Premessa
La
cultura e la conoscenza
intorno
al
legame vita-morte inizia durante
il periodo Musteriano
(70.000
circa
a.C.)
quando
l' uomo riconosce la sacralità del corpo e inizia
una pratica di sepoltura rituale. Dal Paleolitico
superiore
registriamo l'usanza di cospargere di ocra rossa le ossa dei morti
secondo
la simbologia del colore rosso come rappresentanza del sangue,
simbolo della vita. L'uomo
del Paleolitico superiore veniva
sepolto
con oggetti funerari, secondo
la credenza della
vita dopo la morte. Le pitture rupestri del Paleolitico superiore
indicano anche che l'uomo di quel periodo aveva delle cognizioni
cosmogoniche e conservava delle simobologie delle volte celesti:
terra
e cielo, vita e morte erano
elementi che suggerivano
precisi riferimenti di contatto con qualcosa d'altro rispetto alla
normale vita quotidiana e quindi con il profano. Almeno da questo
periodo si può registrare l'ingresso del "sacro" nella
vita dell'umanità e quindi l'inizio dell' homo
religiosus inserito in un ambiente culturale. Durante
il periodo Mesolitico
(9000-4000
a.C.) la pratica dell'
inumazione venne realizzata
nella posizione fetale, modalità che indica che la tomba è
considerata un uovo
pronto
a generare nuova vita.
Nel
Neolitico, presso tutte le culture, la pratica culturale della
sepoltura rituale è consolidata attraverso la pratica dell'
inumazione o cremazione.
Nel
massimo splendore di Atene si costruiva la più esaltante esperienza
culturale umana mentre il sangue scorreva a fiumi ma non era la
cieca violenza di oggi in cui la società è attraversata dall'
istinto di morte ma la rappresentazione di una vita unica, critica,
originale e armoniosa che vedeva il legame fra vita, cultura, amore
e morte. Il
Cristianesimo poi
elabora
una sepoltura rituale la quale risulta essere la massima espressione
dell' importanza e della sacralità da attribuire al corpo morto,
tempio dell' anima e
massimo omaggio rivolto alla vita attraverso la morte “temporanea”!
In
conclusione: l' istinto e l' energia di vita si lega al rispetto per
la morte.
L'
Ellenismo
e i grandi spostamenti di massa che produrrà aprono alla società
agonistica, portata dalle élites coloniali occidentali una società
nella quale è possibile riconoscere l' origine della forza e dei limiti della
nostra cultura e della nostra politica attuale:
1)
il primo limite consisteva
nel fatto che la produzione per il mercato, pur basata sullo
sfruttamento del lavoro delle masse, non poteva - per ragioni di
scarsa produttività - estendere i propri benefìci anche a queste
ultime. Esse dunque, pur sobbarcandosi degli oneri più grandi di un
tale tipo di economia, non ne condividevano - se non in parte davvero
minima - i vantaggi materiali. Ciò rendeva la situazione degli stati
ellenistici sempre estremamente tesa, e non infrequenti erano - sia a
est, che a ovest (dove si cercò, sulla scorta dell'esempio
orientale, di operare un rafforzamento dei poteri statali) - le
rivolte della popolazione minuta nei confronti dello stato e delle
élite borghesi dominanti;
2)
un
altro profondo limite del mondo ellenistico, fu poi il costante stato
di guerra tra Regni, dovuto come
già detto alla cultura
"agonistica" delle élites coloniali occidentali votate
al dominio e al profitto. La
divisione a livello sociale, e lo stato di guerra ininterrotta (o
quasi) tra nazioni, posero i presupposti della conquista dell'Oriente
ellenistico da parte della vicina potenza romana.
La
società agonistica del combattimento e della lotta fra gruppi di
potere e
gruppi sociali sarà anche, come dice l' etimologia, l'ultima
lotta dell'organismo vivente di un soggetto autonomo perciò responsabile, contro la morte. Prende forma una nuova personalità individualistica, non egoistica, all' interno del perdurare della cultura eroica ed ideale la quale continuerà a motivare i discorsi pubblici
fino all' Ottocento, secolo in cui, dal Positivismo, emergerà l' individualismo egoistico ed atomistico che porterà alla desogettivizzazione e all' alienazione dell' uomo.
Ugo
Foscolo
Forse
l' ultimo baluardo contro l' individualismo eroico
ed ideale e l'
individualismo attuale attraversato dall'
istinto di morte che ne consegue è rappresentato dall' opera poetica
capolavoro
Dei
sepolcri di
Ugo Foscolo
scritta in pochi mesi tra l'estate e l'autunno del 1806,
pubblicata
nel 1807.
