martedì 4 settembre 2012

AFFERMAZIONE DELLO STATO MODERNO -Continuazione 4-


Lo Stato Moderno viene concettualizzato nel Seicento, dopo la guerra dei 30 anni e dopo la prima rivoluzione inglese guidata da Oliver Cromwell (1642-1651) e si afferma nel corso del 700, nella forma dell' assolutismo illuminato. Lo Stato Moderno nasce con la giustificazione filosofica di contenere la malvagità umana, di natura, portata al sopruso, sublimandola nella forma del contratto, per permettere le libertà economiche e salvaguardare i diritti di natura dell' uomo, sotto l' egida ambivalente del diritto, a cui vengono affidati gli interessi generali superiori dello Stato e gli interessi particolari dell' uomo. In Italia i principi dello stato Moderno si affermano contemporaneamente alla “Controriforma cattolica romana” e in presenza di numerosi poteri che impediscono processi di modernizzazione veri. Comune a tutta l' Europa sarà l' affermazione e il consolidamento degli apparati di polizia, la formazione di una "classe" di magistrati e medici capaci di uno “sguardo nuovo sull' uomo” un uomo che va salvaguardato, poiché è oggetto di diritto, all' interno dello Stato di diritto  ma deve  essere controllato perchè appartiene a sistemi “irrinunciabili di utilità”: economia, ordine, disciplinamento, esercito, imposte. Tutto verrà disciplinato e controllato in nome del diritto e chi si sottrae viene rinchiuso indistintamente: malato, libertino, pazzo, sano, delinquente, ribelle, critici del potere. Le  libere opinioni e il diritto di resistenza verranno puniti poichè la parola d' ordine sarà: ordine! Il potere centrale si afferma a scapito dei poteri locali che vengono gradualmente distrutti perchè di impedimento alla libera economia e alla nascente agricoltura e industrializzazione. Uomini, ma soprattutto donne, saranno vittime di questa nuova stagione di rinchiudimenti collettivi per esigenza di disciplinamento. La stregoneria si spiega come un immane sacrificio dovuto all' esigenza di affermazione dello Stato moderno e dei conflitti che lo accompagnano:
  • conflitto fra poteri centrali e locali
  • conflitto fra il perdurare di libere opinioni e liberi mestieri e l' esigenza di omologazione di cui lo Stato moderno si nutre
Cosa succede con l' affermazione dello Stato Moderno? Stato, Chiesa e capitalismo scoprono degli obiettivi comuni: la possibilità di appropriarsi di ricchezze enormi ma per fare questo devono controllare in toto la società civile, dalla nascita alla morte, corpi e psiche, mettendo a punto degli strumenti ideologici potenti: sessualità e matrimonio dovranno coincidere per cui si esaspera la sessualizzazione di tutte le persone in senso normativizzante uomo/donna e le si porta naturalmente verso il matrimonio dominato dal padre/marito.
Gradualmente si diffonde anche l' idea della periodizzazione e della linearità storica: la storia e una evoluzione che, da sistemi, primitivi porta lineariamente a sistemi evoluti fino ad arrivare al progresso e al benessere esteso a tutti. Il liberismo con Adam Smith, filosofo scozzese – docente di Filosofia morale all’Università di Glasgow - vissuto nel ‘700, con l’opera “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” (1776), diventa un nuovo motivo di giustificazione economica dello Stato insieme al liberalismo rappresentato da Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu (1689-1755). Con Adam Smith si passa, dal paradigma dell' uomo malvagio di Hobbes, al paradigma dell' uomo felice grazie allo sviluppo e al progresso economico in presenza di “una mano invisibile” che avrebbe guidato la diffusione dell' economia portatrice di ricchezza e di progresso.

