Lo
Stato unitario nazionale di diritto, in Italia, si afferma nel 1861:
nel 1866 venne annesso il Veneto e nel 1870 Roma la quale fu
designata capitale del regno. L' Unità d' Italia derivò dalla
innegabile forza ed energia sviluppate dal Movimento risorgimentale
capace di mobilitare cultura, politica ed eserciti cementandoli con
una forte moralità. Una colossale produzione di discorsi pubblici
incentrati sulle parole: sangue, onore, martirio, dignità, patria,
libertà e unità. Il Risorgimento fu anche una grande esperienza di
violenza reale e sublimata e di ferreo disciplinamento sociale al
servizio delle istanze libertarie, appartenuto e gestito dalla nobiltà
e dall' alta borghesia produttiva e commerciale, capace di esprimersi
con un linguaggio politico variegato ed efficace, anche se, non sostanzialmente evolutivo.
Tutti
i contadini i braccianti e il proletariato urbano furono esclusi
dalla partecipazione civile, militare, sociale e politica che si
sviluppò intorno al Risorgimento ma non furono solo esclusi, come
era stato “normale” nella Storia, furono emarginati
consapevolmente perchè ritenuti masse popolari informi da emancipare
gradualmente perchè pericolosi e votati alla delinquenza, nel
frattempo furono inquadrati, dallo Stato “illuministico”, in
rigidi sistemi di utilità al servizio dell' industria, della
riproduzione per fornire figure al nascente esercito regio, per
pagare le tasse e per essere impiegati nell'industria.
L'
unità, tanto agognata, si compì quasi insperatamente e
improvvisamente, dopo un lungo periodo di impegno: dalle repubbliche
giacobine di fine Settecento e dopo tre guerre d' indipendenza contro
l' Austria (la terza a unità già proclamata) e la spedizione dei
Mille contro i Borboni, nella forma della monarchia savoiarda, già
Regno di Sardegna.
Lo
Stato unitario regio fu proclamato a marzo del 1861 e il 21 ottobre
del 1861, in tutte le provincie meridionali e in Sicilia ,e, due
settimane dopo nelle Marche e in Umbria, ci fu un massiccio ricorso
ai plebisciti
(poi usati anche per il Veneto nel 1866) nella forma voluta da
Cavour: agli elettori non veniva lasciata altra scelta che quella di
accettare o respingere “in blocco” l' annessione allo Stato
sabaudo: la sua forma di governo, i suoi ordinamenti e le sue leggi.
La partecipazione fu del 75%-80% a maggioranza di si. La legge
elettorale del regno di Piemonte e Sardegna, poi adottata anche in
Italia, prevedeva un suffragio molto ristretto, in base al censo:
solo l’1.9 per cento degli italiani aveva diritto di voto. Fra 1860
e 1870 più di tre milioni di ex sudditi degli antichi Stati italiani
si espressero con meccanismi differenti ma sempre caratterizzati
dall’applicazione del suffragio universale (maschile), allargato (solo nel caso dei plebisciti), maschi adulti maggiorenni, in favore, prima
dell’ingrandimento dello Stato costituzionale piemontese, poi della
progressiva costruzione del Regno d’Italia sotto la dinastia dei
Savoia. Decine di migliaia di essi, appartenenti ai Ducati di Modena
e Reggio, di Parma e Piacenza e alle province di Padova, Vicenza,
Treviso e Rovigo, avevano già votato, insieme ai lombardi, nella
primavera del 1848 per la formazione (inattuata) del Regno dell’Alta
Italia, mentre i cittadini delle «provincie parmensi» furono
convocati separatamente anche nell’agosto 1859, prima del voto
plebiscitario che coinvolse l’Emilia e le Romagne a metà marzo
1860. In seguito ad alte benemerenze patriottiche furono chiamate al
voto plebiscitario anche alcune donne.
Il
discorso retorico pubblico si era già messo in moto, in modo
formidabile, in favore dell' investitura del re piemontese: padre,
santo e guerriero, lontanissimo dalla popolazione ma reso
familiare attraverso la polisemia della locuzione «Re eletto»,
attribuita a Vittorio Emanuele II e significativamente vergata
insieme alla sua effigie sulle monete d’argento da cinquanta
centesimi, da una e da due lire eseguite dalla zecca di Firenze
all’indomani del plebiscito toscano del 1860. Per la sua ambiguità
semantica, l’espressione «Re eletto», presente fin dal settembre
1859 nella formula di giuramento adottata per impiegati e militari
dagli Stati emiliani e dalla Toscana, si presta perfettamente a una
declinazione religiosa,salvifica e provvidenziale. Nei molteplici
frammenti del discorso plebiscitario, «l’eletto della Nazione»
diventa così il «Re Salvatore», il «Redentore Re d’Italia»,
«l’Angelo di Dio» e l’«uomo mandato da Dio», un «Miracolo di
Re».
