Vorrei
rendervi partecipi di una discussione presente in vari blog che si
inserisce a pieno titolo nel dibattito di genere all' interno della
rinnovata e urgente questione femminile.
“Si
tratta di Flavio
Insinna
IL
libro è “Neanche con un morso all’orecchio”, edito da
Mondatori- febbraio 2012
articolo
e PDF reperito su www.quotidiananosanità.it del
31 maggio 2012
31
MAG -2012 Gentile
direttore, vi scrivo per un fatto avvenuto nel nostro
ospedale, riportato in un libro.
Il
libro è ormai molto noto, perché molto noto ne è l’autore. Si
tratta di Flavio Insinna e il titolo del libro è “Neanche con un
morso all’orecchio”, edito da Mondadori.
Andy Warhol 1967 |
Una
storia che intercetta emotivamente esperienze umane e universali come
quelle della sofferenza e del lutto.
Una
storia che avrebbe certamente potuto rappresentare e sollecitare
riflessioni serie, sulla complessità dei percorsi assistenziali,
delle regole e delle procedure dei reparti di terapia intensiva,
sulle criticità che vive oggi il nostro sistema sanitario impoverito
di risorse e di cultura, sulle disparità di potere tra chi è titolare della cura e di chi è titolare della malattia, sul rapporto
tra tecnologia e umanizzazione, su quello che bisogna difendere e su
quello che non si deve accettare.
Purtroppo
la lettura inciampa in
un capitolo dal
titolo “L’infermiera stronza”…e di questo ritengo doveroso
parlare.
Non
per una difesa d’ufficio di una operatrice (considerata da tutti i
colleghi una brava operatrice e che sta vivendo silenziosamente e
dolorosamente queste accuse), ma per le frasi, le parole che
accompagnano il racconto.
Vi
chiedo di leggerle, con attenzione. L’impressione è di vero
spaesamento!
Sono
un medico, ho lavorato per tanti anni anch’io in ospedale e conosco
bene le situazioni che vengono descritte.
Sono
stata e continuo ad essere convinta che “stare dalla parte del
malato”, dei suoi diritti e della sua dignità, sia testimonianza
non solo di impegno civile ma di responsabilità e qualità
professionale. Ma sono stata e continuo ad essere altrettanto
convinta che la misoginia e il sessismo siano inaccettabili e
pericolosi in ogni luogo, sempre. In questo articolo il cliché
“antropologico” della donna bassa, brutta, scorbutica e scostante
è accompagnato da una ricetta “rieducativa” condita con robuste
dosi di violenza, verbale ma anche fisica. Ritengo che il
fenomeno della violenza contro le donne sia una realtà troppo seria
per minimizzare messaggi, tanto più quando sono stati a lungo
pensati, poi scritti e infine pubblicati. Gli stereotipi sessisti non
sono mai innocui, ma agiscono nella percezione soggettiva di ognuno
costruendo un terreno di “neutralità”, disponibile
all’ambivalenza dei pensieri e dei comportamenti, di tolleranza e
persino di giustificazione.
La
mia sensazione di spaesamento nasce proprio da qui.
Di
questo libro si sta discutendo su vari blog.
Accanto
a commenti per fortuna di protesta e indignazione, leggo commenti di
totale condivisione e approvazione nei confronti delle parole di
Insinna; altri di vicinanza bonaria a quello che viene descritto come
espressione di un “semplice sfogo” emotivo; altri persino di
palese derisione per chi non sa essere di fronte a queste parole
“almeno un po’ ironico”…
Le
parole pesano e fanno opinione! Vi scrivo quindi per chiedervi
di usare e di far pesare altre parole, le nostre parole, di donne ma
soprattutto di uomini (sempre interpellati ma troppo spesso
silenziosi). Parlate, scrivete, intervenite!
Maura
Cossutta
Dirigente
medico
A.O.