Foscolo ci mette in guardia e ci dice che l' anonimato delle
sepolture, in seguito dell' Editto di Saint-Cloud, avrebbe posto fine
alla civiltà compromettendo la poesia, il
riscatto storico e sociale e il riscatto della stessa identità
sociale
e poetica del poeta.
La
frattura culturale ottocentesca rappresentata dalla violenza
legittima della guerra all' interno dello Stato nazionale spezzerà
definitivamente il legame fra cultura, vita e morte e la comunità
umana sarà attraversata da un colossale istinto di morte mitigato
dalla grande ideologia democratica e dai valori che questa ideologia
racchiude ma che attualmente sono occultati da una politica
rivelatasi incapace nella realizzazione.
Émile
Durkheim
Non
è un caso che a fine Ottocento, nel pieno dell' "inganno
positivistico-evoluzionista",
si inizia una nuova riflessione sociologica e antropologca sulla
morte a iniziare da Émile
Durkheim (1858–1917)
il quale iniziò a studiare anche la
morte per
suicidio. Perchè Durkheim studia la morte per suicidio? Perchè credeva nella
società come capace di sviluppare quella solidarietà necessaria ad
arginare l' individualismo distruttivo ed esasperato e credeva che la
vita umana fosse preziosa all' interno della società ed era
preoccupato della nuova violenza che intaccava la preziosità della
vita: violenza
pubblica legittimata, violenza privata e violenza autoinflitta.
Il suicidio veniva spiegato in due modi:
Queste due spiegazioni non erano sufficienti a spiegare la complessità delle motivazioni suicidiarie il cui campo di studi era molto limitato e occultato. Nella sua pionieristica indagine sociologica, Il suicidio (1897), Durkheim portò nuove spiegazioni al suicidio nella nascente e alienante "società di massa" individuando 4 tipi di suicidio:
- La violenza dello Stato era considerata necessaria in nome della libertà del singolo e del benessere generale
- La violenza privata era considerata un fatto da reprimere con la legge e con un sistema morale e punitivo che ne avrebbe limitato la portata.
Il suicidio veniva spiegato in due modi:
- suicidio per onore e per vergogna (compreso)
- suicidio per malattia psichiatrica
Queste due spiegazioni non erano sufficienti a spiegare la complessità delle motivazioni suicidiarie il cui campo di studi era molto limitato e occultato. Nella sua pionieristica indagine sociologica, Il suicidio (1897), Durkheim portò nuove spiegazioni al suicidio nella nascente e alienante "società di massa" individuando 4 tipi di suicidio:
- il suicidio altruistico era tipico delle società primitive o di quelle comunità in cui il rapporto sociale era chiuso, nel senso che l'individuo dipendeva totalmente dal gruppo collettivo, come per esempio il capitano di una nave in procinto d'affondare o un militare in guerra i quali non vedevano altra soluzione al loro "fallimento" per cui rimaneva solo il gesto eroico di compensare con la propria vita. L'autoimmolazione diventava così un gesto "obbligatorio", che poteva anche essere caricato di ulteriori motivazioni di tipo mistico-religioso sempre legate all' onore. Il suicidi altruistico era frequente nelle società di ancien regime quando la violenza non era di massa e globalizzata ma era circoscritta.
- il suicidio egoistico era ed è determinato da una incapacità spirituale e psicologica efficace a colmare un divario, percepito come insormontabile, tra i propri desideri spesso ideali e la loro possibilità di realizzazione. In questo caso gli "altri" non vengono visti come fonte d' aiuto, ma come irriducibili concorrenti e allora si rinuncia alla vita per frustrazione dovuta all' incapacità di raggiungere gli obiettivi sperati attraverso la "lotta": il suicidio egoistico è riconoscibile nella società oggettivizzata, cinica ed individualista. Il suicidio egoistico compare nella società capitalistica, consumistica e di massa;
- il suicidio anomico è forse quello più "interessante" dal punto di vista della conoscenza sociologica proprio perché il più attuale e il più "occidentale" il cui sostrato è il nichilismo, la banalità e l' incapacità di trovare valori a sostegno della vita per contrastare l' istinto di morte; anomia infatti significa "mancanza di valori e di punti di riferimento ideali" realtà che porta la persona a darsi la morte perchè non riesce a sopportare gli stress che incontra: improvvise perturbazioni economiche che abbassano il livello del proprio stile di vita o anche la morte di familiari: all' interno delle difficoltà l' uomo non riesce più a ritrovare se stesso all'interno di una società che, promette benessere ma evolve troppo in fretta e costringe a una continua corsa al successo o al desiderio del successo spezzando il legame con il futuro. Nel suicidio anomico la società e la politica hanno una importanza enorme nell' incoraggiarne o reprimerne il numero attraverso la cultura.