Primo
Presidente del consiglio dei ministri del governo del re fu Camillo
Benso, conte di Cavour,
esponente della destra
riformista,
il quale era stato così abile, nel 1852, da accordarsi con l'
esponente di centrosinistra, Rattazzi per riuscire a fare riforme
liberali e non tenere il parlamento bloccato su posizioni
conservatrici rappresentate da d' Azeglio e dal re. Questo accordo
Cavour-Rattazzi passerà alla storia come un accordo negativo che
verrà definito, in tono dispregiativo connubio
ma
permise di dare
centralità al parlamento e non tenerlo bloccato su posizioni
particolari e permise di attuare un
programma liberale di
difesa delle istituzioni
costituzionali e
di progresso civile e politico.
Appena
sorto e diviso al suo interno, lo Stato italiano ebbe già ambizioni
colonialiste le quali furono mortificate nella battaglia
di Adua,
momento culminante e decisivo della guerra
di Abissinia,
la quale ebbe luogo il 1º
marzo 1896 nei
dintorni dell'omonima
località,
tra le forze italiane,
comandate dal tenente
generale Oreste
Baratieri,
e l'esercito abissino del negus Menelik
II.
Gli italiani subirono una pesante sconfitta, che arrestò per molti
anni le loro ambizioni coloniali sul corno
d'Africa ma che si ripresentarono ancora incautamente durante il
periodo fascista.
Il
proletariato urbano, mai tenuto in considerazione, presentò le sue
istanze e fu preso a cannonate dal generale Bava Beccaris, a Milano,
nel 1898. Le riforme furono sempre insufficienti a garantire vero
progresso civile e mobilità sociale.
E
il buon Governo? Negli anni '80 dell''800 la classe politica liberale
rivelò la sua natura nello scandalo della Banca Romana,
un
caso politico-finanziario che coinvolse alcuni settori della Sinistra
storica,
accusati di collusione negli affari illeciti della Banca
Romana,
ex Banca
dello Stato Pontificio,
uno dei sei istituti che all'epoca erano abilitati ad emettere moneta
circolante in Italia. Nel giugno del 1889 il
Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio del primo
Governo
Crispi, Luigi
Miceli,
dispose un'indagine ispettiva su tutti gli istituti di emissione.
L'inchiesta fu affidata al senatore Giuseppe
Giacomo Alvisi e
al funzionario del Tesoro Gustavo
Biagini.
L'indagine dette risultati contraddittori: fu riscontrato un
disavanzo di nove milioni di lire, reintegrato tuttavia il giorno
successivo e spiegato con l'"imperizia" degli inquirenti.
Il 30
giugno 1891,
il primo Governo
di Rudinì si
oppose a che il senatore Alvisi riferisse in Senato i risultati
dell'ispezione da lui condotta "in
nome dei supremi interessi del Paese e della Patria"
Prima
della sua morte, avvenuta il 24
novembre 1892,
Alvisi confidò ad alcuni amici i risultati dell'inchiesta, che
vennero resi noti il 20
dicembre 1892 dal deputato
radicale Napoleone
Colajanni:
la Banca Romana, a fronte dei 60 milioni autorizzati, per cui
possedeva sufficienti riserve auree, aveva emesso biglietti di banca
per 113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni
emesse in serie doppia.
Per
accertare le modalità di quelle emissioni fu proposta un'inchiesta
parlamentare a cui si oppose il presidente del Consiglio Giovanni
Giolitti che
promosse invece un'inchiesta presieduta dal primo presidente
della Corte
dei Conti Enrico
Martuscelli.
La contrarietà di Giolitti a promuovere un' inchiesta parlamentare
gettò molte ombre sul suo operato e destò molti interrogativi mai
chiariti. Si sono fatte delle ipotesi su chi abbia usufruito della
liquidità in eccesso che sembrerebbe fosse stata destinata a coprire
il coinvolgimento nella faccenda del re Umberto
I,
il quale era fortemente indebitato con la banca.
Il 20
gennaio 1893 Martuscelli
riferì l'esistenza delle irregolarità: il governatore della Banca
Romana Bernardo
Tanlongo e
il direttore Michele
Lazzaroni vennero
arrestati, mentre il deputato Rocco
de Zerbi,
contro cui la Camera
dei deputati aveva
concesso l'autorizzazione
a procedere per
l'accusa di aver appoggiato per denaro la dirigenza della Banca
Romana,
morì improvvisamente, probabilmente suicida.
Dal
carcere Bernardo
Tanlongo (l'ex
governatore della Banca Romana) affermò di aver dato cospicue somme
anche a diversi presidenti
del consiglio,
tra cui Giovanni
Giolitti e Francesco
Crispi.
