martedì 5 giugno 2012

INSINNA E IL POTERE MAGICO



Vorrei rendervi partecipi di una discussione presente in vari blog che si inserisce a pieno titolo nel dibattito di genere all' interno della rinnovata e urgente questione femminile.


Si tratta di Flavio Insinna
IL libro è “Neanche con un morso all’orecchio”, edito da Mondatori- febbraio 2012
articolo e PDF reperito su www.quotidiananosanità.it del 31 maggio 2012
31 MAG -2012 Gentile direttore, vi scrivo per un fatto avvenuto nel nostro ospedale, riportato in un libro.
Il libro è ormai molto noto, perché molto noto ne è l’autore. Si tratta di Flavio Insinna e il titolo del libro è “Neanche con un morso all’orecchio”, edito da Mondadori.
Andy Warhol 1967
fE’ il racconto autobiografico di una sua dolorosa esperienza, quella della morte del padre, ricoverato per diversi giorni in un reparto di terapia intensiva del San Camillo-Forlanini.
Una storia che intercetta emotivamente esperienze umane e universali come quelle della sofferenza e del lutto.
Una storia che avrebbe certamente potuto rappresentare e sollecitare riflessioni serie, sulla complessità dei percorsi assistenziali, delle regole e delle procedure dei reparti di terapia intensiva, sulle criticità che vive oggi il nostro sistema sanitario impoverito di risorse e di cultura, sulle disparità di potere tra chi è titolare della cura e di chi è titolare della malattia, sul rapporto tra tecnologia e umanizzazione, su quello che bisogna difendere e su quello che non si deve accettare.
O di tanto altro ancora.
Purtroppo la lettura inciampa in un capitolo dal titolo “L’infermiera stronza”…e di questo ritengo doveroso parlare.
 Non per una difesa d’ufficio di una operatrice (considerata da tutti i colleghi una brava operatrice e che sta vivendo silenziosamente e dolorosamente queste accuse), ma  per le frasi, le parole che accompagnano il racconto.
Vi chiedo di leggerle, con attenzione. L’impressione è di vero spaesamento!
Sono un medico, ho lavorato per tanti anni anch’io in ospedale e conosco bene le situazioni che vengono descritte.
Sono stata e continuo ad essere convinta che “stare dalla parte del malato”, dei suoi diritti e della sua dignità, sia testimonianza non solo di impegno civile ma di responsabilità e qualità professionale. Ma sono stata e continuo ad essere altrettanto convinta che la misoginia e il sessismo siano inaccettabili e pericolosi in ogni luogo, sempre. In questo articolo il cliché “antropologico” della donna bassa, brutta, scorbutica e scostante è accompagnato da una ricetta “rieducativa” condita con robuste dosi  di violenza, verbale ma anche fisica.  Ritengo che il fenomeno della violenza contro le donne sia una realtà troppo seria per minimizzare messaggi, tanto più quando sono stati a lungo pensati, poi scritti e infine pubblicati. Gli stereotipi sessisti non sono mai innocui, ma agiscono nella percezione soggettiva di ognuno costruendo un terreno di “neutralità”, disponibile all’ambivalenza dei pensieri e dei comportamenti, di tolleranza e persino di giustificazione.
La mia sensazione di spaesamento nasce proprio da qui.
Di questo libro si sta discutendo su vari blog.
Accanto a commenti per fortuna di protesta e indignazione, leggo commenti di totale condivisione e approvazione nei confronti delle parole di Insinna; altri di vicinanza bonaria a quello che viene descritto come espressione di un “semplice sfogo” emotivo; altri persino di palese derisione per chi non sa essere di fronte a queste parole “almeno un po’ ironico”…
Le parole pesano e fanno opinione!  Vi scrivo quindi per chiedervi di usare e di far pesare altre parole, le nostre parole, di donne ma soprattutto di uomini (sempre interpellati ma troppo spesso silenziosi). Parlate, scrivete, intervenite!
Maura Cossutta
Dirigente medico
A.O. San Camillo-Forlanini