Montesqueu

Montesqueu e un protagonista dell’ Illuminismo europeo della prima metà del XVIII secolo che occupa, nel campo della filosofia politica e nella storia del liberalismo una posizione universale   grazie al suo capolavoro, lo Spirito delle Leggi, un’opera monumentale, frutto di quattordici anni di lavoro e pubblicata anonimamente nella Ginevra di Jean-Jacques Rousseau, nel 1748. Due volumi, trentadue libri, una vera e propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del Settecento capace di influenzare tutta la politica futura fino ad oggi. Per comprendere appieno lo Stato Moderno bisogna conoscere assolutamente Montesqueu perchè lo Stato moderno si è immediatamente appropriato delle nuove giustificazioni morali, fornite al potere, da Montesqueu, dopo essersi appropriato delle giustificazioni morali, fornite all' economia liberista da Adam Smith. Queste due ideologie, basate anch' esse su una idea pura, come era una idea pura la concettualizzazione dello Stato Moderno di Hobbes, sono, ancora oggi, utilizzate strategicamente, dai politici colpevoli che attentano allo Stato, come giustificazioni per supportare posizioni diverse e conflittuali, dimenticando lo spirito innovativo di tutta la filosofia politica che dava, nelle intenzioni formali, centralità all' uomo. Montesqueu era avversario di ogni forma di oppressione dell’uomo sull’uomo, filosofo della moderazione e dell’equilibrio. A lui viene attribuita la teoria della separazione dei poteri che rappresenta uno dei princìpi necessari dello Stato di diritto e una condizione oggettiva per l’esercizio della libertà che per Montesquieu è Il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono: al di fuori della legge non c' è libertà. Il pensiero di filosofia politica di Montesqueu si forma guardando l’esempio costituzionale inglese, ritenuto unica garanzia efficace al contenimento del dispotismo il quale deve risiedere nell’equilibrio costituzionale di cui godono i paesi in cui i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sono nettamente separati e distinti, capaci di controllarsi a vicenda. Tutto sarebbe perduto se un’unica persona o un unico corpo di notabili, di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o le controversie dei privati. L’idea che la separazione del potere sovrano tra più soggetti sia una maniera efficace per impedire abusi affonda le sue radici nella tradizione filosofica della Grecia classica: Platone ne La Repubblica sostiene l’autonomia del giudice dal potere politico. Aristotele, nella Politica, delinea una forma di governo misto denominata politìa, una condizione di equilibrio tra una democrazia temperata dalla oligarchia. Aristotele, per di più, distingue tre momenti nell’attività dello Stato: deliberativo, esecutivo e giudiziario. Ma attenzione!! Tutta la riflessione politica della Grecia classica non si può paragonare alla riflessione sullo Stato moderno per stabilire una continuità ideale evolutiva che non esiste perchè avviene su presupposti contrari! L' uomo greco si vedeva proteso verso l' eroicità e aspirava all' eroismo, non partiva dal presupposto della malvagità, l' uomo greco tendeva alla distinzione all' interno dell' armonia cosmica e non alla separazione come idea pura per mettere il governo al di sopra dell' uomo con l' idea di una sovranità superiore, l' uomo greco riconosceva come naturale dare il governo a persone capaci e competenti, non certo per contratto di non violenza peraltro non rispettato, l' uomo greco vedeva come naturale la differenza per nascita e non l' eguaglianza. E' utile, però, sempre riproporre la domanda universale posta da Socrate agli uomini che ha dato inizio alla riflessione etica: come devo comportarmi verso l' altro? Attualmente è urgente questa riproposizione perchè pochi decenni di politica incapace hanno monopolizzato la cultura, annullato le opinioni, controllato in toto la società mortificando la libera azione dell' uomo destrutturando secoli di elaborazioni etiche e morali.

Montesqueu e il potere politico

Nella seconda metà del Seicento, John Locke sostiene la necessità di affidare ciascuna funzione a soggetti diversi per conservare la comunità, perchè è al suo interno che l' individuo agisce: Locke crede allo Stato come forma politica superiore ma non pensa allo Stato capace di essere totalitario anzi asserisce che la prima fondamentale legge naturale consiste nella conservazione della comunità mentre Montesquieu apre la strada alla politica moderna liberale, perfezionando la teoria della separazione dei poteri già presente in Locke in modo che garantisca le libertà dell' uomo. Il giurista francese trasforma la sua ricerca scientifica e sociologica in un programma morale e politico: come strutturare un sistema di leggi che, nelle condizioni storiche date, produca il massimo di libertà poichè la libertà politica corrisponde a quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a ciascun cittadino e condizione di questa libertà è un governo organizzato in modo tale che nessun cittadino possa temere un altro. Si può definire libera solo quella costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato, e, per contrastare tale abuso, bisogna far sì che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a mani diverse, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di oltrepassare il proprio limite, degenerando in tirannia. L' unione di tutti i poteri, nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché distruggerebbe la “bilancia dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o “garanzia” costituzionale in cui risiede la libertà auspicata dei cittadini. Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica” e il dispotismo, anche se rappresenta una forma “naturale” di governo, è il pericolo supremo da evitare, in quanto una sola persona, senza né leggi né impedimenti trascina tutto e tutti dietro la sua volontà e i suoi capricci.