Giolitti, in risposta ad interrogazioni ed interpellanze
parlamentari, negò di essere stato a conoscenza della relazione
Alvisi-Biagini e di aver ricevuto denaro dalla Banca.
Il 21
marzo 1893 fu
nominato un comitato di sette parlamentari che il 23
novembre 1893 presentò
al presidente della Camera la relazione finale nella quale si
affermava che fra i beneficiari dei prestiti vi erano 22
parlamentari, fra cui Crispi. Il processo del 1894 si
concluse con l'assoluzione degli
imputati: per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco
della politica italiana, i giudici nella sentenza denunciarono la
sparizione di importanti documenti, necessari a provare la
colpevolezza degli imputati. Il procedimento penale venne quindi
archiviato senza emettere alcuna condanna. Sul piano politico, il
procedere del processo penale e dello scandalo derivato dalla
vicenda, con il sospetto di coinvolgimento degli uomini politici e di
occultamento delle prove, portò nel novembre 1893 ad
una crisi politica e alle dimissioni di Giovanni
Giolitti da
capo del Governo, sostituito in dicembre da Francesco
Crispi.
Giolitti sarebbe tornato alla presidenza del Consiglio soltanto dieci
anni dopo. Tra la fine del 1893 e
l'inizio del 1894 crollarono
il Credito mobiliare e la Banca Generale, ma il nesso tra questi
fallimenti e le vicende della Banca Romana è assai tenue.La posizione degli storici qual' è? La Banca romana aveva impegnato cospicue somme nell' edilizia, negli anni in cui Roma, in rapida espansione era stata attraversata da una febbre speculativa che si arrestò rovinosamente di fronte alla crisi di fine anni' 80 che colpì il settore delle costruzioni facendo fallire le imprese debitrici. Ecco la stampa di cartamoneta. Ma lo scandalo della Banca romana rimane come un esempio negativo, continuamente ripetuto, dei danni che può provocare l' intreccio pericoloso, non trasparente, fra il mondo politico, la stampa e la speculazione in assenza di regole precise e di onestà politica. Ciò che è innegabile è il fatto che Crispi e Giolitti si servirono del denaro della Banca per influenzare la stampa e l' opinione pubblica in occasione delle campagne elettorali. La politica, in quel momento storico, perde l' occasione di fare chiarezza e di proporsi come garante dello Stato e del bene comune arrabattandosi sempre intorno alle figure dell' uomo forte, capace di rimettere in ordine il paese e difenderlo dalla classe operaia. Nonostante l' evidente comportamento discutibile di entrambi a Giolitti subentrò Crispi, ancora più coinvolto nello scandalo!
Possiamo
trarre delle prime conclusioni?
- Lo Stato italiano non nasce rispettando la teorizzazione dello Stato moderno, il quale prevede un contratto dal basso che autorizza, secondo parametri razionali supportati dal Diritto ma viene imposto dall ' alto da una elite conservatrice e nasce per motivi economici, non della collettività ma particolari, utilizzando mirabilmente, con l' uso di una retorica molto efficace, un sentimento unitario emozionale e morale, che aveva espresso energie mirabili dal basso, senza riuscire a tradurlo in buona politica.
- Lo Stato italiano, non avendo vincoli di contratto, non agisce per il bene comune e a salvaguardia dei cittadini ma per l' interesse esclusivo dello Stato e degli interessi particolari dei governanti.
- Lo stato italiano dichiara e porta la guerra aggressiva
- Lo Stato italiano non crea benessere per i suoi sudditi
- Lo Stato italiano ignora le istanze repubblicane
Riallacciandosi
a strumentali retoriche risorgimentali a cui si aggiungono nuove
retoriche guerresche neo-virilizzanti: nazionalismo e futurismo, con
l' adesione degli intellettuali del tempo, ad esclusione di Croce, l'
Italia entra nella Prima guerra mondiale. All’inizio della guerra
(1914)
l’Italia era
alleata degli Imperi Centrali nella Triplice
Alleanza,
ma, dato che l’alleanza aveva carattere difensivo (e la guerra era
stata dichiarata dall’Austria)
e non era stata preventivamente consultata sulla dichiarazione di
guerra, il governo italiano fece presente di non sentirsi vincolato
dall’alleanza e che, pertanto, sarebbe rimasto neutrale.
Successivamente le pressioni diplomatiche di Gran
Bretagna e Francia la
spinsero a firmare il 26
aprile 1915 un
patto segreto all’insaputa dell’alleato austriaco, detto Patto
di Londra,
nel quale l’Italia si
impegnava ad entrare in guerra entro un mese in cambio di alcune
conquiste territoriali che avrebbe ottenuto dopo la guerra:
ilTrentino,
il Tirolo, Trieste, Gorizia,
l’Istria (a
eccezione della città di Fiume),
parte della Dalmazia,
il protettorato sull’Albania,
su alcune isole del dodecanesoe
alcuni territori dell’Impero
Turco,
nonché un’espansione delle colonie africane, a scapito della
Germania (l’Italia in Africa possedeva
già Libia, Somalia
italiana edEritrea).
