domenica 10 giugno 2012

BASTA CHIAMARE GLI ASSASSINI CON I NOMI DI ANIMALI: RICORDIAMOCI DELLA BANALITA' DEL MALE



 Nel 1961 Hannah Arendt, inviata a Gerusalemme, dal settimanale New Yorker, seguì le 120 sedute del processo Eichmann, criminale nazista, il quale fu condannato a morte mediante impiccagione con sentenza eseguita il 31 maggio del 1962. Otto Adolf Eichmann, militare tedesco, non era mai andato oltre il grado di tenente-colonnello, ma, per l'ufficio ricoperto, durante la seconda guerra mondiale, aveva svolto una funzione importante, su scala europea, nella politica del regime nazista, coordinando l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio, funzione che portò a termine con la massima efficienza anche quando era chiaro che la Germania, ormai ridotta in macerie, aveva perso la guerra; i treni di Eichmann continuarono a trasportare, in modo efficiente, i prigionieri ebrei verso la morte. Nel maggio 1960 agenti israeliani catturarono Eichmann in Argentina, dove si era rifugiato, e lo portarono a Gerusalemme per processarlo in un tribunale israeliano. La sua difesa si incentrò sullo spostamento dalla responsabilità personale, che dovrebbe essere di origine ontologico-morale, alla responsabilità formale incentrata sull' obbedienza agli ordini: Eichmann tenne a precisare che, obbediva agli ordini e che, in fondo, si era occupato soltanto di trasporti, tutte giustificazioni banali mancanti totalmente di originalità che hanno dato luogo a comportamenti e discorsi acritici, scontati e ovvi.
 Arendt pubblicò Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo conclusero nel settimale New Yorker in seguito riunite, nel1963, nel libro La banalità del male (Eichmann a Gerusalemme) continuando una riflessione iniziata nel 1940 in cui analizzava il Totalitarismo, riflessione presente anche ne: Le Origini di Totalitarismo del 1951.
Quando vide Eichmann Arendt notò come, già la sola presenza fisica, potesse offrire una prima riflessione in quanto, l' autore di azioni criminali, definite mostruose, erano state compiute da una persona “normale”, rispetto per esempio alle teorie lombrosiane, a cui le definizioni che comunemente si usavano per “isolare il male”, nel caso dei crimini di Eichmann, non erano pertinenti e apparivano inadeguate per cui non era più corretto usare, per chi dà la morte, la provoca o ne è complice e commette crimini contro l' umanità, i termini: demoniaco, mostruoso, pazzo o animalesco. Andando più in profondità, Arendt percepì Eichmann come un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità che la lasciarono stupita nel considerare invece il male che lui aveva commesso. Ciò che Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità ma qualcosa di completamente negativo: l'incapacità di pensare autonomamente. 
 Eichmann aveva sempre agito all'interno dei ristretti limiti permessi dalle leggi e dagli ordini, e questa incapacità di andare oltre, fu la componente fondamentale di quella che può essere vista come una cieca obbedienza che si rivelò devastante per i danni prodotti. Un gruppo di uomini mediocri era stato capace di dare forma a un male storico assolutamente originale con il silenzio complice e colpevole di una grande massa di altri uomini, non pensanti, altrettanto mediocri. Eichmann non era l'unica persona che appariva normale mentre gli altri burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente “normali" i cui atti erano mostruosi. Dietro questa "terribile normalità" della massa burocratica, che era capace, attraverso uomini normali, di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della "banalità del male", della persona normale che non pensa e si omologa, punto cruciale della riflessione arendtiana perchè, se le persone avessero pensato, con la sola facoltà di pensare si potevano evitare le azioni malvagie. La banalità del male da cui origina la capacità di agire il male si pone nella omologazione acritica che impedisce la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, anestetizza la facoltà di giudizio, e le relative implicazioni ontologico-morali. Questa "normalità" fa sì che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalle società - in questo caso i programmi della Germania nazista - trova luogo di manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le applica incondizionatamente: Eichmann ha introdotto il pericolo estremo della irriflessività, della incapacità di mettere in questione, di riconoscere il male e di reagire evitandolo. Uomini come Eichmann erano tanti e quei tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, terribilmente normali ed è stata questa normalità la più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica - come fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni - che questo nuovo tipo di criminale, realmente "hostis generis humani", commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. L'analisi delle interrelazioni fra la facoltà di pensare, la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio, e le loro relative implicazioni morali, come detto sopra rappresentano il nucleo tematico dell'opera.