Montesqueu e il diritto

Montesquieu struttura un metodo di interpretazione delle leggi che supera l’alternativa tra legge naturale universale e immutabile, a cui faceva riferimento la riflessione del Giusnaturalismo, e l’incertezza o l’arbitrarietà delle leggi positive su cui, dai sofisti greci fino a Montaigne e Pascal, si basava il dubbio scettico sulla stabilità della giustizia umana. Montesquieu cerca di dimostrare come, nonostante la diversità e la complessità degli eventi, la Storia abbia un ordine e manifesti l’azione di leggi costanti in grado di superare i contrasti. Ogni Stato ha le proprie leggi che non sono mai casuali o arbitrarie, ma strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi, dalla loro religione e dal clima e le leggi devono essere stabilite metodologicamente attraverso dei principi regolatori che ne determinino il carattere e la natura: le leggi, cioè, non si devono formare a caso, o secondo il capriccio di qualche individuo, ma seguire la direzione loro imposta da tutto un insieme di condizioni che è compito dello studioso indagare. Lo “spirito” delle leggi corrisponde all’anima dell’insieme di norme che regolano le relazioni umane nelle diverse società. Poiché tali norme variano nei diversi popoli, non è possibile valutarle in relazione a uno schema di principi dotati di validità assoluta, ma ne va chiarita caso per caso la dinamica interna, facendo uso di criteri costanti riconducibili all’esprit général che rappresenta il collante, il tessuto connettivo di ogni sistema giuridico, un principio non naturale e statico ma storicamente dinamico, di cui ogni legislatore deve tener conto. La riflessione di Montesquieu presuppone che i fenomeni sociali possano essere spiegati con leggi scientificamente rilevanti come quelle delle scienze naturali: le società umane, al pari di ogni essere vivente, sono sottoposte all’azione che deriva dall’intreccio delle situazioni e delle proprie caratteristiche fisiche e spirituali. Montesquieu tenta di organizzare il Diritto in categorie semplici alle quali ricondurre la grande varietà della struttura giuridica e sociale mettendo in luce il grande ruolo assunto dalla Storia ed infine, sul piano politico, tenta di strutturare un modello pratico di società per salvaguardarla dai regimi dispotici. Seguendo le orme del Saggio sul governo civile di Locke, Montesquieu definisce le leggi “rap­porti necessari che derivano dalla natura delle cose” nonché manifestazione della ragione umana. In una società civile le leggi fungono da elementi regolatori in grado di mediare le tendenze individuali, in vista del perseguimento di un obiettivo comune. Dimostrato che il mondo fisico come il mondo dell’intelligenza dipendono da rapporti intrinseci alla loro stessa esistenza, Montesquieu esamina l’intreccio delle forze che agiscono nelle varie società storiche per sco­prire coerenze e discordanze delle istituzioni e delle leggi rispetto alla loro essenziale necessità, al loro “esprit”. Le leggi fondamentali dello Stato prescindono dal principio e dalla natura del governo che per Montesquieu può essere repubblicano, monarchico o dispotico, a seconda che vi prevalga il principio della virtù, dell’onore o della paura. La stabilità dello Stato dipende dal principio del governo e si basa sulla coerenza delle sue leggi. Nella situazione storica in cui le leggi si dimostrino aber­ranti dall’esprit général che le ha determinate e le sorregge è necessario individuare la natura e la ragioni dell’errore. Quando il principio si corrompe, le migliori leggi diventano distruttive. Il principio della democrazia, ad esempio, si corrompe quando la nazione perde lo spirito d’uguaglianza o lo interpreta arbitrariamente.
Nel suo capolavoro Montesquieu si propone di estendere allo studio della società umana il metodo sperimentale per fissare dei “principi” universali volti ad organizzare logicamente l’infinita molteplicità delle usanze, delle norme giuridiche, delle credenze religiose, delle forme politiche e per formulare, infine, leggi obiettive secondo le quali si articola costantemente, sotto l’apparenza del caso, l’incostante comportamento degli uomini. Non rifiuta la concezione machiavellica della politica come forza, ma la integra con un’accurata analisi delle molteplici “cause” – storiche, politiche, fisiche, geografiche e morali – che operano negli eventi umani. Le leggi positive formulate da Montesquieu riguardano principalmente: il diritto delle genti (leggi che regolano i rapporti esistenti tra i vari stati); il diritto politico (leggi che regolano i rapporti tra Stato e società civile); il diritto civile (leggi che regolano i rapporti tra i componenti della società civile). Rinuncia comunque alla ricerca della miglior forma di Stato, cara alla letteratura utopistica, e tenta di stabilire, concretamente, le condizioni che garantiscono, nelle diverse forme di governo, l’optimum della convivenza civile: la libertà. Il suo realismo e relativismo si salda con un alto intento normativo: un invito alla razionalizzazione delle leggi e delle istituzioni. Attualmente, tutte le democrazie sono debitrici a Montesqueu ma, non tutte le democrazie sono all' altezza della sua riflessione e mai Montesqueu avrebbe pensato che gli individui sarebbero stati privati della loro cultura, omologati e sarebbe stato fiaccato il loro diritto alla resistenza sostenuta dalle opinioni. Montesqueu pensava che una volta elaborato il soggetto giuridico isolando il soggetto deviante lo spirito della legge avesse assolto il suo compito ma non sarà così nella sostanza.