Dopo
la Prima guerra mondiale si parlerà
di esperienze di massa
per tutte quelle esperienze umane che riguardano la condivisione
comune a un gran numero di persone. Il concetto non ha più quella
valenza paternalistica e censuaria che caratterizzava il primo uso
del termine “masse popolari”: ora il termine masse popolari ha la
tendenza ad inglobare tutta la società. Società di massa,
esperienze di massa, desideri di massa, democrazia massificata, arte
di massa, cultura di massa, retorica di massa, saranno termini che si
imporranno proprio dopo la Prima guerra mondiale, con la morte
di massa: militari e civili.
Gli studi sul n. di morti, in Italia, è ancora in atto:
presumibilmente sui due milioni, il 35% dei mobilitati. L' Italia
aveva un pil annuo di 95 miliardi; la guerra costò 157 miliardi
(stime approssimative).
Dopo
la morte dei padri e a causa del fallimento dell' idea di pace, la
famiglia patriarcale entra in crisi in concomitanza dell'
affermazione del nuovo tipo sociale: il reduce, il combattente, una
persona che ha attraversato l' inferno della trincea che ha
conosciuto il danno delle retoriche di Stato e che non è più
disposto ad accettare il giudizio di minorità che incombe sempre sui
cittadini italiani. Il reduce consapevole ed inquieto non venne
sufficientemente risarcito dallo Stato sempre lontano dalla società
e dai cittadini. I primi reduci si organizzarono per esprimere le
loro rivendicazioni e insegnarono l' organizzazione agli altri gruppi
sociali, i cui iscritti, diventarono sempre più numerosi. Dopo la
compressione dovuta alla guerra tornarono in campo le società di mutuo soccorso, i sindacati
preoccupati dell' inflazione e del caro-vita, i cattolici, gli operai
i contadini e i socialisti, categorie sociali, che portarono
mutamenti nel quadro politico italiano. Le elitès liberali si
dimostrarono incapaci di rispondere alle mobilitazioni sociali
perdendosi in discussioni che si svolgevano al chiuso di circoli
ristretti per poi approdare nelle aule parlamentari. Gradualmente il
partito democratico-liberale perse forza e importanza e a nulla valse
richiamaretardivamente ancora Giolitti per gestire il cambiamento; si
imposero gli appelli al popolo in manifestazione pubbliche: cortei,
raduni, adunate e comizi. I cittadini, reduci, civili e donne, erano
perfettamente consapevoli del sacrificio che avevano dovuto fare
giustificabile solo con l' avvio di una società giusta che si
distaccasse completamente da quella politica ingiusta che aveva
mandato a morire uomini poveri e ignari e aveva provocato la morte
dei civili su decisione di un notabilato inadeguato a gestire il bene
pubblico.
In
Italia, a causa della perdurante chiusura politica conservatrice, non
radicata nella realtà sociale, con un processo di democratizzazione
agli inizi e delle strutture economiche arcaiche l' eco della
Rivoluzione russa, fu molto forte.
In
corrispondenza della crisi del notabilato liberale di destra e di
sinistra, la società, esprime nuovi gruppi politici:
- 1919 i cattolici si organizzano nel Partito popolare italiano, segretario don Sturzo
- il partito socialista conosce una crescita impetuosa con la corrente massimalista più numerosa di quella riformista
- formazioni di sinistra a guida Bordiga e Gramsci: le posizioni erano rivoluzionarie
- 1919 politicamente schierato a sinistra, e su posizioni repubblicane, Mussolini fonda i Fasci di combattimento all' insegna di un marcato nazionalismo e una feroce avversione contro i socialisti.
Furono
i fascisti a dare forma al primo episodio di guerra civile, nel 1919,
a Milano, contro i socialisti conclusosi con l' incendio della sede
dell' Avanti!
Per
quanto riguarda i territori ambiti con il Patto di Londra, l' Italia
era riuscita a raggiungere i “confini naturali” ma per i
territori dell' ex impero asburgico, dovette piegarsi ai nuovi
principi wilsoniani che teorizzavano i principi di autodeterminazione
dei popoli. Gabriele D' Annunzio parlò di vittoria mutilata e avviò
una protesta molto seguita soprattutto dalla borghesia che diede vita
a una esperienza politica inedita nella città di Fiume con una
ideologia neo-nazionalista che poi, i movimenti autoritari degli anni
'20 del '900, avrebbero ripreso.
A rappresentare questo post ho scelto una raffigurazione del principio di separazione dei poteri
A rappresentare questo post ho scelto una raffigurazione del principio di separazione dei poteri
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