lunedì 20 maggio 2013

SEMPRE A PROPOSITO DI VIOLENZA -STORIA DELLO STATO- -Continuazione 25-

Premessa


In sintesi, le scoperte archeologiche ci parlano di:
  1. un Paleolitico "pacifico" per l' uomo la cui morte derivava da malattie e stenti e la "lotta" avveniva fra gruppi in seguito alla carenza di alimentazione senza concludersi con la morte di nessuno;  
  2. un Neolitico durante il quale si sviluppa l' agricoltura intensiva con accumulazione di risorse e si struttura un sistema di potere basato sul dominio e la trasmissione del patrimonio basata sul sangue, essenzialmente come lo vediamo oggi. A questa organizzazione sociale economica e politica diventa essenziale la guerra rituale e simbolica (manifestazione di forza attraverso esposizioni di uomini armati, parate, duelli, gare) e reale con uccisione di singole persone o massacri di "nemici". Una delle prime testimonianze di una battaglia del Neolitico è la fossa comune di Talheim, territorio dell' odierna Germaia sud-occidentale, dove gli archeologi ritengono che intorno al 2.500 a.C., si sia consumato il massacro di una tribù rivale: circa 34 persone sono state legate e uccise con un colpo alla tempia sinistra ritrovamento che fa del sito archeologico di Talheim una delle prime tracce di guerra avvenuta nell' Europa neolitica.
La parola violenza deriva dal termine latino violentum, e quindi dal verbo violare, che rinvia a vis, ossia forza, prepotenza che è la stessa radice di virilità. La violenza può essere definita tradizionalmente come uso della forza per affermare un dominio e un potere attraverso la superbia e il dominio il cui atto irrimediabile è la distruzione della vita. L' uomo ha nel suo DNA cognitivo la violenza perchè questa nostra cultura occidentale si sviluppa dal Neolitico con l' accumulazione delle risorse e l' esigenza di trasmettere il patrimonio e il potere attraverso il sangue strutturandosi ideologicamente all' interno del patriarcato ateniese dove il sangue scorreva a fiumi ma era giustificato in nome della civiltà nascente e del ruolo pedagogico che  Atene si apprestava ad elaborare e proporre come modello universale al quale l' estetica della violenza, nella società dell' eroismo e della vergogna, ne era il sostrato. Cultura, civiltà, pedagogia e sangue costituiranno una commistione necessaria al potere insieme alla costruzione ideologica della violenza giusta e ingiusta in base a ciò che è bene e a ciò che è male secondo criteri relativi assunti, in determinati periodi storici, come assoluti e necessari al potere in carica! Una costante della violenza è il fatto di essere perpetrata "normalmente" in danno dei deboli motivandola con ragioni sacrificali superiori: donne, schiavi, bambini e gruppi sociali privi di protezione sui quali si abbattono il potere e il pregiudizio! Questa giustificazione della violenza garantiva anche la possibilità di negarla come tale e circoscriverla preservando la società civile dalla violenza totale anche attraverso il grande equivoco storico di Stato che definiva violenza quella derivata dall' iniziativa privata ma non quella autoritaria di Stato basata, nel periodo Moderno, su: rinchiudimenti normalizzanti, tortura, pena di morte e guerra. Dopo le esperienze del fascismo, del nazismo e dello stalinismo si è visto che il maggiore produttore di violenza è lo Stato e il cittadino, all' interno della Democrazia, ha iniziato a stabilire, nel nome della legalità e del diritto, quando la violenza sia o non sia un abuso da parte di un soggetto privato o di una Istituzione, attraverso l'opinione derivata dal sistema di valori morali elaborati dai singoli e fatti propri dalla giurisprudenza. Lo Stato interviene sempre ideologicamente sulla relatività che consente all' uomo dei margini d' iniziativa importanti a salvagurdia della propria libertà e non rinuncia mai al suo controllo e al suo ruolo di persuasore diretto ed occulto. Fino al Seicento era considerata normale la violenza esercitata e agita in nome del potere e nelle guerre ma poi questa prospettiva cambia radicalmente in occasione della riflessione alla base dello Stato Moderno, dopo la guerra dei 30 anni, quando si decide che l' uomo ha diritto ad esercitare la propria libertà al riparo della guerra di tutti contro tutti. La violenza pubblica si estrinsicherà allora all' interno dello Stato-nazione e i sui futuri cittadini contro un altro Stato-nazione al riparo delle giustificazioni patriottiche. Lo Stato Moderno sarà uno Stato paradossale nella contraddizione poiché prende forma da una ideologia antiviolenta ma agirà in modo molto violento contro l' uomo nella società sottoposto a un regime di normalizzazione e rinchiudimenti antiumani esercitando il monopolio della forza legittima giustificato da una idea pura di Stato di diritto mai realizzato compiutamente in favore dei cittadini: in questo modo, la violenza, esce dagli ambiti tradizionale ed invade la società tutta fino alle due guerre mondiali. Nello stato-nazione tutti sono chiamati al patriottismo: i soldati e anche la società civile è chiamata a mobilitarsi nel nome del futuro Stato e poi nel nome dello Stato nazione appena formato. Non è un caso che in quel periodo la violenza esce dagli schemi classici, viene occultata nella sublimazione del martirio! Lo stupro non è più stupro ma sommo sacrificio, spesso ineluttabile, in nome della Patria o della religione. Durante il Risorgimento e durante la Resistenza l' uomo ha agito in nome del Diritto alla resistenza violenta per il bene dello Stato e dell' uomo stesso e la violenza nella società è stata giustificata come sacrificio necessario.
Oggi diventa obbligo culturale riflettere sulle ragioni e le origini della violenza dell' uomo sull' uomo la quale inizia a strutturarsi ideologicamente nel passaggio dallo stato di natura alla cultura naturalizzandosi come evento connaturato ontologicamente all' essenza dell' uomo mentre invece è il frutto di una reificazione arcaica di una oggettivizzazione dell' uomo che lo ha imprigionato in una realtà "istituzionale" derivata dal potere di dominio iniziando ad allontanarlo dalla sua libera soggettività e indipendenza ontologica e lo ha reso dipendente da quello che fa e non da quello che è. 
Fin qui abbiamo visto la violenza circoscritta e la violenza legittima e diffusa ma è difficile arginare e circoscrivere la violenza se non strutturando un solidissimo sistema morale e valoriale che, invece, paradossalmente è stato distrutto aprendo alla violenza totale attuale all' interno di una contraddizione ancora più pericolosa perchè la violenza viene occultata e negata. Il dichiarazionismo ideologico poi del potere pubblico formale la condanna ma sostanzialmente continua a nutrirla e ad agirla.
Johan Galtung, studioso della violenza attraverso gli studi sulla pace, definisce la violenza come "un insulto evitabile ai bisogni umani di base": sopravvivenza, benessere, identità e libertà
Egli distingue tre forme di violenza a formare un triangolo:



  1. violenza palese diretta: è il tentativo deliberato di causare danno all'integrità fisica e psichica di una persona attraverso maltrattamento, omicidio, imprigionamento, lavoro forzato, tortura, percosse. E' la forma di violenza privata e pubblica tradizionale a fianco alla violenza della guerra circoscritta e giustificata. In Ancien regime questa forma di violenza era la più frequente mentre oggi si può considerare come eccezionale in corrispondenza dell' aumento della violenza strutturale e della scomparsa della cultura. E' vero che la violenza diretta è eccezionale ma risulta essere particolarmente grave perchè ha assunto carattere di totalità.
  2. violenza strutturale: ha a che fare con il 'normale' e quotidiano funzionamento di istituzioni e scelte politiche dalle quali origina: politiche pubbliche ed economiche diseguali sostengono la violenza strutturale. I suicidi attuali in Italia sono il risultato della violenza strutturale come anche le donne afro-americane le quali sono costrette a morire di cancro al seno con probabilità superiori alle europee-americane a causa della qualità più bassa delle cure mediche. Infatti il meccanismo 'normale' delle nostre istituzioni economiche causa un aumento significativo dei rischi di cancro, malattie cardiache, AIDS, depressione, minacce ambientali e morte prematura per i poveri. L'uso che facciamo delle automobili, per fare un terzo esempio, comporta la morte 'accettabile' di un numero impressionante di persone ogni anno.
  3. violenza culturale: comprende il razzismo, il sessismo, l'omofobia, l' incapacità di riconoscere le differenze se non nei termini di chi ha denaro e potere e chi non ne ha e    la svalutazione di culture e gruppi particolari; essa può ispirare e giustificare la violenza diretta e strutturale e può servire per spiegare la violenza totale attuale, apparentemente incomprensibile e che ha come costante, ancora una volta, il fatto di abbattersi sui deboli. La destrutturazione della cultura, il cinismo e l' oggettivizzazione delle persone ha portato a una rinnovata cultura del sopruso e della violenza legittimata dalla mancanza di riflessione critica e dall' uso imperante del ragionamento basato sullo stereotipo e sul pregiudizio. Anche la morte è stata oggettivizzata e ridotta a consumo uscendo dal campo dell' esibizione della morte eroica del martire ed entrando come divertimento  nei videogames; anche il cinema e la televisione abbondano di immagini di morte. Siamo stati capaci di costruire un paradosso ulteriore: abbiamo isolato le basi cognitive del pregiudizio ma lo abbiamo rafforzato con la destrutturazione, la volgarizzazione, l' oggettivizzazione, la banalizzazione e l' omologazione dell' uomo e della cultura. La privazione della singolare specificità e originalità umana rende anche difficile recuperare valori di verità. 
La violenza pubblica