Kant e la “dittatura” dell' ottimismo normativo e della superiorità dello Stato

Locke e Montesqueu mettono a punto la teorizzazione dello Stato Moderno, delineata perfettamente Da Hobbes con l' intento di liberare l' uomo dai poteri tirannici, dalla violenza e dalla guerra:
  • Locke: il primato dell' azione evolutiva spetta alla comunità;  
  • Montesqueu vuole salvaguardare l' individuo fidando nel diritto ma riconosce le peculiarità delle comunità organizzate dall' uomo; 
  • Kant: l' azione dello stato e del diritto sono superiori.

L' idea di Kant sull' uomo è la stessa di Hobbes: gli uomini sono lupi per gli altri uomini, homo homini lupus e la natura li porta alla guerra continua. L' idea della costruzione Stato all' insegna del diritto rende kant ottimista sul futuro dell' uomo un uomo che, per il bene e la pace deve piegarsi completamente allo Stato: il popolo è sacro ma deve piegarsi al diritto. Kant mantiene una posizione di tipo contrattualistico, ma mentre in Hobbes il contratto conviene in nome della necessità in Kant il contratto si deve fare per necessità, per dovere, per ragione e per morale. Kant perfeziona ed enfatizza il ruolo del diritto il quale assurge, a entità suprema incorporata allo Stato moderno sovrano. Kant tira le fila del pensiero moderno cinquecentesco e del pensiero illuministico costruendo dei discorsi pubblici molto potenti che ruotano intorno a: ragione, Stato, governo, diritto con l' esigenza di piegare questi concetti alla morale.

Kant specifica il suo pensiero politico, riguardo lo Stato, in un breve saggio: Per la pace perpetua progetto filosofico, breve saggio in cui indica la strada per la pace che è competenza dello Stato
Primo articolo definitivo per la pace perpetua

La Costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana

La costituzione fondata: primo, sul principio della libertà dei componenti l’associazione (come uomini); secondo, su quello della dipendenza di tutti (come sudditi) da un’unica legislazione comune, e terzo, sulla legge dell’eguaglianza (come cittadini); l’unica costituzione che nasca dal concetto di un contratto originario su cui deve fondarsi ogni legislatura giuridica di un popolo, è la repubblicana.
tutti gli articoli seguenti è questo: Tutti gli uomini che possono mutuamente agire gli uni sugli altri, devono appartenere a qualche civile costituzione.
Ogni costituzione giuridica però, in quanto concerne le persone che vi sono sottoposte, è quella:
1) conforme al diritto pubblico nazionale (Staatsbürgerrecht) di un popolo (jus civitatis),
2) conforme al diritto internazionale dei popoli in rapporto gli uni agli altri (jus gentium),
3) conforme al diritto cosmopolitico (Weltbürgerrecht), in quanto uomini e Stati che stanno in relazione di vicendevole influenza gli uni sugli altri vengono considerati quali membri di una società umana universale (jus cosmopoliticum). Kant I. Per la pace perpetua progetto filosofico, tr. A. Massoni,p.31, Milano, Sonzogno,1883

