mercoledì 15 maggio 2013

IL TEMPO DELLA VIOLENZA TOTALE -STORIA DELLO STATO- -CONTINUAZIONE 24-


Premessa

La cultura e la conoscenza intorno al legame vita-morte inizia durante il periodo Musteriano (70.000 circa a.C.) quando l' uomo riconosce la sacralità del corpo e inizia una pratica di sepoltura rituale. Dal Paleolitico superiore registriamo l'usanza di cospargere di ocra rossa le ossa dei morti secondo la simbologia del colore rosso come rappresentanza del sangue, simbolo della vita. L'uomo del Paleolitico superiore veniva sepolto con oggetti funerari, secondo la credenza della vita dopo la morte. Le pitture rupestri del Paleolitico superiore indicano anche che l'uomo di quel periodo aveva delle cognizioni cosmogoniche e conservava delle simobologie delle volte celesti: terra e cielo, vita e morte erano elementi che suggerivano precisi riferimenti di contatto con qualcosa d'altro rispetto alla normale vita quotidiana e quindi con il profano. Almeno da questo periodo si può registrare l'ingresso del "sacro" nella vita dell'umanità e quindi l'inizio dell' homo religiosus inserito in un ambiente culturale. Durante il periodo Mesolitico (9000-4000 a.C.) la pratica dell' inumazione venne realizzata nella posizione fetale, modalità che indica che la tomba è considerata un uovo pronto a generare nuova vita.
Nel Neolitico, presso tutte le culture, la pratica culturale della sepoltura rituale è consolidata attraverso la pratica dell' inumazione o cremazione.
Nel massimo splendore di Atene si costruiva la più esaltante esperienza culturale umana mentre il sangue scorreva a fiumi ma non era la cieca violenza di oggi in cui la società è attraversata dall' istinto di morte ma la rappresentazione di una vita unica, critica, originale e armoniosa che vedeva il legame fra vita, cultura, amore e morte. Il Cristianesimo poi elabora una sepoltura rituale la quale risulta essere la massima espressione dell' importanza e della sacralità da attribuire al corpo morto, tempio dell' anima e massimo omaggio rivolto alla vita attraverso la morte “temporanea”! In conclusione: l' istinto e l' energia di vita si lega al rispetto per la morte.

L' Ellenismo

L' Ellenismo e i grandi spostamenti di massa che produrrà aprono alla società agonistica, portata dalle élites coloniali occidentali una società nella quale è possibile riconoscere l' origine della forza e dei limiti della nostra cultura e della nostra politica attuale:

1) il primo limite consisteva nel fatto che la produzione per il mercato, pur basata sullo sfruttamento del lavoro delle masse, non poteva - per ragioni di scarsa produttività - estendere i propri benefìci anche a queste ultime. Esse dunque, pur sobbarcandosi degli oneri più grandi di un tale tipo di economia, non ne condividevano - se non in parte davvero minima - i vantaggi materiali. Ciò rendeva la situazione degli stati ellenistici sempre estremamente tesa, e non infrequenti erano - sia a est, che a ovest (dove si cercò, sulla scorta dell'esempio orientale, di operare un rafforzamento dei poteri statali) - le rivolte della popolazione minuta nei confronti dello stato e delle élite borghesi dominanti;

2) un altro profondo limite del mondo ellenistico, fu poi il costante stato di guerra tra Regni, dovuto come già detto alla cultura "agonistica" delle élites coloniali occidentali votate al dominio e al profitto. La divisione a livello sociale, e lo stato di guerra ininterrotta (o quasi) tra nazioni, posero i presupposti della conquista dell'Oriente ellenistico da parte della vicina potenza romana.

La società agonistica del combattimento e della lotta fra gruppi di potere e gruppi sociali sarà anche, come dice l' etimologia, l'ultima lotta dell'organismo vivente di un soggetto autonomo perciò responsabile, contro la morte. Prende forma una nuova personalità individualistica, non egoistica, all' interno del perdurare della cultura eroica ed ideale la quale continuerà a motivare i discorsi pubblici fino all' Ottocento, secolo in cui, dal Positivismo, emergerà l' individualismo egoistico ed atomistico che porterà alla desogettivizzazione e all' alienazione dell' uomo.
Ugo Foscolo