INSINNA E IL POTERE MAGICO


Il capitolo di cui parla la dott. ssa Cossutta è a pag. 84/85/86, del libro, scritto, per insultare e offendere una infermiera di sala rianimazione che si è presa cura del padre di Insinna, al pari di altre persone gravemente ammalate, poi deceduto. Risparmio i dettagli materiali del lavoro del personale di sala rianimazione perchè poco importa se questa signora, definita “infermiera stronza”, ha avuto a che fare con sangue, feci, urine, vomito, secrezioni, pus, sondini, apparecchiature sofisticatissime e quant’altro: è il suo lavoro, viene da dire e lo diciamo. E' utile soffermarsi su un altro aspetto: il più importante per chi si occupa di persone con momentanei problemi di salute, un atteggiamento che diventa obbligatorio, indispensabile e auspicabile quando il problema di salute è particolarmente grave: la capacità di mantenere la distanza critica, mettendo da parte la possibilità di coinvolgersi emotivamente, per mantenere l' attenzione sulla cura, la somministrazione di prestazioni altamente tecniche e la prevenzione del rischio.
La sala rianimazione è un ambiente altamente tecnologico ed è il luogo, paradossalmente, della filosofia della vita, paradosso che si sublima nella costruzione sapiente di una normalità necessaria e consolatoria. Il personale di sala rianimazione poco può fare contro la paura della morte, tipica della cultura occidentale: il personale deve cercare di lavorare onestamente e al meglio.Quando mettiamo piede in ogni luogo di cura e soprattutto in una sala rianimazione dovremmo essere grati di trovare personale rigoroso, competente, rispettoso delle regole e non coinvolto emotivamente perchè questo è una garanzia di professionalità e di speranza per tutti. Ma Insinna, titolare del “potere magico televisivo” da una donna, “una infermiera stronza”, pretendeva altro: la possibilità di non rispettare le regole. Questa possibilità gli è stata negata perchè l' infermiera gli ha ha ribadito le regole, “cosa che non si deve mai fare seriamente” ma ricordarle sorridendo e non scontentare mai il cliente-utente. Oggi alle donne è richiesto tutto, anche la competenza, ma marginalmente. Le dipendenti donne, nel corso degli anni hanno subito un processo di isterizzazione per cui, sono chiamate alla retorica permanente, del sorriso o viceversa sono “nervose” o poco gentili; ancora oggi gli infermieri maschi sono sempre dottori e devono avere un comportamento serio e rigoroso, le donne basta che sorridano al cliente-utente, maschere sacrificate al fallimento di una utopia maschilista che, ancora chiede, al personale femminile di proporsi enfatizzando quella funzione decorativa e consolatoria che la tradizione le impone. Sorrisi, disponibilità, comportamenti servizievoli, obbedienza acritica e capacità di omologazione sono le caratteristiche richieste alle donne mentre il rigore, l' autorevolezza, la serietà sono caratteristiche maschili legate all' idea del comando e questo stereotipo di genere continua a rinnovarsi, soprattutto negli ambienti femminilizzati.
IL CORPO SOCIALE ALL' INTERNO DELLE ASSL
Il modo di produzione post- fordista o del capitalismo cognitivo, senza cultura si è incentrato nell' incremento della produzione di beni immateriali legati ai settori dei servizi, della pubblicità e dei mass-media. Le ASSL sono delle grandi industrie, ufficialmente deputate alla produzione della salute, in realtà luoghi controllati direttamente dalla politica in funzione di controllo e di potere sulla persona, il luogo dove gli stereotipi di genere, si autoreplicano poiché nessuno interviene a interrompere i processi negativi di femminilizzazione anzi, certi processi omologanti vengono incoraggiati perchè l' omologazione rende apparentemente efficiente il controllo sul personale e sulla popolazione. Per questa