venerdì 31 agosto 2012

LO STATO NELLA CONCETTUALIZZAZIONE ANTICA -CONTINUAZIONE 1-


Gli antichi rifletterono molto sul potere perchè avevano un vero terrore del ritorno al caos e al disordine presente prima della civiltà per cui ragionarono molto soprattutto intorno alle forme di governo conosciute e realizzabili costruendo dei discorsi pubblici importanti con una costante: il governo e il potere dovevano essere esercitati “naturalmente” dai migliori in funzione del bene comune. In generale: il bene comune trovava realizzazione quando era garantito l' ordine pubblico, la stabilità sociale, la realizzazione dell' espansione territoriale per il reperimento di risorse, la difesa efficace del territorio, il commercio e la possibilità per i cittadini "idonei" di avere garanzie per dedicarsi alla carriera politica.
Gli antichi non avevano una idea statica del potere ma una caratteristica del potere pubblico era proprio la dinamicità: la Grecia aveva sperimentato l' aristocrazia terriera, la tirannide, la monarchia,la Polis democratica e gli antichi ateniesi avevano assegnato a quest' ultima il primato della miglior forma di governo proprio per le garanzie sopracitate a tal punto che furono incapaci di elaborare una forma di governo che superasse il particolarismo della Polis e non ebbero difficoltà a riconoscere nella repubblica romana la forma di potere più idonea di governo, un insieme armonico e dinamico, vera istituzione capace a contrastare il ritorno alla monarchia vista come il peggiore dei mali politici sia dai greci che dai romani, identificata come una tirannide, un potere nemico del bene comune.
La civiltà romana aveva sperimentato la monarchia e poi la repubblica ma i romani furono incapaci di preservarla scivolando verso il principato augusteo e l' impero, non senza resistenze.
Cosa pensava Platone della forma di potere? Vivendo durante la crisi della Polis, realtà sociale e politica frutto di una sublimazione civica più immaginata che reale ed incapace di teorizzarne il superamento sognava una istituzione politica in mano a dei reggitori-filosofi, cioè i migliori a governare sulla classe dei guerrieri, degli agricoltori e dei commercianti.
Cosa pensava Aristotele della forma di potere? Una Metabolè cioè l' idea di un potere in trasformazione, in perfetta sintonia con i cambiamenti della natura; la Grecia aveva sperimentato tre forme di organizzazione politica, dopo i domini teocratici e delle aristocrazie terriere, tutte destinate alla corruzione: la tirannide, la Monarchia e la Democrazia. La teorizzazione della degradazione delle forme di potere poi verrà illustrata mirabilmente da Polibio durante il periodo degli Scipioni.
Cosa pensava Cicerone della forma di potere? Nelle orazioni (che vennero poi chiamate Verrine), anticipava i principi di un governo umano ed ispirato ad onestà e filantropia. Diventato un ottimate si schierò sempre dalla parte del bene cioè per l' ordine politico-sociale naturalmente possibile con il governo aristocratico.  
Idealismo, universalismo cosmico-naturale e dinamicità saranno concetti immutabili che dall' antichità si proietteranno nella modernità considerati la base delle repubbliche: fiorentina, romana e di Venezia. Molte sono le forme di potere che si sono succedute nel corso della Storia nel tentativo di trovare una forma di governo stabile evidenziando una ricerca di universalità all' interno del tentativo di cambiamento. Gli antichi usarono anche la parola Stato ma con significati radicalmente diversi da come poi è stato concettualizzato lo Stato Moderno. E gli esseri umani che non raggiungevano lo status di cittadini? Erano naturalmente, non consapevolmente e strategicamente schiavi, come sarà nel periodo Moderno; lschiavitù è stata una componente essenziale dello sviluppo economico del mondo greco antico durante tutta la sua storia per cui gli schiavi erano considerati indispensabili e preziosi, presenti come aiuto in casa, nella pastorizia, come porcari e scudieri e aiutanti nelle botteghe artigiane. Non esistono scritti sistematici che parlano degli schiavi, solo citazioni che ci fanno capire che lo schiavo era un bene, privato della libertà nelle mani di un proprietario che poteva comprarlo e venderlo. Poi troviamo gli schiavi presenti nelle tragedie e nelle commedie. Le prime schiave erano le donne e poi i prigionieri di guerra e chi nasceva da schiavi. Poi c' erano uomini poveri e liberi, piccoli pastori e salariati ma senza "diritti". Nella Grecia classica si inizia a  praticare l' evergetismo ("io compio buone azioni") quella pratica che consiste nell' elargizione di doni alla collettività apparentemente in modo disinteressato. Anche nel mondo romano la schiavitù era naturale e non venne mai messa in discussione neanche dagli stoici; solo Gesù affermò l' uguaglianza pura fra tutti ma poi, la riflessione paleo- cristiana, non pose l' abolizione della schiavitù come obiettivo sociale primario della sua dottrina. 

A rappresentare questo post ho scelto una Miniatura dal Liber divinorum operum di Ildegarda di Bingen, mistica del XII secolo, conservato nella biblioteca statale di Lucca. Vi è rappresentata come meglio non si potrebbe l' idea dell' armonia così come era pensata dai greci antichi. La mistica tedesca individua nell'identità del rapporto proporzionale il dato oggettivo che giustifica la stretta relazione fra universo e uomo. Spiega Ildegarda: "Con le braccia e le mani tese ai lati del torace, l'altezza della figura umana coincide con la sua larghezza, proprio come l'altezza del firmamento è uguale alla sua larghezza". 

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