San Camillo-Forlanini
INSINNA
E IL POTERE MAGICO
Il capitolo di cui parla la dott. ssa Cossutta è a pag. 84/85/86, del libro, scritto, per insultare e offendere una infermiera di sala rianimazione che si è presa cura del padre di Insinna, al pari di altre persone gravemente ammalate, poi deceduto. Risparmio i dettagli materiali del lavoro del personale di sala rianimazione perchè poco importa se questa signora, definita “infermiera stronza”, ha avuto a che fare con sangue, feci, urine, vomito, secrezioni, pus, sondini, apparecchiature sofisticatissime e quant’altro: è il suo lavoro, viene da dire e lo diciamo. E' utile soffermarsi su un altro aspetto: il più importante per chi si occupa di persone con momentanei problemi di salute, un atteggiamento che diventa obbligatorio, indispensabile e auspicabile quando il problema di salute è particolarmente grave: la capacità di mantenere la distanza critica, mettendo da parte la possibilità di coinvolgersi emotivamente, per mantenere l' attenzione sulla cura, la somministrazione di prestazioni altamente tecniche e la prevenzione del rischio.
La
sala rianimazione è un ambiente altamente tecnologico ed è il
luogo, paradossalmente, della filosofia della vita, paradosso che si
sublima nella costruzione sapiente di una normalità necessaria e
consolatoria. Il personale di sala rianimazione poco può fare contro
la paura della morte, tipica della cultura occidentale: il personale
deve cercare di lavorare onestamente e al meglio.Quando mettiamo
piede in ogni luogo di cura e soprattutto in una sala rianimazione
dovremmo essere grati di trovare personale rigoroso, competente,
rispettoso delle regole e non coinvolto emotivamente perchè questo è
una garanzia di professionalità e di speranza per tutti. Ma Insinna,
titolare del “potere magico televisivo” da una donna, “una
infermiera stronza”, pretendeva altro: la possibilità di non
rispettare le regole. Questa possibilità gli è stata negata perchè
l' infermiera gli ha ha ribadito le regole, “cosa che non si deve
mai fare seriamente” ma ricordarle sorridendo e non scontentare mai
il cliente-utente. Oggi alle donne è richiesto tutto, anche la
competenza, ma marginalmente. Le dipendenti donne, nel corso
degli anni hanno subito un processo di isterizzazione per
cui, sono chiamate alla retorica permanente, del sorriso o viceversa
sono “nervose” o poco gentili; ancora oggi gli infermieri maschi
sono sempre dottori e devono avere un comportamento serio e rigoroso,
le donne basta che sorridano al cliente-utente, maschere sacrificate
al fallimento di una utopia maschilista che, ancora chiede, al
personale femminile di proporsi enfatizzando quella funzione
decorativa e consolatoria che la tradizione le impone. Sorrisi,
disponibilità, comportamenti servizievoli, obbedienza acritica e
capacità di omologazione sono le caratteristiche richieste alle
donne mentre il rigore, l' autorevolezza, la serietà sono
caratteristiche maschili legate all' idea del comando e questo
stereotipo di genere continua a rinnovarsi, soprattutto negli
ambienti femminilizzati.