 Per tentare di dare delle risposte Arendt si è chiesta se la facoltà di pensare, sia veramente un percorso risolutivo per la possibilità di evitare di fare il male o perlomeno quel male che secondo lei origina nella banalità che, fino a quel momento veniva analizzato con categorie standard tradizionali tendenti a isolarlo e allontanarlo perchè si pensava agito da persone con patologie, per interesse personale, gelosie, invidie, o da persone possedute dal demonio, categorie interpretative necessarie a preservare proprio l' uomo normale ritenuto moralmente integro e ricondotto a una sola unità: l' unità ideologica giuridico-morale a cui si risponde con la relativa condanna ideologica di chi fa il male da parte della società. Arendt si domandò se la dimensione di male è una condizione necessaria di fare il male, in altre parole: il fenomeno del male ha necessariamente una radice desiderata? Era innegabile che queste nuove domande del fenomeno del male, le cui radici non erano ancorate negli standard filosofici, morali, religiosi positivistici tradizionali, apriva una prospettiva nuova sul comprensione del male. Questa riflessione sul male è presente anche nelle prime pagine dell'introduzione a: La Vita della Mente e si rifà sempre alla riflessione sul processo Eichmann in cui Arendt disse: mi sono sentita scioccata perché tutto questo contraddice le nostre teorie di male. La perplessità davanti ad un fenomeno che ha contraddetto le teorie note di male, e la relazione chiara tra il problema di male e la facoltà di pensare, era quello che Arendt aveva espresso con la frase: la banalità del male, anche in occasione della riflessione sul totalitarismo, dovuto all'esistenza di un nuovo genere di male, il male assoluto, che, non poteva essere a lungo spiegato e capito con malvagie ragioni di egoismo, avidità, bramosia, risentimento, sete per potere, e codardia. Arendt sosteneva che la tradizionale comprensione del male non era di nessun aiuto, riferita a questa variante moderna, e ha voluto seguire il processo probatorio ad Eichmann, del quale ha riferito per il New Yorker, per confrontare chiarificare le sue idee. Come può dunque la capacità di pensare muoversi in modo da evitare il male? Per prima cosa, secondo Arendt, gli standard etici e morali basati sulle abitudini e sulle usanze hanno dimostrato di poter essere cambiati da un nuovo insieme di regole di comportamento dettate dall'attuale società. Nella nuova società, pur fortemente coercitiva, poche persone non aderiscono al regime e Arendt prende in esame questo gruppo per capire come mai molti aderiscono alla massificazione e pochi vi resistono. A tale domanda risponde in maniera semplice: i non partecipanti, chiamati irresponsabili dalla maggioranza, sono gli unici che osano essere giudicati da loro stessi e sono capaci di farlo, non perché posseggano un miglior sistema di valori o perché i vecchi standard di giusto e sbagliato siano fermamente radicati nella loro mente e nella loro coscienza, ma perché essi pensano e si domandano fino a che punto sarebbero capaci di vivere in pace con loro stessi dopo aver commesso certe azioni e decidono che è meglio non fare il male e, questa facoltà di pensare, porta a questo giudizio. Questa presupposizione non necessita di una elevata intelligenza ma semplicemente l'abitudine, in particolare, di vivere abbastanza serenamente con se stessi e con gli altri, che significa, essere occupati in un dialogo silenzioso tra io e sé e tra io e l' altro, che da Socrate è stato chiamato "pensare".
L'incapacità di pensare non è stupidità: può essere presente nella gente più intelligente e la malvagità non è la sua causa, ma è necessaria per causare grande male; dunque il male può provenire da chiunque non pensi e l'uso del pensiero previene il male.
 Una delle questioni principali di Arendt è il fatto che un' intera società può sottostare ad un totale cambiamento degli standard morali senza che i suoi cittadini emettano alcun giudizio circa ciò che sta accadendo. Questa riflessione apre alla responsabilità della politica che omologa i cittadini, li anestetizza e non permette loro gli spazi contemplati dalla democrazia che dovrebbe essere partecipata, ma questo è un altro discorso. Come si può rimediare al male derivato dalla banalizzazione? Arendt sceglie Socrate come suo modello: un pensatore che, ponendosi la domanda: come devo comportarmi verso l' altro?, avvia la riflessione filosofico-morale introducendo un modo di pensiero, per prevenire il male, rintracciandolo nel processo del pensare. Questo pensare per Socrate provoca essenzialmente la perplessità che ha il potere di dislocare gli individui dalle loro regole di comportamento ponendosi degli interrogativi e dei dubbi. Socrate è stato messo a morte perchè, pensare in proprio, è la peggior cosa che si possa fare, in una società patriarcale basata sul dominio: nel corso della Storia tutti i poteri hanno ritenuto pericoloso l' uomo ma soprattutto la donna che pensa e chi non accetta l' omologazione reagendo con i rinchiudimenti o dando la morte legittimamente.