- Durkheim isola insieme insieme al suicidio anomico, il suicidio fatalistico, senza convincere i critici sucessivi alla sua riflessione ma oggi, alla luce dei suicidi attuali, il suicidio fatalistico rivela la sua potenza profetica. Il suicidio fatalistico si ha quando esiste una sorta di disciplina caratterizzata da prescrizioni assolutamente esagerate e antiumane, che impediscono all'individuo di emergere, di farsi valere come tale. La riflessione critica a questa fattispecie di suicidio era incentrata sul discorso che questo suicidio era possibile solo quando l' uomo era in uno stato di schiavitù e la cultura del tempo pensava a un futuro dove la schiavitù non sarebbe più esistita non pensando che si profilava invece una schiavitù ancora più pericolosa e capillare quale è quella attuale. Ecco che allora il suicidio fatalistico e l' istinto di morte spiegano l' attualità caraterizzata da una violenza e una povertà quale non si era mai vista nella storia dell' uomo le quali spingono fatalmente l' uomo verso la rinuncia della vita.
Durkheim
ci dice, avvalendosi di rilevazioni statistiche, che nelle società
protestantiche, così fortemente basate sull'individualismo, i tassi
dei suicidi erano nettamente superiori a quelli riscontrati nelle
società di religione cattolica e i meno tentati da questo atto
estremo erano gli ebrei, a motivo del fatto che avevano saputo
maturare un forte spirito di gruppo, come forma di reazione alle
tante persecuzioni subite. In generale la conclusione della sua
indagine era che un argine al suicidio era la costruzione della
società capace di sviluppare solidarietà e arginare l'
individualismo: se l' uomo si percepisce come un tutt' uno sociale non è autorizzato a pensare alla vita e alla morte come qualcosa di cui può disporre ma come un bene da preservare per se e gli altri. La società non doveva essere una somma di individui
ma gruppo titolare della complessità, autonomo, dotato di una
propria indipendenza nell' azione di interesse generale, realtà in cui uomini e donne dovevano saper
interagire attraverso il riconoscimento dell' alterità. C' è da aggiungere che era difficile pensare al trionfo di una violenza di massa quando tutta l' ideologia democratica era formalmente a favore dell' eguaglianza, della pacificazione e del benessere mentre sostanzialmente la violenza prendeva il sopravvento. Durkheim credeva molto nella società solidaristica ma la politica avrebbe costruito e realizzato tutta altra storia.
Robert
Hertz
Robert
Hertz nato
a Saint Cloud nel 1881, allievo di Emile Durkheim, ne
seguì la prospettiva di ricerca sociologica,
concentrandosi sul tema delle rappresentazioni
collettive dei gruppi sociali.
Purtroppo la sua promettente carriera di studioso fu interrotta dalla
morte prematura durante la Prima
guerra mondiale, nel 1915,
all'età di trentatré anni. I suoi appunti per un' opera, mai
pubblicata, su Il
peccato e l'espiazione nelle società primitive furono
poi ripresi e ordinati dall'amico e collega Marcel Mauss, il quale fu appassionato divulgatore delle teorie e delle opere di
Hertz. Tema
privilegiato della ricerca di Hertz fu la rappresentazione collettiva
della morte, intesa, quest'ultima, come evento che mette in pericolo
la coesione del gruppo
sociale.
Attenzione
dunque perchè anche Hertz mette in guardia dal fatto di svalutare, volgarizzare e banalizzare esponendola al di fuori del sacro e slegandola dalla vita perchè il gruppo sociale,
in occasione della morte di un proprio membro, difende la propria
identità
collettiva
proprio
elaborando degli specifici riti
di
ricomposizione e di elaborazione del lutto; il
rituale funebre ricompone una frattura sociale e culturale, appiana
la perdita e ribadisce la preziosità della vità perchè nell'
indifferenza della morte si distrugge tutto un universo di senso
elaborato nel corso di milioni di anni aprendo alla distruzione umana
e cosmica. Attraverso il rituale si riconduce l'evento
della morte in un orizzonte socialmente concepibile, gestendo in modo
controllato il distacco del gruppo dal membro defunto. A questo
proposito, egli studiò, nel suo saggio Contributo
alla rappresentazione collettiva della morte (apparso
su "L'Année
sociologique" nel 1907), il rituale della "seconda sepoltura", messo in pratica da
alcune popolazioni del Borneo:
in occasione della morte di un membro, dopo un primo rito funebre,
trascorso un certo periodo di tempo, un secondo rito, più formale e
solenne, serve a dare sistemazione definitiva alle spoglie del
defunto. Hertz vedeva
il rito funebre
come una sorta di rito
di passaggio
da
una condizione sociale a un'altra, alla stessa stregua del battesimo
o del matrimonio, suggerendo una prospettiva che sarà proposta più
estesamente due anni dopo da Arnold Van Gennep.
