Il Moderno Stato di Diritto di tipo contrattualistico si afferma dal Seicento e trova giustificazione nell' esigenza dei sudditi di vedere riconosciute le loro istanze antitiranniche rispetto al sovrano. Chi era il sovrano? Definizione di Carl Schmith, giurista e filosofo politico tedesco: il sovrano è chi decide dello Stato d' eccezione; la teorizzazione e la realizzazione dello Stato di diritto modifica il concetto della sovranità: non più Stato d' eccezione ma Stato stabile, a vocazione universale, che si propone come unica e vera forma di potere capace di garantire la modernità economica, la libertà e la sicurezza. Lo Stato d' eccezione è ignorante rispetto a quanto detto riguardo la formazione dello Stato Moderno ma non scompare, anzi, ha sempre la tendenza a riproporsi. Quando si parla di Stato d' eccezione? Nelle rivoluzioni e nei colpi di Stato quando la funzione dello Stato contrattualistico viene ignorata o sospesa. E' utile ricordare che lo Stato Moderno di diritto nasce razionalmente strutturato in senso antiviolento ma è una forma di potere particolarmente violenta, una violenza monopolizzata dallo Stato il quale cerca di esercitarla occultandola e mascherandola.
Attualmente è utile problematizzare il potere politico per come è stato esercitato nell' ultimo anno per stabilire se abbiamo vissuto in uno Stato di Diritto o in uno Stato d' eccezione.
La
classe politica Italiana, fin dall Unità (1961), ha avuto come
interesse primario la divisione del potere, scelta a volte per motivi
fisiologici di interesse generale ma il più delle volte per
interessi particolari, dando vita a un consociativismo patologico
che ha creato molto danno al paese ma d' altra parte questo ha saputo
fare! Quando questo consociativismo patologico è venuto meno l'
esito è stato la dittatura perciò l' Italia è sempre stata
governata, a causa dell' incapacità dei politici, in base al
principio di scelta del male minore.
Venendo
all'attualità, il modo in cui il Presidente Napolitano ha gestito il
potere è sempre stato all' insegna del rispetto di questo principio
tollerando l' incapacità dei politici e rispettando il
consociativismo patologico fino alla fine del 2011 quando ha
dimostrato un interventismo molto sviluppato motivato dala necessità
di gestire la crisi del governo Berlusconi e la crisi finanziaria.
CRONOLOGIA
DELLA CRISI DI GOVERNO
9
novembre 2011: il Presidente Napolitano nomina Monti senatore a vita
9
novembre 2011: Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha
rilasciato la seguente dichiarazione:
“Di
fronte alla pressione dei mercati finanziari sui titoli del debito
pubblico italiano, che ha oggi toccato livelli allarmanti, nella mia
qualità di Capo dello Stato tengo a chiarire quanto segue, al fine
di fugare ogni equivoco o incomprensione:
non
esiste alcuna incertezza sulla scelta del Presidente del Consiglio
on. Silvio Berlusconi di rassegnare le dimissioni del governo da lui
presieduto. Tale decisione diverrà operativa con l'approvazione in
Parlamento della legge di stabilità per il 2012”
16
novembre 2011: il Presidente Napolitano conferisce al senatore Monti
l' incarico di formare il nuovo Governo
Tutti abbiamo presente le dichiarazioni d' intenti ufficiali di Monti le quali
poi si sono dimostrate ingannevoli: rigore, equità e crescita. Il Presidente Napolitano ha visto l' erosione macroscopica dei diritti, l' aumento
delle diseguaglianze e la diminuzione delle Pari Opportunità senza
mai intervenire sostanzialmente in favore dei cittadini.
Il Presidente Napolitano
non interviene dunque in favore del popolo che vede impoverirsi ma
interviene pesantemente per ribadire il potere della Presidenza della
Repubblica sollevando un conflitto di attribuzione davanti all' Alta
Corte che avrà esiti non indifferenti nell' economia complessiva
degli equilibri di potere su cui si fonda la Democrazia.