  • Chi tiene afferrato il potere non si lascia prescriver leggi dal popolo. Uno stato che sia indipendente da leggi straniere non si lascerà imporre, da una sentenza di altri Stati, il modo migliore di far valere i proprii diritti; Kant I. Per la pace perpetua progetto filosofico, tr. A. Massoni, p.56, Milano, Sonzogno,1883
  • Se è dovere, se v’è speranza fondata di realizzare il regno del diritto pubblico, benché con una approssimazione progrediente all’infinito, in allora la pace perpetua, che succederà alle tregue, chiamate falsamente trattati di pace, non è un’idea priva di senso, ma un compito che, risolto poco a poco, si avvicina costantemente al suo fine, poiché i progressi dell’umanità seguono un moto che diviene, col tempo, sempre più veloce. Kant I. Per la pace perpetua progetto filosofico, tr. A. Massoni,fine appendice Milano, Sonzogno,1883
kant specificherà in modo molto approfondito anche il suo pensiero sull' uomo all' interno dello Stato nell' opera: Idea per una storia universale in un intento cosmopolitico, scritto nel 1784, diviso in nove tesi di cui riporto alcuni passi tradotti dall'originale tedesco da Maria Chiara Pievatolo -bfp.sp.unipi.it/dida/kant-

Quinta tesi Per il genere umano il problema più grande alla cui soluzione la natura lo costringe è il conseguimento di una società civile che amministri universalmente il diritto.

  • Poiché solo nella società, e precisamente quella che ha la massima libertà e quindi un pervasivo antagonismo dei suoi membri eppure la più precisa determinazione e assicurazione dei confini di questa libertà, perché possa coesistere con la libertà altrui, - poiché solo in essa può essere conseguito nell'umanità l'intento supremo della natura, cioè lo sviluppo di tutte le sue disposizioni, la natura vuole anche che essa debba ottenere da sé questo traguardo, come tutti gli scopi della sua costituzione; perciò una società nella quale la libertà sotto leggi esterne si ritrovi al massimo grado possibile connessa con un potere irresistibile, cioè una costituzione civile perfettamente giusta, deve essere il compito supremo della natura per il genere umano, perché la natura può raggiungere i suoi intenti ulteriori col nostro genere solo mediante la sua risoluzione e attuazione. A entrare in questo stato di coercizione l'uomo, altrimenti tanto favorevole a una libertà senza vincoli, è costretto dalla necessità, e precisamente dalla più grande di tutte, cioè quella che reciprocamente si infliggono gli esseri umani, le cui inclinazioni fanno sì che non possano esistere a lungo l'uno accanto all'altro in selvaggia libertà. Solo in un recinto come l'unione civile le medesime inclinazioni producono poi l'effetto migliore, come gli alberi in un bosco ottengono una crescita diritta e bella proprio in virtù del fatto che ciascuno cerca di togliere all'altro aria e sole e si necessitano a vicenda a cercarli sopra di sé, mentre quelli che, in libertà e separati l'uno dall'altro, gettano i loro rami a piacimento, crescono deformi, sbilenchi e storti. Ogni cultura e arte che adorna l'umanità, l'ordinamento sociale più bello, sono frutti dell'insocievolezza, che da se stessa è necessitata a disciplinarsi e così sviluppare pienamente i germi della natura con un'arte estorta
Kant inizia a svalutare il diritto della persona a resistere a poteri tirannici e legittima la forza dello Stato e la sua superiorità rispetto anche alla comunità, fidando nella legge. Kant pensa che il popolo può e deve riconoscersi solo all' interno dell' ordine normativo e normativizzante dell' Istituzione Stato. Il popolo può reagire a poteri ritenuti Ingiusti? Può reagire ma non come corpo comune detentore di diritti, il quale deve sottostare all' autorità Stato. Se il popolo si sottrae all' autorità Stato, unica Istituzione di diritto ad agire per il bene comune, diventa massa informe in rivolta che si pone al di fuori della legge. Questa idea di un “ottimismo normativo risolutivo” è una proposta teorica pericolosa e presente ancora oggi tempo di temperie morale, culturale e politica in cui si è compreso che il diritto non potrà mai sostituirsi completamente alla cultura e inibire la libera azione dell' uomo è stato pericoloso poichè ha aperto la strada all' illegalità e alla corruzione dilagante. All' interno del diritto si ricerca un avvicinamento alla verità che rimane comunque una verità giuridica, non reale ed estremamente limitata perchè la verità vera è complessa e multiforme sempre affidata e dipendente dalla coscienza più che al diritto. La più grande frustrazione collettiva dei nostri giorni è il non riuscire a debellare l' illegalità e la corruzione interna alla politica e portare azioni efficaci contro la mafia proprio perchè la battaglia si svolge, come è previsto dallo stato di Diritto, nelle aule dei tribunali con un principio di legalità ormai svalutato perchè ha prodotto una mentalità legalistica diffusa e non la cultura della legalità proprio perchè non ha avuto fiducia dell' uomo, lo ha squalificato, reso debole e succube aprendo la strada a poteri aggressivi contro cui il diritto non può poco. Se una comunità è forte riesce a sviluppare anticorpi contro le “patologie sociali” ma una comunità svalutata e costretta alla coercizione può solo ripiegarsi su se stessa per limitare i danni.