IL
CORPO SOCIALE ALL' INTERNO DELLE ASSL
Il
modo di produzione post- fordista o del capitalismo
cognitivo,
senza cultura si è incentrato nell' incremento della produzione di
beni immateriali legati ai settori dei servizi, della pubblicità e
dei mass-media. Le ASSL sono delle grandi industrie, ufficialmente
deputate alla produzione della salute, in realtà luoghi controllati
direttamente dalla politica in funzione di controllo e di potere
sulla persona, il luogo dove gli stereotipi di genere, si
autoreplicano poiché nessuno interviene a interrompere i processi
negativi di femminilizzazione anzi, certi processi omologanti vengono
incoraggiati perchè l' omologazione rende apparentemente efficiente
il controllo sul personale e sulla popolazione. Per questa produzione
di servizi è sempre stata necessaria la forza psicologica e la
capacità cognitiva, ma ora si chiede anche di “mettere al
servizio” la propria soggettività, di negare la propria
personalità e di mettere in campo la maschera sorridente e
ammiccante e la disponibilità corporea nella necessità di portare a
sè il cliente/utente. Ora tutte le distanze fisiche e simboliche
costruite in anni di differenziazioni sessuali, che erano il perno
della cultura occidentale, devono lasciare spazio alle esigenze del
nuovo capitalismo che ha trasformato tutti in clienti-fruitori e
prestatori sorridenti di servizi. La caduta della distanza simbolica
fra uomo e donna porta a mettere in campo anche la seduzione come
plus-valore da usare nell' ambito lavorativo che viene richiesta e
quotidianamente applicata nel mondo del lavoro. Per
questo il corpo sociale va curato e mantenuto nella migliore delle
forme possibili: le donne devono rendersi desiderabili e rispondere
al modello televisivo che propone un corpo antifemminile,
sessualizzato, erotizzato e costruito perchè nella realtà non
esisterebbe. Il corpo femminile deve rispondere a un gioco di
seduzione in cui le donne devono imparare a cambiare grado di
femminilità a seconda delle circostanze, dei colleghi che stanno
loro attorno e dei rapporti con il capo-maschio e il
cliente-utente. L'
ammiccamento e le maschere sorridenti sono il plus-valore richiesto
oggi sia a donne che a uomini. Questa messa in campo lavorativo di
aspetti che appartengono al dominio della soggettività, è anche ciò
che si può definire, ma non solo, un aspetto della
femminilizzazione. Oggi sono le qualità relazionali che vengono
chieste ai lavoratori ma non sono le qualità relazionali e culturali
espresse da una libera personalità ma sono quelle qualità
individuate dal mercato e poi attribuite e imposte alle donne, per
omologazione, sia dalla società che da loro stesse perchè quasi
sempre le donne si auto-convincono di ciò che viene loro imposto. Se
fosse vero che le qualità relazionali, individuate dall' uomo come
specificità femminile, sono un plus-valore, allora le donne
dovrebbero avere dei vantaggi in campo lavorativo ma così non è
perchè la donna non è mai stata svantaggiata come adesso. Questo
aspetto della femminilizzazione del lavoro non ha significato
un miglioramento della posizione lavorativa della donna poichè
continuano ad esserci discriminazioni
forti tra uomini e donne, in più le donne con la loro entrata in
gran numero nel mondo del lavoro non hanno apportato un cambiamento
qualitativo, anzi, la proposta di un modello relazionale omologante,
incentrato su presunte specificità femminili, ha danneggiato gli
ambienti lavorativi e, alle donne, non è stato permesso di cambiare
il modello lavorativo che resta sempre di dominio maschile. La scuola
del femminismo italiano degli anni '70 del '900, confidava molto
sulla capacità delle donne di partire da sè in famiglia, nella
società e anche nel lavoro, eliminando l' aspetto dell' alienazione
per apportare miglioramenti qualitativi nell' ambito lavorativo, ma
questa forma di liberazione non si è mai attuata. Le politiche
neo-liberiste e la globalizzazione imposta ideologicamente hanno
messo in scena un individuo lavorante, povero, solo, disponibile
totalmente alle esigenze del datore di lavoro e oggi, nell’era
della flessibilità, il corpo con la sua materialità è ingombrante
e pesante quindi bisogna modificarlo, plasmarlo, renderlo
desiderabile, farsi immateriale, incorporeo, fluido, impercettibile,
deve adeguarsi a ritmi ed orari impensabili, deve abituarsi alla
mancanza di qualsiasi routine e diventare un mezzo di produzione come
richiesto dal mercato. Il corpo non costruito, con la sua
materialità, non viene accettato, diventa colpa che sovrasta ogni
altra caratteristica.
L'
infermiera che si è messa sulla strada di Insinna, che ha osato far
rispettare le regole, obbligatorie nelle sale rianimazione, ha avuto
una colpa originaria che ha dato seguito a una serie di colpe: il suo
corpo non rispondeva al modello corporeo televisivo: è nana, brutta,
fa passi corti, vorrebbe essere più alta, più bella.....
Poi
era troppo professionale e ha osato chiedere alla famiglia Insinna di
non entrare in troppi nella stanza di degenza e fatto ancora più
grave non è ricca e si è pagata la macchinina nuova con dieci
comode rate"; soprattutto ...non ha rispetto per una persona
della rai e va in giro" con i regolamenti nel culo"...
