lunedì 23 luglio 2012

PROBLEMATIZZAZIONE DEL POST DI TINTI SULLA CONCERTAZIONE

Il sito del Fatto Quotidiano “ospita” vari Blog (Il blog di RSS) fra cui quello del dott. Tinti il quale si presenta come: Bruno Tinti Magistrato e scrittore

Questo il post

Potere e responsabilità costituiscono il fondamento della democrazia. Il sovrano assoluto non è responsabile delle sue azioni: qualsiasi cosa faccia, giusta o sbagliata che sia, resta lì dove l’hanno messo eredità e diritto divino; ci va una rivoluzione per mandare via un re che esercita il suo potere in danno dei suoi sudditi, di tutti o di una parte. Ma, in democrazia, chi regge lo Stato deve rispondere delle sue azioni ai cittadini; che, alle prime elezioni disponibili, lo manterranno dov’è o lo sostituiranno con altri. Qualcuno approverà, altri no; sarà la maggioranza a decidere.
Dunque chi regge lo Stato deve adottare decisioni che permettano il massimo bene per il maggior numero di persone; in questo sta il bene comune, nel perseguire l’interesse dello Stato. Naturalmente l’esercizio del potere è una cosa complicata; occorre tecnica, professionalità, competenza; e, naturalmente onestà. Ma tutto questo ancora non basta perché occorre soprattutto una conoscenza approfondita della realtà sulla quale si opera; e dunque occorrono informazioni. E poi, ovviamente, consigli; per quanto bravi e sperimentati si possa essere.
Così chi vuole esercitare democraticamente il potere di cui è stato investito deve soprattutto chiedere aiuto. Però poi arriva il momento di decidere; e nessuno può decidere al posto di chi regge lo Stato; perché solo chi ha ricevuto dai cittadini questo compito sarà sottoposto, alla fine, al loro giudizio; gli altri, quelli che gli hanno fornito informazioni e consigli, saranno dimenticati, nessuno se la prenderà con loro per decisioni sbagliate. E poi, solo chi regge lo Stato ha l’obbligo di perseguire il massimo bene per il maggior numero di cittadini; gli altri, quelli che lo informano e lo consigliano, sono estranei all’amministrazione; perseguono interessi settoriali; rappresentano solo una parte di cittadini e dunque, per definizione, il loro obbiettivo non può essere l’interesse comune. Fuor di metafora.
Il governo deve adottare decisioni difficili in un contesto di crisi profonda che sta mettendo in pericolo l’esistenza stessa dell’Italia quale noi la conosciamo. Ha bisogno di informazioni e deve poter confrontare le esigenze di molti gruppi di cittadini, spesso in contrasto tra loro. Dunque la collaborazione delle parti sociali è indispensabile, occorre dialogo e confronto. Ma la decisione è responsabilità del governo, non delle parti sociali. Perché è il governo, non le parti sociali, che deve rispondere al parlamento e dunque ai cittadini dell’esercizio del potere che gli è stato affidato; perché il governo rappresenta tutti mentre le parti sociali rappresentano solo il settore cui appartengono; perché infine il bene comune è responsabilità del governo mentre le parti sociali solo sono responsabili del bene del gruppo che rappresentano. E come si può affidare a chi non è imparziale, a chi per definizione non è responsabile nei confronti di tutti (tutti) i cittadini, il potere di decidere per tutti? Non si può. Ecco perché dialogo e consultazione sì, sempre; ma concertazione mai. Perché decidere significa esercitare il potere; e il potere è democratico solo se è bilanciato dalla responsabilità.
Il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2012