Il popolo

Bisogna ricordare che quando Montesqueu e Kant parlano di popolo, come tutti prima di loro, si riferiscono al popolo come comunità di cittadini liberi che esercitano delle attività, che appartengono a una determinata classe sociale riconosciuta come corpo sociale, distinta dai nobili; non si parla ancora del nascente proletariato industriale, dei braccianti, delle donne e tantomeno degli schiavi i quali entreranno nella Storia dopo la rivoluzione francese, e, in francia, con la consapevolezza del potere e dei cittadini, come principio, diventerà popolo a tutti gli effetti. In Italia questo popolo, poi definito, a fine  Ottocento masse popolari da controllare,sfruttare in sistemi di utilità, la cui emancipazione sarà ritenuta pericolosa perchè accostata sempre alla delinquenza, diventerà popolo e verrà emancipato politicamente nel Ventesimo secolo, dopo molte resistenze reazionarie da parte dello Stato.
Dopo la riflessione liberale di Montesqueu la schiavitù venne messa apertamente in discussione, ma si scontrarono due pensieri utilitaristico-economicistici: Un pensiero economico-politico intendeva eliminare questo impedimento al libero sviluppo delle forze umane produttive e trovò ampia risonanza soprattutto in ambito protestante in Gran Bretagna, contraddetta però dagli interessi concreti dei piantatori coloniali che portavano avanti una economia di tipo schiavile. Soppressa infatti nei territori metropolitani di Gran Bretagna, Portogallo e Francia già dal 1770, la schiavitù continuò a prosperare nelle colonie e anche negli stati del Sud degli Stati Uniti dopo l'indipendenza. Soltanto con la rivoluzione francese e dopo la rivolta ad Haiti, essa fu abolita nelle colonie francesi (1794), ma Napoleone la dovette ripristinare (1802) per non perdere il seguito della borghesia creola. La speranza che il divieto della tratta (Francia 1791, Danimarca 1792, Gran Bretagna e Stati Uniti 1807, Olanda 1814 ecc.) facesse scomparire il fenomeno per esaurimento si rivelò illusoria, anche dopo la solenne condanna del congresso di Vienna (1815), in quanto proseguì il contrabbando di schiavi. Quindi si giunse ai divieti alla schiavitù nelle colonie britanniche (1833), francesi e olandesi (1848), negli Stati Uniti (1863, durante la guerra civile americana), a Cuba e Portorico (1870), mentre gli stati latinoamericani adottavano negli anni cinquanta la politica del "ventre libero", per cui i figli di schiava nascevano liberi; così la schiavitù si esauriva progressivamente. L'ultimo stato ad abolirla ufficialmente fu il Brasile (1888). Nel 1861, in Russia ci fu l' abolizione della servitù della gleba. Non sempre e non velocemente le abolizioni formali si sono tradotte in pratiche di libertà sostanziali poiché tenere in situazione di servaggio le persone, per chi ha posizioni oscurantiste e reazionarie conviene. Attualmente, dopo il ripresentarsi delle politiche neo-liberiste degli anni '80 del '900 e dopo la globalizzazione ideologica, seguita alla caduta del muro di Berlino, la politica reazionaria e oscurantista si è ripresentata per ridurre una moltitudine di cittadini, ridiventati massa, in situazione di povertà per poterli utilizzare utilitiristicamente a scopo economico. Dal 1888 al 1988, in cento anni di abolizione della schiavitù, sotto forme occultate, il servaggio conseguente alla mancanza di libertà dal bisogno si è ripresentato.

