratori certo è il fatto che, da allora mai più, il padre Inquisitore interferì nelle faccende della massoneria genovese la quale continuò a sopravvivere come vedremo anche in seguito.

Le origini della massoneria in Piemonte

La preistoria della massoneria piemontese è avvolta dal misteroe anche con il probabilismo storico non s riesce a costruire anche perchè mancano anche fonti letterarie indirette o racconti.
Il 16 giugno 1737, Lorenzo Diodati, agente della Repubblica di Lucca, presso il Granduca di Toscana, scrivendo al suo governo intorno ai liberi muratori di Firenze e lamentando la scarsità di notizie sulla loro società «a causa del loro strettissimo giuramento», aggiungeva:
  • ho inteso, però, che quando fu tentato d'introdurla a Turino, fosse scoperto che tenevano li seguenti tre perversi principj, cioè che l'usare carnalmente colle donne non fosse peccato; che non è necessaria la confessione, bastando la contrizione per rimettersi in grazia e che si può mangiar carne il venerdì e il sabato.
Un autore francese, nel 1744, affermava che esisteva «ad Avignone una loggia, a Torino in Piemonte una loggia. Ve ne erano pure alcune altre in Italia». Nella Relazione della Compagnia de' Liberi Muratori, che è del 1746, Angiolieri Alticozzi narra un episodio di schiamazzo notturno causato dai «fratelli» avvinazzati partecipanti ad un banchetto «nella principal loggia di Turino».
Benedetto XIV scrivendo a Carlo III di Napoli a proposito del diffondersi dei massoni in
Italia, il 17 agosto del 1751, diceva «purtroppo vi è qualche riscontro che [anche nel Regno di Sardegna] si ritrovi qualche canaglia». Si tratta comunque anche qui di notizie non documentate, che dimostrano la probabile esistenza di sporadici gruppi latomistici, senza una precisa organizzazione, come giustamente suppone Pericle Maruzzi, nel suo poderoso lavoro sulla massoneria piemontese nel '700.
La prima loggia organizzata, di cui sia documentata l'attività, nel Regno di Sardegna è una loggia di Chambery, fondata dal conte Francesco de Bellegarde nel 1749. Joseph François Noyel de Bellegarde, marquis des Marches, gentiluomo di camera di Carlo Emanuele III, militava nelle file della libera muratoria fino dal 1739, in quell'anno infatti la gran loggia di Londra, nella persona del Gran Maestro lord Robert Raymond, gli aveva rilasciato una patente di Gran Maestro per la Savoia ed il Piemonte. Di tale titolo il Bellegarde si valse per fondare a Chambery, nel 1749, una loggia dal nome Saint Jean des trois Mortiers, che nel 1752 diventerà Grande Maîtresse Loge aux trois Mortiers con la facoltà di creare altre logge in tutti i territori del Regno di Sardegna.
Nel 1753 il marchese de Bellegarde lasciò la Grande Maestranza conservando il titolo onorifico di Gran Maestro Provinciale, che gli rimarrà fino alla morte, avvenuta nel 1759. Gli successero nella carica vari altri Gran Maestri fino all'anno 1765, allorché sotto la guida, prima del Des Maisons e quindi di Jaume de la Valette «ancien capitaine d'Infanterie au service de la France», la loggia di Chambery, valendosi della sua facoltà, cominciò a creare altre logge, civili e militari, nel Regno di Sardegna. Sorse così nel gennaio di quell'anno la loggia del reggimento di fanteria «Savoia»; a luglio quella intitolata «La Vraie Amitié» a Rumilly e infine nel dicembre la loggia «La Mystérieuse» di Torino.
La loggia di Chambery, come era ovvio, subiva l'influenza della vicina Francia, dove, la libera muratoria aveva assunto un carattere aristocratico e mondano, praticando altresi gli alti gradi, come del resto già facevano i «fratelli» del Regno di Napoli, anche essi sotto l'influenza francese. Così, oltre ai tre gradi simbolici della massoneria inglese, nel Regno di Sardegna le logge conferivano anche altri tre gradi:
4. Excellent Écossois oppure Maître Écossois;
5. Puissant Écossois oppure Élu des Neuf;
6. Chevalier d'Orient.
Tali gradi s'ispiravano alla vicenda che si sarebbe svolta dopo la uccisione di Hiram in vista di recuperare i segreti perduti per la ricostruzione del Tempio di Salomone e, più che conferire un vero e proprio insegnamento esoterico, accontevano e solleticavano, con l'elevazione gerarchica, le ambizioni dei nobili associati. Questi alti gradi comunque, complicavano con i loro rituali la sostanza del primo programma massonico. Chambéry era dunque diventato un centro latomistico di notevole importanza, non per nulla la
capitale della Savoia figurerà nell'itinerario di Giacomo Casanova. E da Chambéry, intorno al 1765, la libera muratoria si diffonde nel Regno di Sardegna. Questo sciamare massonico coincide con il ritorno in patria degli ufficiali, militanti nei vari eserciti d'Europa durante la guerra dei sette anni. Difatti molti ufficiali italiani erano stati iniziati alla massoneria proprio nel corso di quel conflitto, aderendo alle numerose logge reggimentali, che, oltre ad offrire occasioni d'incontri, di spasso e di bisbocce, offrivano anche, nell'eventualità di una cattura, la possibilità di un trattamento migliore da parte dei «fratelli» militanti nel campo opposto. Si pensi a quanto narra in proposito Carlo Gorani, al quale l'appartenenza alla libera muratoria consentì di passare allegramente la prigionia di Tilsitt. A dicembre del 1765 fu fondata la loggia torinese «Saint Jean de la Mystérieuse». Il nome stesso sembra alludere alle difficoltà in cui si trovavano ad operare i «fratelli» torinesi, poiché, mentre le logge militari dislocate nei vari centri dello Stato e la loggia di Chambery, situata ai margini del Regno potevano liberamente prosperare, a Torino invece, nella capitale, la vicinanza della corte e soprattutto quella del vigile cardinale Delle Lanze costringeva i liberi muratori a celare il più possibile la loro attività e questo perché, generalmente, come osserva Pericle Maruzzi, i nomi delle logge denunciavano le aspirazioni, i desideri, i gusti di chi le fondava, ed erano quasi sempre sentimenti in contrasto con le reali condizioni morali e sociali dell'epoca: Veri Amici, Sincerità, Candore, Prudenza, Unione perfetta o sincera, Fedeltà, Armonia, Verità, Silenzio, Costanza, Discrezione, Filantropia, Concordia, Saggezza ed altri nomi del genere erano, insieme con quelli di molti santi, titoli comunissimi delle logge sin verso il 1770; dopo quell' anno i «fratelli» cominciano a preferire titoli che risentono le teorie filosofiche-religiose alla moda: Eguaglianza, Contratto Sociale, Beneficenza, Uomini Liberi, Umanità, ... Anche a Torino, come a Chambéry, la loggia era costituita in grande prevalenza da nobili. Dal Tableau del 1768 - in cui troviamo il nome del conte Michele Benso di Cavour, avo di Camillo - risulta che la loggia era composta di 23 patrizi, fra cui soltanto 5 non erano militari, e da 4 borghesi: un architetto, Castelli; un musicista, Gaetano Pugnani, primo violino della Cappella del re; un banchiere, Donaudi; un negoziante, Vigna. E lo scozzesismo? Vi era anche altro ad interessare i liberi muratori torinesi: lo studio delle scienze occulte e la pratica di un certo misticismo esoterico ma in quale periodo questo avvenisse non è dato saperlo con esattezza.

