IL
REDDITO DI CITTADINANZA: CONCETTUALIZZAZIONE DI THOMAS PAINE
Storicamente
era cittadino il “cittadino maschio”, abitante in un determinato
territorio e appartenente a una classe sociale che gli consentiva di
avere diritti politici e doveri di difesa del territorio con l'
acquisto di armi da guerra e, per i cittadini più ricchi, l'
acquisto del cavallo: cittadinanza della Polis e di Roma. Con l'
avvento della grande industrializzazione, l' elaborazione dei diritti
naturali e dei principi di uguaglianza, si pone il problema dell'
estensione dei diritti politici e di un eventuale reddito da versare,
all' interno di politiche illuministiche, idealistiche e
paternalistiche, a chi ne era sprovvisto.
E'
Thomas Paine, figura di primo piano nella Rivoluzione Americana e in
quella Francese, a porre, tra i primi, la questione del reddito di
cittadinanza, articolandola nella forma di un canone che i
proprietari terrieri avrebbero dovuto versare, quale corrispettivo,
solo agli uomini, del godimento a titolo esclusivo di un bene comune,
ad ogni altro membro della collettività.
•
"La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre
dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana
[...] Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere
alla comunità un affitto... a tutte le persone, ricche o povere[...]
perché questo soggiace all'eredità naturale che, come di diritto,
spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver
creato o ereditato da quelli che l'hanno fatta"
A
partire dal XVIII secolo il tema del reddito garantito è stato
diversamente affrontato da vari autori (Rousseau, Hegel, Marx,
Russell) assumendo, in rapporto alle differenti versioni in cui esso
è stato presentato, il carattere di una misura
"riformistico-reazionaria" o quello di provvedimento
"rivoluzionario". L'idea di separare il reddito
dall'occupazione, a più di due secoli di distanza dagli scritti di
Thomas Paine, è tornata a circolare diffusamente nell'orizzonte
teorico occidentale con nomi ogni volta diversi: reddito d'esistenza,
reddito di cittadinanza, assegno universale. A sostegno di quest'idea
osserva acutamente Zygmunt Bauman, sono stati avanzati argomenti di
ogni genere Alcuni si sono richiamati alla giustizia storica: la
ricchezza attuale dell'occidente costituisce l' eredità comune di
intere generazioni e dovrebbe andare a beneficio dei discendenti.
Altri
hanno fatto riferimento alla fondamentale equità dei diritti umani
nel senso che il diritto di sopravvivere precede e condiziona ogni
scelta, è proprietà inalienabile di tutti gli esseri umani e non
qualcosa che debba essere guadagnato. Molti degli argomenti comuni,
tuttavia, sono pragmatici piuttosto che filosofici, in quanto si
soffermano sui benefici che le società immancabilmente ricavano dal
fatto di mettere le persone in grado di assicurarsi i mezzi di
sussistenza senza dipendere dalla definizione di lavoro imposta dallo
stesso mercato del lavoro. In Italia, negli anni '70 del '900, per
avere il consenso politico delle donne, si parlava di retribuire le
casalinghe ma era evidente il carattere fortemente maschilista e
paternalista di una proposta che avrebbe continuato la politica
tradizionale patriarcale non emancipativa e libertaria. Oggi si torna
a parlare di reddito di cittadinanza da intendersi quale assegno
periodico versato dallo Stato a tutti i cittadini che, a causa della
crisi del mercato del lavoro, non hanno temporaneamente una
occupazione: ammortizzatori sociali da versare non secondo una
concettualizzazione ideale, assistenziale e paternalisticale ma
misura radicale e necessaria all' interno del progetto di crescita
che si configura come iniziativa per ridare certezza e dignità all'
esistenza dell'individuo post-moderno in una economia capitalistica
basata sui consumi. Non è certamente una proposta nuova ma è una
soluzione economica temporanea ad un problema sociale/politico che,
in questa fase storica, può trovare applicazione solo in presenza di
una vera riforma del lavoro che ridia dignità alle persone.
L'
adozione dell' estensione degli ammortizzatori sociali in senso
universale sarebbe funzionale alla ripresa del sistema economico
capitalistico e, in base a tale ipotesi, potrebbe arginare il
fenomeno della precarizzazione del lavoro e dei diritti che,
determinano uno stato di incertezza permanente, consentendo però al
capitale di esercitare sulla società un controllo totalizzante:
sulle risorse, sulla finanza e sull' uomo che, per vivere una vita
dignitosa, avrebbe bisogno, anche solo dell' illusione, di essere
responsabilmente libero.