Il popolo inteso come masse popolari fu studiato molto tardi,perchè non lo si poteva più ignorare e perchè bisognava "educarlo". Lo storico francese Lefebvre, Georges (Lilla 1874-Boulogne-Billancourt, Parigi, 1959). Prof. (dal 1935) alla facoltà di lettere di Parigi cominciò a studiare le masse per capire l' influenza che potevano avere avuto nella storia ma in realtà, oltre che, per le rivolte del pane, non ci si accorgeva di loro. Secondo Lefebvre, avere ignorato le masse, non averli coinvolti nella politica era stato, oltre che un' ingiustizia, un errore storico dagli esiti  problematici ed era un errore su cui ci si doveva interrogare. Probabilmente il populismo contemporaneo, come strategia politica, nasce da qui: nel momento in cui si evidenzia il potenziale socio-politico delle masse popolari si studia come fare per orientare le masse a scopo politico, studio che darà i suoi frutti nel '900, secolo di guerre totali e dittature populiste. E' forse per questo che, in Italia la politica, non emanciperà mai definitivamente il popolo facendolo diventare un cittadino criticamente responsabile?  
Lefebvre, già a partire dalla sua tesi di dottorato: Les paysans du Nord pendant la Révolution française (1924), e muovendo dall’ispirazione di J. Jaurès, L. guardò alla Rivoluzione ponendo al centro della sua indagine le masse popolari e, in particolare, quelle contadine. Nelle Questions agraires au temps de la Terreur (1932) studiò la mancanza di un’adeguata direzione politica della rivoluzione contadina; in La grande peur de 1789 (1932; trad. it. 1973) analizzò lo scatenarsi del movimento contadino in reazione alla paura dell’immaginaria «cospirazione aristocratica». Completano il suo riesame della Rivoluzione francese: La Révolution française (1930; trad. it. 1958), Napoléon (1935; trad. it. 1960), Les Thermidoriens (1937; trad. it. 1952), Le Directoire (1946; trad. it. 1952) e La Convention (1953; trad. it. 1960). 

 pensare che lo stesso Kant in risposta alla domanda: che cos' è l' illuminismo? Nel 1784 aveva risposto:

  • Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di nominorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere     aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo
Kant credeva nella linearità storica, nel diritto, nella razionalità, nello Stato e nella morale credendo che questa soluzione teorica fosse risolutiva e molti ci hanno creduto ma, mentre era normale crederci nell' Ottocento, in cui, i reggitori di Stato tentavano la coerenza con i principi morali non è più normale crederci adesso, periodo storico, in cui, i reggitori dello stato si sono allontanati da tutti i principi morali e aspirano solo al dominio della persona, all' arricchimento personale e al mantenimento di una posizione di privilegio.

A rappresentare questo post ho scelto una rappresentazione dell' Italia preunitaria, post Restaurazione (1815). Il fervore repubblicano, dovuto all' esperienza delle Repubbliche giacobine (nuovi Stati che si costituirono tra il 1795 e il 1799 nell'Europa centro-settentrionale e nella penisola italiana a seguito dell'occupazione militare francese e che presero a modello le istituzioni della Francia rivoluzionaria),sarebbe rimasto nei principi ma avrebbe dato frutti politici molto tardi senza mai intaccare completamente gli istinti politici italiani reazionari e conservatori.












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