Conclusioni

Dopo il periodo della messa al bando dell' ideologia massonica e dopo una serie di processi dovuti all' idea della pericolosità del segreto massonico, conclusione a cui era arrivata la chiesa ma anche il potere laico, le logge, nella seconda metà del Settecento, si ricostituirono ma il tempo delle grandi idealità era concluso. L' idea del gruppo eletto però si trasferì, in parte, nel romanticismo risorgimentale di fine Settecento per poi diluirsi in un fenomeno esclusivamente finalizzato alla conquista del potere, dell' economia e della finanza che oggi ritroviamo marginalizzato. Ma è davvero marginalizzato o il trionfo massonico seguito alla Gran Loggia di Londra è ancora presente? Ancora oggi siamo a interrogarci. La scoperta della P2 e la Commissione d' inchiesta presieduta da Tina Anselmi, la quale aveva previsto la P3 e la P4, ci devono far riflettere molto senza abbassare mai la guardia poiché oggi è innegabile che la massoneria ha perso definitivamente la sua capacità di agire per il progresso mantenendo e sviluppando la vocazione esclusivamente verso l' interesse personale. Attualmennte l'attenzione sulla massoneria conosce un interesse rinnovato e molti pensatori, magistrati e giornalisti pensano che diedro la grande finanza la quale tiene in scacco i governi, ci sia la massoneria! Naturalmente non riusciremo a sapere con esattezza se c' è o no poiché l' appartenenza vera alla massoneria è segreta e fa ridere quando un giornalista chiede a un personaggio pubblico: è vero che lei è massone? Certo non ci rassicura il sentire rispondere di no poiché il no non corrisponde necessariamente alla verità. Quello che certo e chiaro è il fatto che oggi il vero potere non è visibile ed è occulto allora interrogarsi e conoscere la storia della massoneria è indispensabile perchè la massoneria ha avuto l' ambizione di essere il partito segreto e progressista del settecento. E' ragionevole pensare che questa smisurata ambizione di occupare il potere si sia esaurita e conclusa? La storia recente ci dice di no! 
Quali sono i campanelli d' allarme? Il fatto che tutto il potere vero sia invisibile e che c' è una rinnovata e pericolosa misoginia! Lorenza Cervellin

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