 La capacità di pensare ha dunque la potenzialità di mettere l'uomo di fronte ad un quadro bianco senza bene o male, senza giusto o sbagliato, ma semplicemente attivando in lui la condizione per stabilire un dialogo con se stesso e permettendogli dunque di deliberare un giudizio circa tali eventi. Arendt mette in guardia l' uomo ed lo invita ad andare contro l'adesione acritica a ogni tipo di standard morale, sociale o legale senza esercitare la capacità di riflettere, basata sul dialogo con se stesso, circa il significato degli avvenimenti; in altre parole la manifestazione del pensiero è capace di provocare perplessità e obbliga l'uomo a riflettere e a pronunziare un giudizio. La banalità del male che appare attraverso Eichmann rende evidente come il fenomeno del male può mostrare la sua faccia attraverso una normalità definita, imposta, omologante e pericolosa. In un trattato scritto per un dibattito su "Eichmann a Gerusalemme" nel Collegio Hofstra nel 1964 si può trovare la sintesi del pensiero di Arendt sul male:
il male non è mai radicale per cui banalità del male significa male senza radici cioè un male che non è radicato nei motivi cattivi, come può essere la tradizione del male di Caino, pulsionali o nella forza di tentazione; il male è soltanto estremo, e non possedendo né radici profonde né una dimensione demoniaca, proprio per questo, esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo e sfida, il pensiero, unico nemico vero del male, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, ma il male non si fa trovare poiché nelle società contemporanee, definite liquide, il pensiero viene ucciso e il male permea tutte le superfici: tutto questa è la sua banalità. 
 Queste le riflessioni di Arendt, che ha problematizzato il totalitarismo seguito alla crisi del liberalismo e il tipo di male particolare e originale prodotto da questi fatti storici e nelle società contemporanee, le più pertinenti per spiegare il male che esiste intorno a noi e che, attualmente, si è esteso in modo esponenziale, complice la distruzione di complessità, la devitalizzazione della democrazia e il trionfo di pensieri omologanti e normalizzanti.
 Sulla riflessione di Arendt si può applicare la valutazione di genere, aspetto della conoscenza mai presente direttamente nella sua speculazione ma indispensabile nella proposta culturale degli studi di genere.  Si può iniziare con il dire che il male è nel DNA della cultura occidentale e deriva dal “peccato originale” del percorso duale di superiorità maschile e inferiorità femminile che ha portato civiltà ma anche violenze e ingiustizie. Gli stereotipi di genere che inchiodano l' uomo alla virilizzazione dimostrativa continua e contemporaneamente, la femminilizzazione forzata, sono l' aspetto fondamentale della banalità del male, che agisce come un anestetico affettivo e sociale, origine di azioni violente e pericolose perchè fortemente incorporate in una umanità sottoposta continuamente a coercizioni omologanti le cui radici, ancora oggi, non si vogliono analizzare in profondità, giustificate da una naturalizzazione che non ha niente di naturale ma è stata storicamente imposta dalla cultura patriarcale. Poi si può affermare che la banalità del male è maschile perchè maschile è ed è stata, storicamente, la gestione del potere, e l' “offerta” organizzativa sociale e politica di tipo patriarcale che orienta e agisce il dominio e la violenza sui più deboli della società ed è sempre utile ricordare che il dominio e la violenza maschili sulle donne è la più antica e persistente forma di oppressione esistente, ritenuta “giusta” perchè naturalizzata. Se non ci si decide a mettere radicalmente in discussione il patriarcato, produttore e generatore di male fin dalle origini, già finito a causa della debolezza dell' uomo, ma mai problematizzato a fondo, per cui generatore di male arendtiano, ci sarà sempre un “zio Michele” o un Giovanni Vantaggiato che “inadeguati a pensare” e per motivi banali uccidono e non sapendo perchè e chi uccidere o sapendolo scelgono vittime innocenti, di solito donne o donne-bambine, le esistenze più deboli di una società incapace a ricrearsi responsabilmente.


Lorenza Cervellin, esperto di pari opportunità, cittadinanza di genere, integrazione sociale. www.opportunitapari.blogspot.com

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