Forse l' ultimo baluardo contro l' individualismo eroico ed ideale e l' individualismo attuale attraversato dall' istinto di morte che ne consegue è rappresentato dall' opera poetica capolavoro Dei sepolcri di Ugo Foscolo scritta in pochi mesi tra l'estate e l'autunno del 1806, pubblicata nel 1807. Foscolo ci mette in guardia e ci dice che l' anonimato delle sepolture, in seguito dell' Editto di Saint-Cloud, avrebbe posto fine alla civiltà compromettendo la poesia, il riscatto storico e sociale e il riscatto della stessa identità sociale e poetica del poeta.
La frattura culturale ottocentesca rappresentata dalla violenza legittima della guerra all' interno dello Stato nazionale spezzerà definitivamente il legame fra cultura, vita e morte e la comunità umana sarà attraversata da un colossale istinto di morte mitigato dalla grande ideologia democratica e dai valori che questa ideologia racchiude ma che attualmente sono occultati da una politica rivelatasi incapace nella realizzazione.

Émile Durkheim

Non è un caso che a fine Ottocento, nel pieno dell' "inganno positivistico-evoluzionista", si inizia una nuova riflessione sociologica e antropologca sulla morte a iniziare da Émile Durkheim (1858–1917) il quale iniziò a studiare anche la morte per suicidio. Perchè Durkheim studia la morte per  suicidio? Perchè credeva nella società come capace di sviluppare quella solidarietà necessaria ad arginare l' individualismo distruttivo ed esasperato e credeva che la vita umana fosse preziosa all' interno della società ed era preoccupato della nuova violenza che intaccava la preziosità della vita: violenza pubblica legittimata, violenza privata e violenza autoinflitta. 

  1. La  violenza dello Stato era considerata necessaria in nome della libertà del singolo e del benessere generale
  2. La violenza privata era considerata un fatto da reprimere con la legge e con un sistema morale e punitivo che ne avrebbe limitato la portata.

Il suicidio veniva spiegato in due modi:

  1. suicidio per onore e per vergogna (compreso)
  2. suicidio per malattia psichiatrica

Queste due spiegazioni non erano sufficienti a spiegare la complessità delle motivazioni suicidiarie il cui campo di studi era molto limitato e occultato. Nella sua pionieristica indagine sociologica, Il suicidio (1897), Durkheim portò nuove spiegazioni al suicidio nella nascente e alienante "società di massa" individuando 4 tipi di suicidio:

  1. il suicidio altruistico era tipico delle società primitive o di quelle comunità in cui il rapporto sociale era chiuso, nel senso che l'individuo dipendeva totalmente dal gruppo collettivo, come per esempio il capitano di una nave in procinto d'affondare o un militare in guerra i quali non vedevano altra soluzione al loro "fallimento" per cui rimaneva solo il gesto eroico di compensare con la propria vita. L'autoimmolazione diventava così un gesto "obbligatorio", che poteva anche essere caricato di ulteriori motivazioni di tipo mistico-religioso sempre legate all' onore. Il suicidi altruistico era frequente nelle società di ancien regime quando la violenza non era di massa e globalizzata  ma era circoscritta. 
  2. il suicidio egoistico era  ed è determinato da una incapacità spirituale e psicologica efficace a colmare un divario, percepito come insormontabile, tra i propri desideri spesso ideali e la loro possibilità di realizzazione. In questo caso gli "altri" non vengono visti come fonte d' aiuto, ma come irriducibili concorrenti e allora si rinuncia alla vita per frustrazione dovuta all' incapacità di raggiungere gli obiettivi sperati attraverso la "lotta": il suicidio egoistico è riconoscibile nella società oggettivizzata, cinica ed individualista. Il suicidio egoistico compare nella società capitalistica, consumistica  e di massa;
  3. il suicidio anomico è forse quello più "interessante" dal punto di vista della conoscenza sociologica proprio perché il più attuale e il più "occidentale" il cui sostrato è il nichilismo, la banalità e l' incapacità di trovare valori a sostegno della vita per contrastare l' istinto di morte; anomia infatti significa "mancanza di valori e di punti di riferimento ideali" realtà che porta la persona a darsi la morte perchè non riesce a sopportare gli stress che incontra: improvvise perturbazioni economiche che abbassano il livello del proprio stile di vita o anche la morte di familiari: all' interno delle difficoltà l' uomo non riesce più a ritrovare se stesso all'interno di una società che, promette benessere ma evolve troppo in fretta e costringe a una continua corsa al successo o al desiderio del successo spezzando il legame con il futuro. Nel suicidio anomico la società e la politica hanno una importanza enorme nell' incoraggiarne o reprimerne il numero attraverso la cultura.
  4. Durkheim isola insieme insieme al suicidio anomico, il suicidio fatalistico, senza convincere i critici sucessivi alla sua riflessione ma oggi, alla luce dei suicidi attuali, il suicidio fatalistico rivela la sua potenza profetica. Il suicidio fatalistico si ha quando esiste una sorta di disciplina caratterizzata da prescrizioni assolutamente esagerate e antiumane, che impediscono all'individuo di emergere, di farsi valere come tale. La riflessione critica a questa fattispecie di suicidio era incentrata sul discorso che questo suicidio era possibile solo quando l' uomo era in uno stato di schiavitù e la cultura del tempo pensava a un futuro dove la schiavitù non sarebbe più esistita non pensando che si profilava invece una schiavitù ancora più pericolosa e capillare quale è quella attuale. Ecco che allora il suicidio fatalistico e l' istinto di morte spiegano l' attualità caraterizzata da una violenza e una povertà quale non si era mai vista nella storia dell' uomo le quali spingono fatalmente l' uomo verso la rinuncia della vita.
Durkheim ci dice, avvalendosi di rilevazioni statistiche, che nelle società protestantiche, così fortemente basate sull'individualismo, i tassi dei suicidi erano nettamente superiori a quelli riscontrati nelle società di religione cattolica e i meno tentati da questo atto estremo erano gli ebrei, a motivo del fatto che avevano saputo maturare un forte spirito di gruppo, come forma di reazione alle tante persecuzioni subite. In generale la conclusione della sua indagine era che un argine al suicidio era la costruzione della società capace di sviluppare solidarietà e arginare l' individualismo: se l' uomo si percepisce come un tutt' uno sociale non è autorizzato a pensare alla vita e alla morte come qualcosa di cui può disporre ma come un bene da preservare per se e gli altri. La società non doveva essere una somma di individui ma gruppo titolare della complessità, autonomo, dotato di una propria indipendenza nell' azione di interesse generale, realtà in cui uomini e donne dovevano saper interagire attraverso il riconoscimento dell' alterità. C' è da aggiungere che era difficile pensare al trionfo di una violenza di massa quando tutta l' ideologia democratica era formalmente a favore dell' eguaglianza, della pacificazione e del benessere mentre sostanzialmente la violenza prendeva il sopravvento. Durkheim credeva molto nella società solidaristica ma la politica avrebbe costruito e realizzato tutta altra storia.

Robert Hertz

Robert Hertz nato a Saint Cloud nel 1881, allievo di Emile Durkheim, ne seguì la prospettiva di ricerca sociologica, concentrandosi sul tema delle rappresentazioni collettive dei gruppi sociali. Purtroppo la sua promettente carriera di studioso fu interrotta dalla morte prematura durante la Prima guerra mondiale, nel 1915, all'età di trentatré anni. I suoi appunti per un' opera, mai pubblicata, su Il peccato e l'espiazione nelle società primitive furono poi ripresi e ordinati dall'amico e collega Marcel Mauss, il quale fu appassionato divulgatore delle teorie e delle opere di Hertz. Tema privilegiato della ricerca di Hertz  fu la rappresentazione collettiva della morte, intesa, quest'ultima, come evento che mette in pericolo la coesione del gruppo sociale. Attenzione dunque perchè anche Hertz mette in guardia dal fatto di svalutare, volgarizzare e banalizzare esponendola al di fuori del sacro e slegandola dalla vita perchè il gruppo sociale, in occasione della morte di un proprio membro, difende la propria identità collettiva proprio elaborando degli specifici riti di ricomposizione e di elaborazione del lutto; il rituale funebre ricompone una frattura sociale e culturale, appiana la perdita e ribadisce la preziosità della vità perchè nell' indifferenza della morte si distrugge tutto un universo di senso elaborato nel corso di milioni di anni aprendo alla distruzione umana e cosmica. Attraverso il rituale si riconduce l'evento della morte in un orizzonte socialmente concepibile, gestendo in modo controllato il distacco del gruppo dal membro defunto. A questo proposito, egli studiò, nel suo saggio Contributo alla rappresentazione collettiva della morte (apparso su "L'Année sociologique" nel 1907), il rituale della "seconda sepoltura", messo in pratica da alcune popolazioni del Borneo: in occasione della morte di un membro, dopo un primo rito funebre, trascorso un certo periodo di tempo, un secondo rito, più formale e solenne, serve a dare sistemazione definitiva alle spoglie del defunto. Hertz vedeva il rito funebre come una sorta di rito di passaggio da una condizione sociale a un'altra, alla stessa stregua del battesimo o del matrimonio, suggerendo una prospettiva che sarà proposta più estesamente due anni dopo da Arnold Van Gennep. Col rito funebre si scongiura il rischio di considerare il defunto come uscito definitivamente dal gruppo sociale, ma anzi si formalizza visibilmente il suo passaggio dalla comunità dei vivi a quella dei defunti, che è sentita dalla società come parte integrante di se stessa. Con quella sorta di rappresentazione della morte, ritualizzata e teatralizzata, che è il rito funebre, il gruppo sociale, che tende a considerarsi eterno e immutabile, si difende dal possibile attacco che la morte di un proprio membro ha rappresentato per la propria stessa coesione. In conclusione: la morte non va occultata ma va mostrata realmente quando avviene fisiologicamente e all' interno del sacro e non va occultata, esibita, volgarizzata, banalizzata poichè è indispensabile a costrire estetica, cultura, libertà e verità. 