Le preoccupazioni del Capo dello Stato sono presenti nel sito del Quirinale:
L' alta Corte stabilirà per Il Presidente della Repubblica, attraverso una immunità studiata specificatamente per il Capo dello Stato, un potere inedito intaccando il Principio di trasparenza, di eguaglianza e, indirettamente, l' unica sovranità prevista in Costituzione che è quella del popolo.
Le preoccupazioni del Capo dello Stato sono presenti nel sito del Quirinale:
"Il Presidente, che non ha nulla da nascondere ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere, ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi in termini di principio sul tema di possibili intercettazioni dirette o indirette di suoi colloqui telefonici, e ne attende serenamente la pronuncia.
Quel che sta avvenendo, del resto, conferma l'assoluta obbiettività e correttezza della scelta compiuta dal Presidente della Repubblica di ricorrere alla Corte costituzionale a tutela non della sua persona ma delle prerogative proprie dell'istituzione".
L' alta Corte stabilirà per Il Presidente della Repubblica, attraverso una immunità studiata specificatamente per il Capo dello Stato, un potere inedito intaccando il Principio di trasparenza, di eguaglianza e, indirettamente, l' unica sovranità prevista in Costituzione che è quella del popolo.
Venerdì 18 gennaio
2013 La Consulta deposita le motivazioni sul conflitto d'attribuzione
risolto a favore del Presidente della Repubblica (sent. 15 gennaio
2013 n. 1)
Riporto
solo alcuni passi della Sentenza:
La Corte
Costituzionale
composta
dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO,
Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio
MATTARELLA, Mario Rosario Morelli
Sentenza
[….....]
Ritenuto in fatto
1.–
Con ricorso depositato il 30 luglio 2012, il Presidente della
Repubblica Giorgio
Napolitano,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, «per
violazione degli articoli 90 e 3 della Costituzione e delle
disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione»
– in particolare, l’art. 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219
(Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti
dall’articolo 90 della Costituzione), «anche con riferimento
all’art. 271 del codice di procedura penale» – nei confronti del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di
Palermo, in relazione all’attività di intercettazione telefonica,
svolta riguardo alle utenze di persona diversa nell’ambito di un
procedimento penale pendente a Palermo, nel corso della quale sono
state captate conversazioni intrattenute dallo stesso Presidente
della Repubblica.
[….......................]….....Per
questi motivi La Corte Costituzionale dichiara che non spettava alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di
valutare la rilevanza delle intercettazioni di conversazioni
telefoniche del Presidente della Repubblica, operate nell’ambito
del procedimento penale n. 11609/08;
dichiara
che non spettava alla stessa Procura della Repubblica di omettere di
chiedere al giudice l’immediata distruzione della documentazione
relativa alle intercettazioni indicate, ai sensi dell’art. 271,
comma 3, del codice di procedura penale, senza sottoposizione della
stessa al contraddittorio tra le parti e con modalità idonee ad
assicurare la segretezza del contenuto delle conversazioni
intercettate.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 4 dicembre 2012.
Le
motivazioni della Corte sono molto esaurienti e articolate ed io non
entro nel merito giuridico perchè non ho la preparazione per farlo
ma, a mio avviso, contribuiscono, a dare una idea estraniante e
irreale del diritto vero paradosso in uno Stato che si definisce di
diritto di un diritto che dovrebbe funzionare per la gente comune
attraverso il Principio di Trasparenza e di Uguaglianza e non
attraverso il Principio di Privilegio come in questo caso.
Riporto
alcuni passi delle motivazioni:
[….........]