Storicamente lo Stato ha rivendicato il monopolio della violenza legittima» secondo un suo diritto essenziale pensato per una istitizione superiore retta da uomini superiori quale dovrebbe essere lo Stato. Così non è stato o lo è stato per brevi periodi: in generale le classi politiche hanno perseguito il proprio tornaconto personale e quello di gruppi influenti. L' ideologia dello Stato Liberale e poi democratico è servita proprio alle classi dirigenti, incapaci e corrotte, da palestra per arricchimenti e interessi personali attraverso la violenza perpetrata ai danni del cittadino e dello Stato. Oggi la violenza è manifesta attraverso la riduzione in povertà e quindi in schiavitù ma negli anni recenti si è esplicata attraverso un inganno e una mistificazione molto abili resi possibili dall' omologazione indotta con i consumi. Oggi siamo in piena reazione e quindi in un periodo di violenza particolarmente efficace la cui diffusione è facilitata dal fatto che la violenza non viene riconosciuta, viene minimizzata o negata e si diffonde come una pandemia passando dal pubblico al privato ai luoghi di lavoro senza soluzione di continuità e non c' è più nessuna ideologia che ne possa giustificare la circoscrizione: la violenza è stata normalizzata e banalizzata definitivamente. Oggi noi viviamo nella convinzione di vivere in un periodo storico con poca violenza ed invece è il contrario: la violenza si è distaccata dai luoghi ortodossi in cui aveva diritto di cittadinanza in particolare nella guerra e si è riversata nelle società: luoghi di lavoro, strade e famiglie. La destrutturazione della riflessione sul male e sul bene, l' esibizione della morte come fosse una cosa normale, la distruzione del sacro e la caduta delle distanze fisiche e simboliche ci ha consegnato alla violenza la quale nella riflessione acritica vaga libera di agire indisturbata prendendo tutte le forme possibili.

Oggi la violenza più grave generatrice di violenza è:
  1. la mancanza di giustizia sociale;
  2. il disconoscimento dell' art. 3 della Costituzione;
  3. l' immobilità sociale; 
  4. la corruzione;
  5. la riduzione consapevole in povertà dei cittadini a cui è stata tolta anche la conflittualità democratica della piazza per manifestare;
  6. Il monopolio della povertà da parte della politica sui cittadini;
  7. l' attentato allo Stato, alle istituzioni e alla Costituzione da parte della politica.
Oggi si realizza ancora un paradosso infinito: chi è responsabile del cattivo governo è stato chiamato a governare e usa la piazza sottraendola a che ne ha diritto e non ha alto modo per comunicare il proprio disagio!
  • Il giorno 11 marzo 2013 i parlamentari del Pdl si erano radunati davanti al palazzo di giustizia di Milano per manifestare la propria solidarietà al loro leader Berlusconi, in quel momento ricoverato in ospedale a causa di uveite. Davanti all'opposizione della procura di Milano alla richiesta di legittimo impedimento il segretario del partito, Angelino Alfano aveva dichiarato:"Stanno tentando di eliminare per via giudiziaria Silvio Berlusconi. È uno scandalo ed io sono personalmente scandalizzato per le questioni giudiziarie".
  • Ancora il giorno 11/05/2013 il Pdl era in piazza a Brescia fra tensioni e fischi: Berlusconi: “I pm vogliono eliminarmi” Anche Alfano alla manifestazione. Alfano fa parte del “nuovo” governo Letta in carica dal 28 aprile 2013.
In conclusione: 
il Governo esercita il suo monopolio della forza impoverendo i cittadini;
  1. è incapace a preservarli dalla violenza totale;
  2. non garantisce le Pari Opportunità, la mobilità sociale e la libertà dal bisogno;
  3. distrugge la possibilità del conflitto democratico realizzabile attraverso la protesta democratica di piazza, occupando a sua volta la piazza, ultimo spazio dei cittadini attivi.
Cosa rimane all' uomo che vuole voltare le spalle al potere screditato, vuole contrastare la povertà e rinnovare la democrazia se è circondato da una cappa di violenza che lo opprime a partire dallo Stato, nel privato e sui luoghi di lavoro e nelle strade? Liberare l' uomo per permettergli l' azione personale responsabile e democratica e l' energia creatrice per rinnovare la società dovrebbe essere il primo compito di un governo progressista ma quello attuale è fortemente reazionario!
Attenzione però al fatto che la violenza riprenda forma all' interno del diritto alla violenza! Lorenza Cervellin


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