sabato 15 settembre 2012

MEMENTO PER L' ONOREVOLE MONTI -LO STATUTO DEI LAVORATORI-

Lo Statuto dei lavoratori fu approvato nel 1970, lo stesso anno della legge sul divorzio, della rivolta di Reggio Calabria e delle prime elezioni regionali, dopo l' approvazione dei provvedimenti relativi all' istituzione delle regioni, come previsto dalla Costituzione. Nel 1970, con una sentenza della Corte costituzionale (13 luglio 1970 n. 133), veniva riconosciuta la parità dei coniugi come esigenza imprescindibile all' interno della famiglia. La politica estera era sotto l' influenza/protezione della Guerra Fredda e negli USA c' erano grandi manifestazioni contro l' allargamento del conflitto in Vietnam.
Il 1970 non è una data qualunque perchè è l' anno preceduto dal 1968 e 1969 e nel 1969 avviene la strage di Piazza Fontana. Più tardi avremmo saputo che nel 1970 Margherita Cagol, Renato Curcio e Alberto franceschini avevano fondato e Brigate Rosse. Mentre era in atto un innegabile processo di civiltà parallelamente si organizzava la destabilizzazione di destra e di sinistra a margine delle forze conservatrici e delle forze riformiste: l' evoluzione non viene accettata. 
L' Italia dopo le devastazioni e le morti della Seconda guerra mondiale, perduta rovinosamente, con gli esiti della guerra civile ancora in corso, con gli aiuti economici americani che contribuiranno a rimettere in moto l' economia, nel 1950 avvia un periodo di crescita economica tumultuosa che giunge al culmine negli anni 1958-1963. Questo periodo di crescita economica passerà alla storia come gli anni del miracolo economico ma non del miracolo riformistico reale. La Costituzione è congelata, i salari sono bassi, la tassazione è inadeguata e la società è bloccata. Come erano stati considerati i cittadini fino al dopoguerra? Come una massa di “minori” da educare e inquadrare in rigidi sistemi di utilità al servizio dello Stato, della grande industria e dei grandi possidenti terrieri. Il proletariato italiano non era mai riuscito a trovare, nelle rigide e conservatrici gerarchie politiche, dei varchi attraverso i quali fosse riconosciuta la loro capacità organizzativa per chiedere diritti ormai irrinunciabili, come era successo negli altri stati europei. Negli anni '60 del '900 tutta l' industria italiana fece passi da gigante riducendo il gap esistente con gli altri stati europei ma la grande industria cercò e ottenne intrecci patologici con i rappresentanti dello Stato. La crescita fu possibile grazie anche alla manodopera a basso costo, alla migrazione interna ed esterna che si spostava dove c' era il lavoro, al lavoro nero, dispari e sottopagato e all' apporto dei contadini operai in presenza di una tassazione ancora ottocentesca; raramente ci furono vera ricerca e innovazione ma prevalse la gestione paternalistica e padronale. 

In questa situazione di iperproduttività era obbligatorio aumentare le retribuzioni per aumentare i consumi. Nel caso dell' Italia, per la prima volta nella Storia, i lavoratori riuscirono a inserirsi nelle normali dinamiche di conflitto-potere tipiche delle democrazie per chiedere l' estensione dei diritti cercando di realizzare le condizioni democratiche sostanziali e la mobilità sociale. Nel 1963-64 il miracolo italiano era già un fenomeno in arresto ma riprese a ritmi più lenti nel 1966.
In Italia tutto avviene improvvisamente e tumultuosamente e le classi dirigenti non riescono mai a intervenire sui cambiamenti per organizzare adeguatamente e efficacemente il governo del cambiamento preferendo agire con colpevolizzazioni e demonizzazioni dei gruppi sociali che adottano il conflitto o dei sindacati, sotto la spinta della paura secolare italiana delle interpretazioni socio-politiche di derivazione marxista. Fin dall' Unità d' Italia, la classe dirigente, attinta dal notabilato, ha sempre colpevolizzato il proletariato e poi il sindacato che lo difendeva: la colpevolizzazione delle masse popolari è quindi un fenomeno storico che è direttamente funzionale a distrarre dalla incompetenza evolutiva e della incapacità di governare la complessità da parte dei rappresentanti politici.
In politica interna gli anni '60 furono gli anni dell' apertura al centro-sinistra, gruppo di politici che cercarono di correggere le distorsioni, già evidenti, del capitalismo italiano e avviare una programmazione economica al fine di potenziare gli strumenti dell' intervento statale sull' economia e ridurre gli squilibri sociali e il divario Nord-Sud. La crisi economica del 1963, aggravata dalle resistenze delle forze conservatrici: destra economica in primis bloccò le riforme; in questa situazione la perdurante influenza dell' esercito non aiutò il processo riformistico e la DC si rivelò incapace di governare i cambiamenti e le tensioni sociali che culminarono negli scontri di fine anni '60.
Nel 1967 inizia la protesta studentesca che, dalle università, si trasferisce nelle piazze. Quali sono le pericolose rivendicazioni? Sono quelle derivate dalla disarmonia fra i Principi costituzionale e quello che le classi dirigenti intendono elargire ignorando che il “popolo considerato minore e informe” sta diventando un popolo nobile e consapevole. Antiautoritarismo, antimperialismo e rifiuto della società dei consumi sono le istanze generali. L' Italia è particolarmente arretrata per cui prendono corpo anche istanze rivoluzionarie velleitarie che coinvolgono gli operai con la formazione di gruppi extraparlamentari.
Nel 1969 le rivendicazioni e i conflitti sociali culminarono nell' autunno caldo. Il ruolo dei sindacati in questo momento fu molto importante per pilotare la protesta verso la conclusione di una serie di contratti nazionali finalmente vantaggiosi. Fu in quel momento che i sindacati si guadagnarono sul campo il ruolo di mediatori fra i lavoratori e uno Stato in difficoltà. E' in questo momento storico, in cui lo Stato è in difficoltà a gestire la società perchè prigioniero delle disarmonie derivate dal conflitto fra le forze reazionario-conservatrici da quelle che aspirano all' evoluzione sociale come, giustamente, chiede la società che viene approvato, da parte del parlamento, lo Statuto dei lavoratori: una serie di norme che garantiscono le libertà sindacali e i diritti dei lavoratori all' interno delle aziende, un prolungamento dei principi costituzionali, un insieme di regole di civiltà.