4.3.–
L’impossibilità, ampiamente sottolineata in dottrina, di delineare
in termini rigidi i compiti del Presidente della Repubblica e di
distinguere tra le diverse modalità di esercizio delle sue funzioni
– si traducano esse in «atti tipici» o «in attività meramente
propedeutiche e preparatorie» – confermerebbe, d’altro canto,
che l’esigenza
di salvaguardare la libertà e la segretezza delle comunicazioni del
Capo dello Stato sussiste anche in confronto alle intercettazioni
«indirette o casuali»:
e ciò tanto più qualora, come nella fattispecie in esame, dette
comunicazioni si siano tradotte in «un contatto assolutamente
lecito».
Il Presidente della
Repubblica è investito, in effetti, di funzioni che necessitano di
una particolare riservatezza «nell’iter della loro preparazione»:
basti
pensare alle attività inerenti ai rapporti diplomatici (art. 87,
ottavo comma, Cost.), ovvero al comando delle forze armate (art. 87,
nono comma, Cost.), ovvero ancora a tutte quelle funzioni che, se
pure non tassativamente individuabili, gli derivano dalla presidenza
del Consiglio superiore della magistratura (art. 104, secondo comma,
Cost.) o dalla rappresentanza dell’unità nazionale (art. 87, primo
comma, Cost.). Con la conseguenza che, se si permettesse di divulgare
il contenuto delle attività preparatorie, si metterebbero a rischio
gli interessi – rilevantissimi – alla cui salvaguardia tali
funzioni sono preordinate. Al riguardo, occorrerebbe anche
considerare che quella
del Presidente della Repubblica è una carica monocratica, «la
cui attività ufficiale può quindi essere più facilmente incisa
attraverso iniziative giudiziarie che riguardino la persona fisica
del titolare e le sue attività». Nella specie, non verrebbe neppure
in rilievo la distinzione tra atti funzionali ed extrafunzionali: ciò
a prescindere dal fatto
che le conversazioni telefoniche oggetto del conflitto rientrerebbero
comunque tra gli atti funzionali, …..........
[…...........]L’efficacia,
e la stessa praticabilità, delle funzioni di raccordo e di
persuasione, sarebbero inevitabilmente compromesse dalla
indiscriminata e casuale pubblicizzazione dei contenuti dei singoli
atti comunicativi. Non occorrono molte parole per dimostrare che
un’attività informale di stimolo, moderazione e persuasione –
che costituisce il cuore del ruolo presidenziale nella forma di
governo italiana – sarebbe destinata a sicuro fallimento, se si
dovesse esercitare mediante dichiarazioni pubbliche. La discrezione,
e quindi la riservatezza, delle comunicazioni del Presidente della
Repubblica sono pertanto coessenziali al suo ruolo nell’ordinamento
costituzionale. Non solo le stesse non si pongono in contrasto con
la generale eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma
costituiscono modalità imprescindibili di esercizio della funzione
di equilibrio costituzionale – derivanti direttamente dalla
Costituzione e non da altre fonti normative – dal cui
mantenimento dipende la concreta possibilità di tutelare gli stessi
diritti fondamentali, che in quell’equilibrio trovano la loro
garanzia generale e preliminare.
4.4.–
I risultati delle intercettazioni in questione sarebbero, di
conseguenza, assolutamente inutilizzabili ai sensi del comma 1
dell’art. 271 cod. proc. pen., trattandosi di captazioni eseguite
«fuori dei casi consentiti dalla legge». Infatti, il codice di
procedura penale considera legittime le intercettazioni non già
quando manchi un divieto di eseguirle, ma solo quando vi sia una
norma che espressamente le consenta. Una simile previsione non
potrebbe essere certamente rinvenuta, quanto al Presidente della
Repubblica, nell’art. 7 della legge n. 219 del 1989. Detta
disposizione, anzi, dopo aver regolato l’ipotesi
dell’intercettazione «diretta», stabilisce che «in ogni caso»
il Comitato parlamentare per i giudizi di accusa può autorizzare le
intercettazioni solo dopo che il Presidente sia stato sospeso dalla
carica. Da ciò si dedurrebbe che, «mentre la parte assertiva della
prescrizione è espressamente dedicata alle sole intercettazioni
dirette (consentendone, in determinati casi, lo svolgimento e
l’utilizzazione), diversamente i limiti introdotti dalla stessa
norma sono applicabili “in ogni caso”, quindi, anche nella
diversa ipotesi di intercettazioni indirette».
