martedì 22 maggio 2012

IL REDDITO DI CITTADINANZA

IL REDDITO DI CITTADINANZA: CONCETTUALIZZAZIONE DI THOMAS PAINE

Storicamente era cittadino il “cittadino maschio”, abitante in un determinato territorio e appartenente a una classe sociale che gli consentiva di avere diritti politici e doveri di difesa del territorio con l' acquisto di armi da guerra e, per i cittadini più ricchi, l' acquisto del cavallo: cittadinanza della Polis e di Roma. Con l' avvento della grande industrializzazione, l' elaborazione dei diritti naturali e dei principi di uguaglianza, si pone il problema dell' estensione dei diritti politici e di un eventuale reddito da versare, all' interno di politiche illuministiche, idealistiche e paternalistiche, a chi ne era sprovvisto.
E' Thomas Paine, figura di primo piano nella Rivoluzione Americana e in quella Francese, a porre, tra i primi, la questione del reddito di cittadinanza, articolandola nella forma di un canone che i proprietari terrieri avrebbero dovuto versare, quale corrispettivo, solo agli uomini, del godimento a titolo esclusivo di un bene comune, ad ogni altro membro della collettività.

"La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana [...] Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto... a tutte le persone, ricche o povere[...] perché questo soggiace all'eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l'hanno fatta"

A partire dal XVIII secolo il tema del reddito garantito è stato diversamente affrontato da vari autori (Rousseau, Hegel, Marx, Russell) assumendo, in rapporto alle differenti versioni in cui esso è stato presentato, il carattere di una misura "riformistico-reazionaria" o quello di provvedimento "rivoluzionario". L'idea di separare il reddito dall'occupazione, a più di due secoli di distanza dagli scritti di Thomas Paine, è tornata a circolare diffusamente nell'orizzonte teorico occidentale con nomi ogni volta diversi: reddito d'esistenza, reddito di cittadinanza, assegno universale. A sostegno di quest'idea osserva acutamente Zygmunt Bauman, sono stati avanzati argomenti di ogni genere Alcuni si sono richiamati alla giustizia storica: la ricchezza attuale dell'occidente costituisce l' eredità comune di intere generazioni e dovrebbe andare a beneficio dei discendenti.
Altri hanno fatto riferimento alla fondamentale equità dei diritti umani nel senso che il diritto di sopravvivere precede e condiziona ogni scelta, è proprietà inalienabile di tutti gli esseri umani e non qualcosa che debba essere guadagnato. Molti degli argomenti comuni, tuttavia, sono pragmatici piuttosto che filosofici, in quanto si soffermano sui benefici che le società immancabilmente ricavano dal fatto di mettere le persone in grado di assicurarsi i mezzi di sussistenza senza dipendere dalla definizione di lavoro imposta dallo stesso mercato del lavoro. In Italia, negli anni '70 del '900, per avere il consenso politico delle donne, si parlava di retribuire le casalinghe ma era evidente il carattere fortemente maschilista e paternalista di una proposta che avrebbe continuato la politica tradizionale patriarcale non emancipativa e libertaria. Oggi si torna a parlare di reddito di cittadinanza da intendersi quale assegno periodico versato dallo Stato a tutti i cittadini che, a causa della crisi del mercato del lavoro, non hanno temporaneamente una occupazione: ammortizzatori sociali da versare non secondo una concettualizzazione ideale, assistenziale e paternalisticale ma misura radicale e necessaria all' interno del progetto di crescita che si configura come iniziativa per ridare certezza e dignità all' esistenza dell'individuo post-moderno in una economia capitalistica basata sui consumi. Non è certamente una proposta nuova ma è una soluzione economica temporanea ad un problema sociale/politico che, in questa fase storica, può trovare applicazione solo in presenza di una vera riforma del lavoro che ridia dignità alle persone.
L' adozione dell' estensione degli ammortizzatori sociali in senso universale sarebbe funzionale alla ripresa del sistema economico capitalistico e, in base a tale ipotesi, potrebbe arginare il fenomeno della precarizzazione del lavoro e dei diritti che, determinano uno stato di incertezza permanente, consentendo però al capitale di esercitare sulla società un controllo totalizzante: sulle risorse, sulla finanza e sull' uomo che, per vivere una vita dignitosa, avrebbe bisogno, anche solo dell' illusione, di essere responsabilmente libero.