DIRITTI
E CITTADINANZA SALARIALE
Noi
oggi, nel campo del lavoro e dei diritti, paghiamo ancora il ritardo
storico dell' Ottocento reazionario, borghese e antifemminile e poi
del sistema socio-economico fordista che ha visto la messa al lavoro
di tutta la popolazione maschile, secondo una concettualizzazione ,
che prevedeva, per la donna, un destino casalingo e solo
marginalmente in occasione di bisogno, la possibilità di lavorare
sottopagata. La cittadinanza salariale, fordista, era stata
concettualizzata in un determinato periodo storico ma oggi ne
paghiamo ancora le conseguenze, esito di quella sottocultura derivata
dal fatto di aver previsto che tutti lavorassero tranne le donne.
Aver pensato al lavoro e ai diritti per la sola popolazione maschile
è stato un errore con ripercussioni molto gravi sull' intera
società, ancora più gravi oggi, nel processo di globalizzazione che
prevederebbe una inclusione ormai difficile da attuarsi.
THOMAS
MARSHALL
Negli
anni quaranta del Novecento Thomas Humphrey Marshall, (Londra,
19/12/1893 –
Cambridge,
29/11/1981), sociologo e storico delle istituzioni e delle culture
contemporanee definì “cittadinanza” l’insieme dei diritti
civili, politici e sociali, comprendendo, per la prima volta, tra i
beneficiari di tali diritti, anche chi non lavorava e di conseguenza
non produceva reddito, in contrasto con il concetto di cittadinanza
fordista basata esclusivamente sui diritti dati dal salario. Marshall
vedeva in questa necessaria successione un processo linearmente
progressivo (non necessariamente frutto di lotte e conquiste) e
soprattutto lo considerava un percorso “finito”; teorie contenute
in: Cittadinanza e classe sociale, pubblicato nel 1950.
L'argomentazione di Marshall si può riassumere così: la
cittadinanza è la condizione necessaria dell'esistenza politica di
un individuo, ed è una prerogativa conferita a tutti coloro che sono
membri a pieno titolo della comunità politica. Tutti coloro che
possiedono tale prerogativa sono eguali, relativamente ai diritti e
doveri a essa associati non solo le persone che lavorano secondo il
concetto fordista; il sociologo inglese in un'analisi sulla
disuguaglianza di classe sosteneva che divenire eguali significa
divenire cittadini. Marshall insistette molto sulla importanza delle
mobilitazioni politiche e ci impose di studiare i movimenti sociali,
evocando la cittadinanza ideale che ha delle implicazioni sulla
partecipazione attiva degli individui: nel reclamare i loro diritti
si sostanzia l' aspirazione di tutti i cittadini alla realizzazione
della cittadinanza. Nel XX secolo il processo di emancipazione di
tutti i cittadini si è concluso con l' inclusione, perlomeno teorica
e di principio per i diritti sociali, di
tutte le classi sociali, alle tre grandi categorie di diritti. Il
progresso dei diritti di cittadinanza è stato nello stesso tempo un
progresso dell'eguaglianza, uno sviluppo della "sostanza"
di cui è fatta la posizione sociale e un aumento del numero delle
persone che ne beneficiano. Per Marshall tuttavia la cittadinanza non
era semplicemente una condizione fatta di dati diritti e
responsabilità, era
anche uno strumento di creazione di identità che egli credeva
potesse svolgere due compiti:
1.
contribuire a realizzare la democrazia estendendo l'eguaglianza tra i
membri della comunità
politica (se la cittadinanza conferisce pari posizione sociale,
garantisce anche pari
trattamento);
2.
integrare la classe operaia nella società in senso lato, dalla quale
era stata storicamente esclusa, non solo per ragioni economiche
(cittadinanza significava anche appartenenza condivisa a un'unica
civiltà).
Oggi il reddito di cittadinanza diventa un atto obbligato, necessario e morale, in attesa degli assestamenti di una crisi capitalistica molto difficile che obbligherà a recuperare la complessità perduta per ricercare forme economiche alternative al modello standard attingendo anche dall' esperienza delle economie antiche.
Lorenza Cervellin, Esperto di Pari Opportunità, cittadinanza di genere e integrazione sociale
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