Significativa
sarebbe, altresì, la circostanza che l’art. 205, comma 3, cod.
proc. pen., nel prevedere che possa essere disposta la comparizione
in giudizio dei testimoni che rivestono alte cariche dello Stato
allorché essa appaia indispensabile per eseguire un confronto,
sottragga a tale disposizione il Presidente della Repubblica.
Sarebbe, dunque, «del tutto anomalo consentire che la voce del
Presidente, non sottoponibile al confronto con le modalità che la
legge prescrive per la testimonianza dei testi, possa essere stata
captata indirettamente o casualmente […] e successivamente
utilizzata nel corso dell’attività investigativa».
4.5.–
L’assoluta inutilizzabilità delle intercettazioni qui considerate
imporrebbe di procedere alla loro distruzione immediata, senza alcuna
valutazione circa la loro eventuale rilevanza processuale.
In
senso contrario, non varrebbe far leva sulla “involontarietà” e
sulla “inevitabilità iniziale” delle intercettazioni telefoniche
che, disposte nei confronti di un terzo, solo accidentalmente
coinvolgano il Presidente della Repubblica. In assenza di una norma
che espressamente consenta la captazione dei colloqui presidenziali,
infatti, l’attività di intercettazione avrebbe dovuto essere
interrotta dalla Procura palermitana non appena accertata la qualità
soggettiva dell’interlocutore.
Questi i passi soprariportati a scopo esemplificativo
Al
di là delle specifiche valutazioni giuridiche resta un fatto
storico: il Presidente della repubblica con la giustificazione di
preservare la Presidenza della Repubblica, attraverso questo
pronunciamento, si appropria di una quota di potere inedita e
originale e pone dei limiti al Principio di trasparenza sui quali si
basano le democrazie e porta in auge quella ragion di Stato tipica
dell' Ancien Regime e degli stati assolutustici che sono espressione
di un potere reazionario.
In
questi giorni il Presidente della Repubblica interviene anche sul
dibattito pubblico, un altro cardine dello stato democratico con
dichiarazioni al Sole 24 ore:
"Giorgio
Napolitano è preoccupato" comincia così un colloquio con il
direttore de "Il Sole 24 ore" Roberto Napoletano e che il
quotidiano ha anticipato sul proprio sito.
Presidente, i giornali fanno il proprio mestiere e, con le loro notizie, hanno svolto un ruolo importante per fare venire alla luce lo scandalo...
Presidente, i giornali fanno il proprio mestiere e, con le loro notizie, hanno svolto un ruolo importante per fare venire alla luce lo scandalo...
questa la dichiarazione ufficiale del Presidente Napolitano:
- «So quanto possano essere importanti il ruolo e l'impulso della stampa per far luce su situazioni oscure e comportamenti devianti. Sono altrettanto fermamente convinto che va salvaguardato il patrimonio di credibilità e di prestigio, anche fuori d'Italia, di storiche istituzioni pubbliche di garanzia, insieme con la riconosciuta solidità del nostro sistema bancario nel suo complesso».
Conclusioni
E'
evidente che tutte queste azioni che abbiamo visto:
- l' incarico a Monti
- il conflitto di attribuzione
- l' intervento nel dibattito pubblico in favore, prima di tutto della ragion di Stato,
non
sono azioni innocenti ma preparatorie e propedeutiche alla campagna
elettorale e ai nuovi equilibri di potere che usciranno dalle urne:
segnano e indicano una preoccupante svolta statalista, conservatrice
e antidemocratica. Che cosa aspetta i cittadini? L' unica cosa certa
è che l' interventismo di Napolitano non ha funzionato per la gente
comune andando a peggiorare una situazione già grave!
Lorenza
Cervellin
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