DIRITTI E CITTADINANZA SALARIALE

Noi oggi, nel campo del lavoro e dei diritti, paghiamo ancora il ritardo storico dell' Ottocento reazionario, borghese e antifemminile e poi del sistema socio-economico fordista che ha visto la messa al lavoro di tutta la popolazione maschile, secondo una concettualizzazione , che prevedeva, per la donna, un destino casalingo e solo marginalmente in occasione di bisogno, la possibilità di lavorare sottopagata. La cittadinanza salariale, fordista, era stata concettualizzata in un determinato periodo storico ma oggi ne paghiamo ancora le conseguenze, esito di quella sottocultura derivata dal fatto di aver previsto che tutti lavorassero tranne le donne. Aver pensato al lavoro e ai diritti per la sola popolazione maschile è stato un errore con ripercussioni molto gravi sull' intera società, ancora più gravi oggi, nel processo di globalizzazione che prevederebbe una inclusione ormai difficile da attuarsi.

THOMAS MARSHALL

Negli anni quaranta del Novecento Thomas Humphrey Marshall, (Londra, 19/12/1893 –
Cambridge, 29/11/1981), sociologo e storico delle istituzioni e delle culture contemporanee definì “cittadinanza” l’insieme dei diritti civili, politici e sociali, comprendendo, per la prima volta, tra i beneficiari di tali diritti, anche chi non lavorava e di conseguenza non produceva reddito, in contrasto con il concetto di cittadinanza fordista basata esclusivamente sui diritti dati dal salario. Marshall vedeva in questa necessaria successione un processo linearmente progressivo (non necessariamente frutto di lotte e conquiste) e soprattutto lo considerava un percorso “finito”; teorie contenute in: Cittadinanza e classe sociale, pubblicato nel 1950. L'argomentazione di Marshall si può riassumere così: la cittadinanza è la condizione necessaria dell'esistenza politica di un individuo, ed è una prerogativa conferita a tutti coloro che sono membri a pieno titolo della comunità politica. Tutti coloro che possiedono tale prerogativa sono eguali, relativamente ai diritti e doveri a essa associati non solo le persone che lavorano secondo il concetto fordista; il sociologo inglese in un'analisi sulla disuguaglianza di classe sosteneva che divenire eguali significa divenire cittadini. Marshall insistette molto sulla importanza delle mobilitazioni politiche e ci impose di studiare i movimenti sociali, evocando la cittadinanza ideale che ha delle implicazioni sulla partecipazione attiva degli individui: nel reclamare i loro diritti si sostanzia l' aspirazione di tutti i cittadini alla realizzazione della cittadinanza. Nel XX secolo il processo di emancipazione di tutti i cittadini si è concluso con l' inclusione, perlomeno teorica e di principio per i diritti sociali, di tutte le classi sociali, alle tre grandi categorie di diritti. Il progresso dei diritti di cittadinanza è stato nello stesso tempo un progresso dell'eguaglianza, uno sviluppo della "sostanza" di cui è fatta la posizione sociale e un aumento del numero delle persone che ne beneficiano. Per Marshall tuttavia la cittadinanza non era semplicemente una condizione fatta di dati diritti e responsabilità, era anche uno strumento di creazione di identità che egli credeva potesse svolgere due compiti:
1. contribuire a realizzare la democrazia estendendo l'eguaglianza tra i membri della comunità politica (se la cittadinanza conferisce pari posizione sociale, garantisce anche pari trattamento);
2. integrare la classe operaia nella società in senso lato, dalla quale era stata storicamente esclusa, non solo per ragioni economiche (cittadinanza significava anche appartenenza condivisa a un'unica civiltà). 
Oggi il reddito di cittadinanza diventa un atto obbligato, necessario e morale, in attesa degli assestamenti di una crisi capitalistica molto difficile che obbligherà a recuperare la complessità perduta per ricercare forme economiche alternative al modello standard attingendo anche dall' esperienza delle economie antiche. 

Lorenza Cervellin, Esperto di Pari Opportunità, cittadinanza di genere e integrazione sociale
 

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