produzione di servizi è sempre stata necessaria la forza psicologica e la capacità cognitiva, ma ora si chiede anche di “mettere al servizio” la propria soggettività, di negare la propria personalità e di mettere in campo la maschera sorridente e ammiccante e la disponibilità corporea nella necessità di portare a sè il cliente/utente. Ora tutte le distanze fisiche e simboliche costruite in anni di differenziazioni sessuali, che erano il perno della cultura occidentale, devono lasciare spazio alle esigenze del nuovo capitalismo che ha trasformato tutti in clienti-fruitori e prestatori sorridenti di servizi. La caduta della distanza simbolica fra uomo e donna porta a mettere in campo anche la seduzione come plus-valore da usare nell' ambito lavorativo che viene richiesta e quotidianamente applicata nel mondo del lavoro. Per questo il corpo sociale va curato e mantenuto nella migliore delle forme possibili: le donne devono rendersi desiderabili e rispondere al modello televisivo che propone un corpo antifemminile, sessualizzato, erotizzato e costruito perchè nella realtà non esisterebbe. Il corpo femminile deve rispondere a un gioco di seduzione in cui le donne devono imparare a cambiare grado di femminilità a seconda delle circostanze, dei colleghi che stanno loro attorno e dei rapporti con il capo-maschio e il cliente-utente. L' ammiccamento e le maschere sorridenti sono il plus-valore richiesto oggi sia a donne che a uomini. Questa messa in campo lavorativo di aspetti che appartengono al dominio della soggettività, è anche ciò che si può definire, ma non solo, un aspetto della femminilizzazione. Oggi sono le qualità relazionali che vengono chieste ai lavoratori ma non sono le qualità relazionali e culturali espresse da una libera personalità ma sono quelle qualità individuate dal mercato e poi attribuite e imposte alle donne, per omologazione, sia dalla società che da loro stesse perchè quasi sempre le donne si auto-convincono di ciò che viene loro imposto. Se fosse vero che le qualità relazionali, individuate dall' uomo come specificità femminile, sono un plus-valore, allora le donne dovrebbero avere dei vantaggi in campo lavorativo ma così non è perchè la donna non è mai stata svantaggiata come adesso. Questo aspetto della femminilizzazione del lavoro non ha significato un miglioramento della posizione lavorativa della donna poichè continuano ad esserci discriminazioni forti tra uomini e donne, in più le donne con la loro entrata in gran numero nel mondo del lavoro non hanno apportato un cambiamento qualitativo, anzi, la proposta di un modello relazionale omologante, incentrato su presunte specificità femminili, ha danneggiato gli ambienti lavorativi e, alle donne, non è stato permesso di cambiare il modello lavorativo che resta sempre di dominio maschile. La scuola del femminismo italiano degli anni '70 del '900, confidava molto sulla capacità delle donne di partire da sè in famiglia, nella società e anche nel lavoro, eliminando l' aspetto dell' alienazione per apportare miglioramenti qualitativi nell' ambito lavorativo, ma questa forma di liberazione non si è mai attuata. Le politiche neo-liberiste e la globalizzazione imposta ideologicamente hanno messo in scena un individuo lavorante, povero, solo, disponibile totalmente alle esigenze del datore di lavoro e oggi, nell’era della flessibilità, il corpo con la sua materialità è ingombrante e pesante quindi bisogna modificarlo, plasmarlo, renderlo desiderabile, farsi immateriale, incorporeo, fluido, impercettibile, deve adeguarsi a ritmi ed orari impensabili, deve abituarsi alla mancanza di qualsiasi routine e diventare un mezzo di produzione come richiesto dal mercato. Il corpo non costruito, con la sua materialità, non viene accettato, diventa colpa che sovrasta ogni altra caratteristica.