PROBLEMATIZZAZIONE DEL POST

Questo post a mio avviso è molto pericoloso (intellettualmente) perchè nella forma di un linguaggio moderato e verosimile intende fare passare una serie di concetti impropri, semplicistici e non veritieri anche con una interpretazione personale della Storia.
Democrazia, nel V sec. a.C., significava governo del popolo ma non il popolo come lo intendiamo noi adesso cioè tutti gli uomini ma solo gli uomini che riuscivano a raggiungere una capacità economica tale da renderli cittadini attivi con doveri/diritti.
Il primo esempio di democrazia lo troviamo nell' Atene del passaggio fra il periodo Arcaico e Classico. La riforma Clistenica traghetta Atene dalla tribalità e dalla tirannide a forme di organizzazione sociale più evolute. (Attualmente succede il contrario: siamo ricaduti nella tribalità post-moderna) Ad Atene, nel V secolo, si forma una democrazia diretta (il dibattito pubblico incide sulle decisioni), di classe, sublimata nella Polis, grandezza e limite politico: la mancanza di capacità di superamento della polis, dopo l' esperienza trentennale di potere di Pericle, porteranno Atene a cadere sotto i colpi di Filippo di Macedonia.In quel periodo la popolazione di Atene si aggirava intorno alle 500.000 persone; di queste erano all’incirca 50.000 le persone che si fregiavano del titolo di Demos (popolo), pur essendo il 10% della popolazione. Cioè la parte ricca e maschile della società.
Un esempio di istituzioni politiche “democratiche” indirette, attraverso alcune istituzioni popolari ma sempre di classe, le troviamo nella Roma repubblicana (dal V sec. a.C. al principato augusteo del I secolo a. C.) Si dibatte ancora molto sulla vera democraticità della Roma repubblicana realizzata attraverso Il Tribuno della plebe (in latino tribunus plebis) che fu la prima magistratura plebea a Roma. Il nome deriva dalle antiche tribù formatesi fin dall'età regia, magistratura che il patriziato tentò sempre di monopolizzare e che Augusto devitalizzò avocando a sè la tribunicia potestas.
Il terzo esempio è costituito dalla repubblica di Venezia retta da un patriziato via, via sempre più ristretto.
Il potere era pubblico, visibile, responsabile verso i corpi sociali rappresentati, esercitato con una violenza volutamente esposta e rappresentata ritualmente.
Democrazia e monarchia erano antitetiche ma ugualmente il potere monarchico era tutt' altro che facile e la responsabilità verso l' aristocrazia era presente giocoforza: le lotte per la corona erano la norma.
In conclusione: da sempre chi ha gestito il potere ha dovuto risponderne con responsabilità personale: Alessanro Magno è stato “costretto” a uccidere pubblicamente chi lo criticava. Il passaggio dinastico del potere e l' ideologia dell' origine divina delle prime monarche europee formatesi nel XIII secolo erano forma e sostanza di un potere che doveva essere visibile e molto difficile a conservarsi: i competitori erano molto numerosi. 
Dall' Età Moderna il potere è stato gestito, entro l' ideologia contrattualistica di Hobbes organizzato nella forma coercitiva della monarchia amministrativa con  potere  anche di dare la morte con il supporto del Diritto pubblico. Con l' elaborazione dell' ideologia del Diritto naturale, il Diritto, agendo in nome e per conto dello Stato e dell' uomo, finisce per sovrastare l' uomo stesso a cui non resta nulla per dispiegare la libera e responsabile azione produttrice di progresso. Il suddito e poi il cittadino delegano il potere, un potere sempre visibile, pubblico non più "privato" ma molto più impegnativo di adesso. Fin dall' Età Moderna il potere, deve anche rispondere e rendersi trasparente, da quì l' esigenza di controllare i sudditi poi cittadini. Paradossalmente si può dire che la responsabilità e l' arbitrio personali, non la decisione giusta, erano più impegnativi nelle società di ancien regime che nelle società contemporanee ormai solo definite complesse.
Con la democrazia contemporanea, basata sul principio di separazione dei poteri e con le dinamiche elettive basate sul consenso, i cittadini non riescono più a “vedere” il potere che arriva da ogni dove poiché diviso fra gruppi che non interagiscono fra di loro, se non nell' obbiettivo di controllo totale della persona, ma lottano per la supremazia, dell' uno sull' altro, attuando non un bilanciamento fra poteri, come la teoria vorrebbe, ma un isolamento corporativo finalizzato a prevalere sugli altri. Il singolo componente onesto dei vari gruppi che non si adegua viene isolato. Il gruppo di potere che prevale controlla quasi completamente l' elettore a cui non resta altro che la dinamica di conflitto/potere per veder riconoscere i diritti. La democrazia contemporanea deve basarsi sul dibattito pubblico e deve funzionare per tutti ma soprattutto per i deboli, premiando i meritevoli e non demonizzando la ricchezza che deve essere raggiunta onestamente e impegnata per il benessere generale. Oggi I gruppi sociali sono gruppi di potere complementari alla classe dirigente per cui danno forma a un potere che si auto-annulla e si auto-replica creando le condizione per il non sviluppo e l' immobilità sociale: è questo il problema!!! I gruppi che veramente avrebbero bisogno di tutela non vengono considerati rimanendo in una situazione schiavile di bisogno. Per esemplificare: in ordine alfabetico: Berlusconi, Casini, Bersani, Prodi si sono scelti il loro elettorato non è stato il contrario per cui la responsabilità e l' essenza della democrazia vengono annullate.  
Ha senso allora oggi parlare di concertazione? Certo che avrebbe senso ma in presenza di una classe dirigente vera, onesta, legittimata che agisca per aumentare le possibilità e le pari opportunità di tutti anche e soprattutto di chi non ha potere concertativo e non per devitalizzare il Diritto del lavoro come, di fatto, è avvenuto in questi anni.
E' sempre utile ricordare la Costituzione art. 39 conquistato dal sindacalista Di Vittorio:
L’organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Ora si vuole tornare dichiaratamente all' Ancien Régime con l' economia di rendita, la schiavitù, il monopolio, la tirannia ma è questo il metodo giusto? Dobbiamo prendere atto del fallimento della democrazia rappresentativa? Dobbiamo rinunciare alla civiltà come è stata narrata dal Trecento in poi?
N.B. E'utile ricordare che le "riforme" del governo Monti sono state approvate con una concertazione formale e non sostanziale.
Si consigliano:
  • Polibio (Megalopoli, circa 206 a.C. – Grecia, 124 a.C.)Storie
  • Amartya Kumar Sen, vivente,  Identità e violenza, Laterza, Bari, 2006
    • Unità e libertà sindacale nella Costituzione di Giuseppe Di Vittorio. Il testo, tratto dalla relazione sull'ordinamento sindacale alla III sottocommissione della Costituente (Roma, 1946), è raccolto con lo stesso titolo in: Antonio Tatò (a cura di), Di Vittorio. L'uomo, il dirigente, vol. II, 1944-1951, Roma, Editrice sindacale italiana, 1969


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