Tutte
le pagine del capitolo intitolato “L' infermiera stronza” sono
permeate da una violenza giustificabile solo con l' aggressività
scatenata dalla misoginia, il maschilismo, l' odio di genere e una
debolezza virile che non sa trovare soluzione perchè prigioniera del
modello virile patriarcale che considera la donna un essere
moralmente inferiore.
Il
corpo dell' “infermiera” non si è trasformato per mascherare lo
stress e per rispondere ai processi di sessualizzazione ed
erotizzazione forzata che il modello le impone ma ha osato ribadire
una regola che, se non rispettata, si traduce in stress per gli
operatori in quanto, le persone fisiche, aumentano il rischio
igienico e relazionale di ambienti, le sale rianimazione, che devono
essere come una campana di vetro. Il corpo non è diventato
rappresentazione, non si è spettacolarizzato per rendere più
produttiva la relazione e la comunicazione, non ha negato la propria
soggettività per rendersi disponibile per il cliente ma soprattutto
non era un corpo bello e stereotipato secondo il modello televisivo.
Spesso le donne che lavorano nella sanità devono compensare, con la
loro disponibilità corporea, il taglio di servizi, per cui, il
cosiddetto plus-valore da mettere in campo, è finalizzato a
compensare la carenza di servizi veri. Alle donne, al lavoro, oltre
che a essere sensuali ed ammiccanti, si chiede anche di portare
pazienza e di prendersi cura dei colleghi maschi, di ascoltarli, di
sostenerli, di svolgere ancora una volta lavoro di cura, quel compito
che da sempre viene loro richiesto nel privato e in alcuni settori di
lavoro.
Insinna
è un prodotto della televisione per cui si sente titolare del
"potere magico" dato dalla televisione un potere che si
basa sulla credenza che apparire significa essere, esserci e avere
valore. Per questo è l' espressione più evidente di un rinnovato
maschilismo, misoginia e ignoranza di genere a cui si può solo
rispondere con la cultura.
Lorenza
Cervellin
Esperto di
politiche di Pari opportunità, cittadinanza di genere e integrazione
sociale
Gentile Direttore
intervengo ancora dopo aver letto le opinioni del dott. Pierpaolo Morosini.
Il termine “infermiera stronza” usato da Insinna non è uno stereotipo ma una offesa
personale.
Lo stereotipo, chiaramente di genere, di cui parla la dott.ssa Cossutta, basato sulla
credenza e il pregiudizio, e sul quale ha avviato la problematizzazione, in questo caso è il
seguente:
la credenza che a determinate caratteristiche fisiche: “bassetta, bruttina con gli occhiali”,
oppure, “piccola, curta e male cavata”, corrispondano elementi ontologico-morali negativi
come specifica bene Insinna: “guarda e parla con l' inevitabile rabbia che hanno in corpo
le donne basse, bruttine e con gli occhiali”.
Questo il meccanismo dello stereotipo: la soggettività femminile viene negata e sostituita
dallo stereotipo basato sul pregiudizio.
Per quanto riguarda il comportamento dell' infermiera, che doveva essere approfondito in
senso costruttivo, Insinna aveva a disposizione, come tutti gli utenti, la possibilità di
segnalare in forma scritta l' accaduto attraverso gli uffici URP, in tal modo avrebbe avviato
una riflessione seria sull' accaduto.
Ricordo inoltre che su tutte le nostre azioni, incombe un sistema onniregolativo elaborato
dalla cultura patriarcale e su questo si regge il sistema democratico. Le donne,
storicamente, hanno dovuto subire il sistema di regole patriarcali che le ha considerate per
2500 anni moralmente inferiori all' uomo per cui, se gestissero il potere, saprebbero
trovare regole condivise e ricordo che è stata proprio una donna, Hannah Arendt, a
problematizzare il male derivato dall' obbedienza cieca alle regole ma questo è un altro
discorso.
Lorenza Cervellin, Esperto di Pari Opportunità, cittadinanza di genere e integrazione
sociale
Blog: wwwopportunitàpari.blogspot.it
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