L' infermiera che si è messa sulla strada di Insinna, che ha osato far rispettare le regole, obbligatorie nelle sale rianimazione, ha avuto una colpa originaria che ha dato seguito a una serie di colpe: il suo corpo non rispondeva al modello corporeo televisivo: è nana, brutta, fa passi corti, vorrebbe essere più alta, più bella.....
Poi era troppo professionale e ha osato chiedere alla famiglia Insinna di non entrare in troppi nella stanza di degenza e fatto ancora più grave non è ricca e si è pagata la macchinina nuova con dieci comode rate"; soprattutto ...non ha rispetto per una persona della rai e va in giro" con i regolamenti nel culo"...


Tutte le pagine del capitolo intitolato “L' infermiera stronza” sono permeate da una violenza giustificabile solo con l' aggressività scatenata dalla misoginia, il maschilismo, l' odio di genere e una debolezza virile che non sa trovare soluzione perchè prigioniera del modello virile patriarcale che considera la donna un essere moralmente inferiore.
Il corpo dell' “infermiera” non si è trasformato per mascherare lo stress e per rispondere ai processi di sessualizzazione ed erotizzazione forzata che il modello le impone ma ha osato ribadire una regola che, se non rispettata, si traduce in stress per gli operatori in quanto, le persone fisiche, aumentano il rischio igienico e relazionale di ambienti, le sale rianimazione, che devono essere come una campana di vetro. Il corpo non è diventato rappresentazione, non si è spettacolarizzato per rendere più produttiva la relazione e la comunicazione, non ha negato la propria soggettività per rendersi disponibile per il cliente ma soprattutto non era un corpo bello e stereotipato secondo il modello televisivo. Spesso le donne che lavorano nella sanità devono compensare, con la loro disponibilità corporea, il taglio di servizi, per cui, il cosiddetto plus-valore da mettere in campo, è finalizzato a compensare la carenza di servizi veri. Alle donne, al lavoro, oltre che a essere sensuali ed ammiccanti, si chiede anche di portare pazienza e di prendersi cura dei colleghi maschi, di ascoltarli, di sostenerli, di svolgere ancora una volta lavoro di cura, quel compito che da sempre viene loro richiesto nel privato e in alcuni settori di lavoro.
Insinna è un prodotto della televisione per cui si sente titolare del "potere magico" dato dalla televisione un potere che si basa sulla credenza che apparire significa essere, esserci e avere valore. Per questo è l' espressione più evidente di un rinnovato maschilismo, misoginia e ignoranza di genere a cui si può solo rispondere con la cultura.


 Lorenza Cervellin Esperto di politiche di Pari opportunità, cittadinanza di genere e integrazione sociale


Gentile Direttore
intervengo ancora dopo aver letto le opinioni del dott. Pierpaolo Morosini.
Il termine “infermiera stronza” usato da Insinna non è uno stereotipo ma una offesa
personale.
Lo stereotipo, chiaramente di genere, di cui parla la dott.ssa Cossutta, basato sulla
credenza e il pregiudizio, e sul quale ha avviato la problematizzazione, in questo caso è il
seguente:
la credenza che a determinate caratteristiche fisiche: “bassetta, bruttina con gli occhiali”,
oppure, “piccola, curta e male cavata”, corrispondano elementi ontologico-morali negativi
come specifica bene Insinna: “guarda e parla con l' inevitabile rabbia che hanno in corpo
le donne basse, bruttine e con gli occhiali”.
Questo il meccanismo dello stereotipo: la soggettività femminile viene negata e sostituita
dallo stereotipo basato sul pregiudizio.
Per quanto riguarda il comportamento dell' infermiera, che doveva essere approfondito in
senso costruttivo, Insinna aveva a disposizione, come tutti gli utenti, la possibilità di
segnalare in forma scritta l' accaduto attraverso gli uffici URP, in tal modo avrebbe avviato
una riflessione seria sull' accaduto.
Ricordo inoltre che su tutte le nostre azioni, incombe un sistema onniregolativo elaborato
dalla cultura patriarcale e su questo si regge il sistema democratico. Le donne,
storicamente, hanno dovuto subire il sistema di regole patriarcali che le ha considerate per
2500 anni moralmente inferiori all' uomo per cui, se gestissero il potere, saprebbero
trovare regole condivise e ricordo che è stata proprio una donna, Hannah Arendt, a
problematizzare il male derivato dall' obbedienza cieca alle regole ma questo è un altro
discorso.
Lorenza Cervellin, Esperto di Pari Opportunità, cittadinanza di genere e integrazione
sociale
Blog: wwwopportunitàpari.blogspot.it


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