Attualmente ci si deve interrogare molto sulla stagione riformistica degli anni '70 del '900 e sulla chiusura conservatrice di oggi:

  1. le riforme corrispondevano  al reale desiderio di modernizzazione della classe politica del tempo o era una strategia per "elargire" diritti momentanei per poi ritornare su posizioni reazionarie?
  2. La mancanza storica del Principio di Trasparenza è funzionale a continuare una doppia politica?
  3. Per quanto tempo uno Stato di diritto repubblicano può sopportare la gestione di una classe dirigente che devitalizza o ignora la democrazia e impoverisce i cittadini?

Uno spunto importante su queste riflessioni ci viene dato proprio dal Presidente del Consiglio Monti il quale, in questi giorni, intervenendo in teleconferenza al XXVI Convegno della Società Italiana di Scienza Politica, all'Università Roma Tre, ci fa sapere che, per quanto riguarda lo Statuto dei lavoratori:

  • Alcune sue disposizioni, ispirate a un intento nobile di difendere i lavoratori hanno determinato un'insufficiente creazione di posti di lavoro....Certe disposizioni intese a tutelare le parti deboli nei rapporti economici hanno finito, impattando sul gioco del mercato, per danneggiare le stesse parti deboli che intendevano favorire

Sull' onda delle polemiche seguite a questo pensiero, il Presidente Monti, ha tenuto a chiarire che questa sua posizione risale agli anni '80 del '900 ed è presente in un testo scritto dallo stesso Monti il 24 aprile 1985 (introduzione al convengo Economia, etica e scelte dell'imprenditore, con la partecipazione del cardinale Carlo Maria Martini) pubblicato in: Il governo dell'economia e della moneta di Mario Monti – Longanesi,1992.

Il Presidente ha reso più esplicito il suo pensiero:

  • Da studioso, prima di avere questa occasione di chiamata in servizio, ho osservato uno scarto tra l'etica delle intenzioni e l'etica delle responsabilità: alcuni dei danni maggiori arrecati al Paese sono derivati dalla speranza di fare bene anche dal punto di vista etico, civile e sociale, ma con decisioni di politica economica che spesso non erano caratterizzate da pragmatismo e valutazione degli effetti.  
Nel 1976 l' economista Milton Friedman aveva avuto il Nobel per l' economia e il suo pensiero economico e finanziario si impose negli anni '80 del '900 come la “dottrina economica” del futuro in grado di rimediare le crisi cicliche che iniziavano a destabilizzare definitivamente il sistema capitalistico : il neo-liberismo.
Con il Neo-liberismo viene accantonata definitivamente una visione etica dell' economia che si dipanava, seppure con molte difficoltà, dal Settecento, ripresa da Croce a inizio '900 il quale aveva parlato di 4 categorie dello spirito: etica, estetica, economia e politica, e, l' uomo diventa veramente uno strumento da inserire, in modo impersonale, esclusivamente in sistemi di utilità gestiti da grandi ricchi. Nel 1985 era già chiaro che l' etica si era allontanata definitivamente dall' economia, semmai ne aveva fatto parte, e lo Statuto diventava già uno strumento “pericoloso” allora in nome dell' etica di una supposta etica della responsabilità, di matrice esclusivamente economica, si mette in dubbio l' etica reale contenuta nello Statuto: una operazione ideologica abbastanza raffinata in atto già dagli anni '80 favorevole alla serrata reazionaria in atto oggi. E' evidente che lo Statuto non è causa di niente ma solo un ostacolo civile e legale alle istanze reazionarie che stanno realizzando una nuova schiavizzazione. A oggi lo Statuto è il punto di riferimento normativo del diritto del lavoro in Italia!

A rappresentare questo post pongo la targa commemorativa di Giacomo Brodolini il maggior artefice dello Statuto

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