Col rito funebre si scongiura il rischio di considerare il defunto
come uscito definitivamente dal gruppo sociale, ma anzi si formalizza
visibilmente il suo passaggio dalla comunità dei vivi a quella dei
defunti, che è sentita dalla società come parte integrante di se
stessa. Con quella sorta di rappresentazione della morte,
ritualizzata e teatralizzata, che è il rito funebre, il gruppo
sociale, che tende a considerarsi eterno e immutabile, si difende dal
possibile attacco che la morte di un proprio membro ha rappresentato
per la propria stessa coesione. In conclusione: la morte non va occultata ma va mostrata realmente quando avviene fisiologicamente e all' interno del sacro e non va occultata, esibita, volgarizzata, banalizzata poichè è indispensabile a costrire estetica, cultura, libertà e verità.
Conclusioni
Le
riflessioni di questi studiosi costituiscono la base per tentare di
comprendere la violenza attuale che è violenza irrazionale e banale
derivata dalla distruzione della cultura con la conseguente
interruzione della tensione verso il futuro e il prevalere dell'
istinto di morte.
Cosa succederà a una umanità la cui politica ha tolto verità morale all' uomo e ha banalizzato ed esposto la morte lasciando diritto di cittadinanza alla violenza?
Attualmente
l' uomo è immerso nella violenza a iniziare da un potere di Stato esercitato da politici incapaci e screditati che lo hanno reso cieco, antiumano e irrazionale basato sulla vampirizzazione dell' uomo e sull'
unico obiettivo di monopolizzare al povertà al fine di trarne
benefici materiali.
L'
uomo immerso nella violenza legittima di Stato, nella
volgarità e nella banalità perchè
privato
della cultura e privato anche delle possibilità e opportunità
democratiche e ricacciato nella schiavitù si suicida, svaluta la
vita e svaluta la morte e mentre fino a circa 20/30 anni fa il gesto
era in grado di far percepire alla collettività che esiste
un'alternativa "sociale" ai disvalori dominanti,
un'opposizione irriducibile, di gruppo, al sistema coercitivo, oggi
tutti i suicidi e tutte le altre forme di violenza sono immersi nell' indifferenza e la violenza afferma
il suo dominio sull' uomo desoggettivato e oggettivizzato!
Oggi
la violenza trionfa poiché è stato reciso il legame culturale fra
la vita, la morte, la cultura, la civiltà, l' amore e tutto è
avvenuto all' interno dell' inganno democratico esercitato dal potere
politico in danno dei cittadini lasciati in balia della violenza e
dell' istinto di morte!
Una
forma di violenza intollerabile è anche quella che tende a minimizzare la
violenza attuale attraverso l' appello ai numeri. Allora
è utile affermare che tutta la riflessione filosofica Moderna
antitirannica tesa a liberare l' uomo aveva in mente un solo uomo
e non un
gruppo di uomini come
ci fa capire bene Hobbes quando pensa allo Stato come entità capace
di risolvere la situazione umana basata sull' assioma: homo
homini lupus
= l'uomo è lupo per l'uomo (cioè: è nemico dei suoi simili). Lo
capiamo ancora meglio in Kant nella conclusione della Critica
della ragion pratica:
- Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.
Sia
hobbes che Kant pensano a un uomo libero, critico, originale nella
sua intelligenza perciò titolare ed espressione di moralità in
quanto essere unico la cui personalità non può essere diluita nel
numero ma ha valore in sé. Ecco allora che bisogna prendere atto
della colossale mistificazione che avviene a mezzo stampa quando si
vuole rassicurare i cittadini attraverso il ricorso all' informazione
basata sui numeri e sulle statistiche e si usa la parola percezione
per minimizzare fatti gravissimi e pericolosi per l' umanità. La
perdita del valore della vita incentrato sul concetto che ogni uomo
racchiude in sé valori universali e necessari e la negazione della
validità di ogni contratto sociale è ormai avvenuta aprendo alla
violenza antistorica banale, indifferente
e distruttiva.
Lorenza
Cervellin
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