Conclusioni

Le riflessioni di questi studiosi costituiscono la base per tentare di comprendere la violenza attuale che è violenza irrazionale e banale derivata dalla distruzione della cultura con la conseguente interruzione della tensione verso il futuro e il prevalere dell' istinto di morte. 
Cosa succederà a una umanità la cui politica ha tolto verità morale all' uomo e ha banalizzato ed esposto la morte lasciando diritto di cittadinanza alla violenza?
Attualmente l' uomo è immerso nella violenza a iniziare da un potere di Stato esercitato da politici incapaci e screditati che lo hanno reso cieco, antiumano e irrazionale basato sulla vampirizzazione dell' uomo e sull' unico obiettivo di monopolizzare al povertà al fine di trarne benefici materiali.
L' uomo immerso nella violenza legittima di Stato, nella volgarità e nella banalità perchè privato della cultura e privato anche delle possibilità e opportunità democratiche e ricacciato nella schiavitù si suicida, svaluta la vita e svaluta la morte e mentre fino a circa 20/30 anni fa il gesto era in grado di far percepire alla collettività che esiste un'alternativa "sociale" ai disvalori dominanti, un'opposizione irriducibile, di gruppo, al sistema coercitivo, oggi tutti i suicidi e tutte le altre forme di violenza sono immersi nell' indifferenza e la violenza afferma il suo dominio sull' uomo desoggettivato e oggettivizzato!
Oggi la violenza trionfa poiché è stato reciso il legame culturale fra la vita, la morte, la cultura, la civiltà, l' amore e tutto è avvenuto all' interno dell' inganno democratico esercitato dal potere politico in danno dei cittadini lasciati in balia della violenza e dell' istinto di morte!
Una forma di violenza intollerabile è anche quella che tende a minimizzare la violenza attuale attraverso l' appello ai numeri. Allora è utile affermare che tutta la riflessione filosofica Moderna antitirannica tesa a liberare l' uomo aveva in mente un solo uomo e non un gruppo di uomini come ci fa capire bene Hobbes quando pensa allo Stato come entità capace di risolvere la situazione umana basata sull' assioma: homo homini lupus = l'uomo è lupo per l'uomo (cioè: è nemico dei suoi simili). Lo capiamo ancora meglio in Kant nella conclusione della Critica della ragion pratica:
  • Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.
Sia hobbes che Kant pensano a un uomo libero, critico, originale nella sua intelligenza perciò titolare ed espressione di moralità in quanto essere unico la cui personalità non può essere diluita nel numero ma ha valore in sé. Ecco allora che bisogna prendere atto della colossale mistificazione che avviene a mezzo stampa quando si vuole rassicurare i cittadini attraverso il ricorso all' informazione basata sui numeri e sulle statistiche e si usa la parola percezione per minimizzare fatti gravissimi e pericolosi per l' umanità. La perdita del valore della vita incentrato sul concetto che ogni uomo racchiude in sé valori universali e necessari e la negazione della validità di ogni contratto sociale è ormai avvenuta aprendo alla violenza antistorica banale, indifferente e distruttiva. Lorenza Cervellin





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